Con Cairo in Rcs cambia l’editoria

mercoledì 20 luglio 2016


Una ventata di novità si è abbattuta sul mondo editoriale italiano da anni in affanno con conti in rosso e diminuzione di copie di quotidiani e settimanali. Il personaggio nuovo che ha dato una sterzata all’ambiente è l’editore piemontese Urbano Cairo.

Il suo mondo di settimanali all’insegna dello slogan “DiPiù” si è allargato con una prima fortunata ed efficiente operazione: l’acquisto de “La7”, il canale televisivo che con Telecom era in perdita da tredici anni, riportato in appena tre anni in pareggio. Era la premessa per un obiettivo più vasto e strategico: sedere tra i grandi dell’editoria dopo aver sfornato nuovi prodotti attenti ai consumi popolari e locali. Quando, infatti, la famiglia Agnelli (in verità l’erede dell’avvocato John Elkann) ha deciso di uscire dal pacchetto di controllo del gruppo Rcs che controllava il “Corriere della Sera”, la “Gazzetta dello Sport” ed altro, Cairo è stato pronto a buttarsi nella mischia. Il lancio, l’8 aprile 2016, da parte di Cairo Communication dell’Offerta pubblica di scambio su tutte le azioni Rcs sembrò all’inizio un azzardo. Era quasi impensabile che un piccolo editore fuori dal triangolo Milano­, Torino e Roma della “mammasantissima dell’economia italiana” fosse in grado di competere con la cordata di colossi e soci Rcs da lungo tempo che si stava formando per prendere il controllo definitivo dei due principali quotidiani italiani in termini generalisti e sportivi.

Il 16 maggio, infatti, l’imprenditore milanese Andrea Bonomi (mai interessato di editoria) e altri quattro soci storici di Rcs lanciava un’Offerta pubblica di acquisto sul 77,4 per cento dei titoli, avendone già in portafoglio altro 24,7 per cento. Cairo invece partiva dal 4,7 per cento. La sfida era sul mercato. Bisognava conquistare i piccoli azionisti indipendenti che potevano essere attirati soltanto dalla “bontà” del piano industriale e dalla prospettiva di uscire dallo scenario delle perdite, causate in trent’anni di clamorosi errori imprenditoriali dall’acquisto di una società spagnola fortemente indebitata alla vendita della sede storico di via Solferino nelle cui stanze a partire dal 1904 i giornalisti del “Corriere” hanno scritto la storia del mondo e italiana con i grandi inviati.

Dopo un mese di lanci e rialzi la proposta di Cairo è apparsa la più ancorata alla realtà industriale ed editoriale. Quando a fine mese di luglio la Consob tirerà le somme delle azioni l’imprenditore alessandrino dalla primitiva quota del 48,8 per cento con la quale ha battuto la concorrenza ferma al 37,7 per cento si troverà ad essere, per la prima volta, l’unico azionista privato a possedere oltre il 60 per cento delle azioni. Rcs è stata per un trentennio governata da una maggioranza di soggetti molto diversi tra loro. A livello imprenditoriale è stata un’impresa espugnare la roccaforte di Mediobanca difesa da personaggi come Diego Della Valle, Andrea Bonomi, Marco Tronchetti Provera, Carlo Cimbri e Alberto Nagel.

In termini calcistici (Cairo è anche presidente del Torino) si potrebbe dire che è stato un risultato di quattro a uno in trasferta. Negli ultimi anni Rcs non era più una squadra unita e compatta. Aveva assunto troppe posizioni ondivaghe, con risultati insoddisfacenti sul piano editoriale a causa di alcune decisioni dell’ad Jovane che hanno impoverito le due testate con prepensionamenti e allontanamento di firme prestigiose. Per Cairo i compiti sono ardui. C’è il bubbone dei debiti con le banche, anche se rinegoziati. C’è il posizionamento di alcune attività relative ai periodici e alle radio. Sullo sfondo c’è l’eventuale fusione con “La7” per fare un gruppo editoriale di quotidiani, televisione e radio di spessore europeo e in grado di competere con la fusione “La Stampa­”, “Il Secolo XIX”, l’“­Espresso” e “Repubblica” che diverrà operativo in autunno. Umberto Cairo, che nasce come pubblicitario alla scuola di Fininvest di Silvio Berlusconi e che ha gestito un gruppo da 250milioni, passa a dirigere una società come RcsMediagroup da oltre 1miliardo di fatturato nel 2015. Un’altra dimensione. Nel frattempo dovrà tirare fuori 7.0­80 milioni da dare ai soci Rcs che hanno scelto di dargli le loro azioni. Ballano centinaia di milioni. Un “lavoro pazzesco” lo ha definito. Per la sua vittoria storica si è avvalso dell’aiuto dell’ad di Banca Intesa Carlo Messina, di Alessandro Profumo, di Francesco Perilli e degli advisor legali dello studio Bonelli Erede.

Fondamentale però l’apporto dei Fondi internazionali che hanno deciso di scommettere sul progetto industriale. Per loro Cairo rappresentava il nuovo. I nomi altisonanti erano il simbolo del vecchio e delle perdite Rcs. Crolla così anche il sistema “del patto di sindacato” con il quale Enrico Cuccia e successori hanno gestito le sorti dell’economia italiana costituendo il contraltare delle partecipazioni statali che avevano anche una loro agenzia di stampa, l’Agi, e un giornale, il “Giorno”. Avrà successo la formula Umberto? Al termine del lungo percorso l’assetto societario vedrà primo azionista Cairo, secondo Diego della Valle con circa il 10 per cento, mentre Pirelli dovrebbe mantenere il suo 4,3 per cento e Mediobanca uscire dal suo 6,5 per cento appena riuscirà a piazzare, in termini vantaggiosi, il suo pacchetto.

Ultime formalità per il vecchio Cda che prima di dare le dimissioni consegnerà i libri contabili. Poi per Cairo il confronto sul piano industriale con le rappresentanze dei giornalisti e dei poligrafici che al Corriere e alla Gazzetta hanno avuto sempre un ruolo essenziale, codificato in uno statuto che fissa i paletti per la difesa del pluralismo e dell’indipendenza con diritti e doveri per tutte le competenze aziendali. Sarà la prova/occasione per verificare se il mondo dell’editoria italiana è intenzionata a percorrere la strada della ripresa e del cambiamento.


di Sergio Menicucci