Il knowledge worker della stazione

martedì 2 agosto 2016


Quando pensiamo agli operatori della conoscenza ci vengono facilmente in mente ricercatori, scienziati e professionisti estremamente qualificati. Le competenze e le conoscenze, o meglio le intelligenze delle persone, sono infatti i veri asset dell’economia contemporanea, che vede nell’“intelligenza del sistema produttivo” il principale fattore di sviluppo; un’economia delle esperienze e della trasformazione come vera attrattiva verso un cliente sempre più sofisticato. La cultura che ne deriva - profondamente diversa dall’ideologia industriale novecentesca - ha come elementi centrali la qualità del servizio, l’innovazione, la soluzione di problemi non previsti, l’applicazione flessibile di conoscenze sofisticate.

I knowledge worker hanno bisogno di accrescere le loro competenze professionali per essere sempre aggiornati e attenti a ciò che succede nel mondo, ma occorre anche sviluppare la loro sicurezza affinché siano più autonomi, la loro creatività e capacità di collegare le idee con l’applicazione pratica. D’altra parte nella nostra società postindustriale, il reddito proviene dalla conoscenza un po’ per tutti.

Il treno in ritardo mi ha dato l’opportunità di osservare il comportamento di una tipologia un po’ strana di lavoratore della conoscenza: il “knowledge worker della stazione”. Nella stazione di una grande città italiana, una ragazza osservava le persone che, scoraggiate dalla fila agli sportelli, cercavano di avvicinarsi timidamente ai distributori automatici di biglietti. Aveva l’obiettivo di chiedere una monetina, ma offriva in cambio un servizio. Il target di clientela preferito erano le persone più anziane. La prima regola era infatti quella di aumentare le probabilità di vendere il proprio servizio sfruttando il digital divide: più anziano meno tecnologico. La seconda, dal momento che il pagamento risultava incerto, era quella di rivolgersi a coloro che si riteneva essere più teneri di cuore o meglio disposti ad un atto di generosità. Il comportamento della ragazza in questione non era né intrusivo né invadente, perfino gentile! Il trasferimento di conoscenza avveniva in modo garbato  attraverso una spiegazione di natura quasi didattica. Inoltre, durante il servizio, benché estemporaneo e molto rapido,  si instaurava una relazione, si scambiavano poche ma utili parole e, alla fine, la simpatica ragazza riusciva spesso a ottenere qualcosa.

Questo breve aneddoto non vuole apparire provocatorio ma vuole semplicemente suffragare una fatto sempre più incontrovertibile: la vendita di conoscenza si sviluppa a tutti i livelli nella società della conoscenza, anche ciò che un tempo veniva definito accattonaggio necessita di marketing e competenze.


di Matteo Riboldi