Voluntary Disclosure: l’analisi dell’esperto

venerdì 20 maggio 2016


La Voluntary Disclosure (Vd), varata a fine 2014 dallo Stato italiano, è l’ultima opportunità che consente di regolarizzare i capitali esteri non dichiarati in Italia, sanando la propria posizione fiscale, con una completa immunità sotto il profilo penale, e preservando l’effettiva disponibilità del patrimonio.

Con la Vd i contribuenti che detengono capitali immobili e partecipazioni societarie all’estero possono autodenunciarsi, sanando la propria posizione, con la possibilità di definire con il Fisco le sanzioni senza alcun risvolto di carattere penale. La Vd s’inserisce nel contesto internazionale di lotta globale all’evasione fiscale. Dal momento che il trasferimento di numerosi capitali in realtà “offshore” ha prodotto a livello globale una notevole erosione delle risorse fiscali dei singoli Paesi, Stati Uniti e Unione europea hanno fatto forti pressioni nei confronti dei Paesi Black List affinché questi ultimi, con la minaccia dell’isolamento nell’operatività mondiale, aderiscano ad un sistema di scambio automatico dei dati. Con la Voluntary Disclosure possiamo regolarizzare tutti gli investimenti e le attività di natura finanziaria costituiti o detenuti all’estero, anche indirettamente o per interposta persona: conti correnti, polizze assicurative, trust, fondi comuni, depositi di metalli preziosi, immobili, partecipazioni, imbarcazioni, navi da diporto o altri beni mobili.

Ne parliamo con un giovane avvocato torinese, Edoardo Tamagnone, dello studio Tamagnone/Di Marco, che si occupa di queste tematiche di stretta attualità dopo lo scandalo denominato “Panama Papers”.

Avvocato Tamagnone, lei si occupa di voluntary disclosure, può spiegarci di cosa di tratta?

Si tratta di una procedura che permette di regolarizzare i capitali all’estero. In pratica consiste nell’autodenuncia al Fisco che procede a verificare i dati forniti (ad esempio estratti conto e posizioni patrimoniali) e ad irrogare le sanzioni in misura molto inferiore rispetto ad un accertamento ordinario. Una volta regolarizzati i capitali esteri, il contribuente potrà disporne come meglio crede alla luce del sole, facendoli rientrare in Italia oppure mantenendoli all’estero.

Che consigli dà in merito ai recenti fatti inerenti Panama Papers?

Appena l’Amministrazione Finanziaria disporrà dei nominativi dei titolari effettivi delle società offshore (la cui lista è stata trafugata dallo studio legale panamense Mossack Fonseca) procedere a richiedere tutte le informazioni direttamente ai contribuenti italiani oltre ad informare la Procura della Repubblica competente per territorio.

Perché è necessario regolarizzare subito? Quali rischi si corrono in caso di omessa o ritardata regolarizzazione?

In assenza di regolarizzazione, l’Agenzia delle Entrate può irrogare una sanzione per violazione degli obblighi in materia di monitoraggio fiscale tra il 6 e il 30 per cento degli importi non dichiarati. Bisogna ricordare che se si detiene un patrimonio all’estero – sia un conto corrente, un immobile o un deposito in metalli preziosi – bisogna indicare l’importo corrispondente nella dichiarazione dei redditi, a prescindere che tale investimento abbia prodotto un reddito. La sanzione sarà quindi calcolata sul totale del patrimonio posseduto all’estero - per ogni singolo anno - e il Fisco può accertare gli ultimi 10 anni. In pratica la sanzione potrebbe superare il 300 per cento dell’importo posseduto all’estero.

Che cos’è il ravvedimento operoso?

Tramite questo strumento è possibile correggere le dichiarazioni dei redditi presentate negli anni passati ed indicare le somme detenute all’estero che erano state “dimenticate”. In questo modo si sanano tutte le irregolarità prima che l’Agenzia delle Entrate possa accertarle.

Quali sono i Paesi maggiormente coinvolti?

In primo luogo il Principato di Monaco e la Svizzera, che si sono impegnati a fornire tutte le informazioni sui residenti in Italia che detengono una relazione bancaria presso i loro istituti di credito, decretando, di fatto, la fine del segreto bancario. Tuttavia molti nostri connazionali detengono conti o società offshore anche a Singapore, Seychelles, Hong Kong, Isole Vergini britanniche, Bermuda e Panama.

Lei ha curato casi importanti con la Lista Falciani e con Crédit Suisse Life Bermuda, come ha risolto i problemi dei suoi assistiti?

In quei casi i nostri clienti erano stati oggetto di un’indagine condotta dalla Guardia di finanza. È stato necessario esibire la documentazione dei conti esteri e svolgere un lungo contraddittorio con i militari per spiegare loro ogni operazione bancaria, la provenienza dei capitali esteri, i redditi riportati e determinare le imposte evase.

È uscito un elenco con parecchi nomi italiani, crede che l’elenco sia completo o potremmo avere altri nomi nuovi in futuro?

Questo elenco è sicuramente parziale visto che contiene unicamente i nomi dei clienti dello studio legale Mossack Fonseca, mentre moltissime altre organizzazioni, dai Caraibi al Sud-Est asiatico, si occupano di costituire società offshore per traghettare all’estero i denari dei cittadini europei.

Che consigli può dare?

Dal momento che praticamente tutti gli Stati del mondo si sono accordati per consentire lo scambio automatico delle informazioni relative ai conti bancari, a breve l’amministrazione finanziaria disporrà di tutte le informazioni utili per emettere un avviso di accertamento con l’irrogazione di sanzioni che, nella maggior parte dei casi, potranno superare l’importo dei capitali detenuti all’estero. In quel caso il contribuente dovrà rispondere anche con il proprio patrimonio italiano. Pertanto è meglio che coloro che detengono attività estere si muovano per tempo regolarizzando le proprie posizioni, accedendo ai benefici premiali della normativa in vigore, dal momento che presto i loro conti esteri saranno messi a conoscenza dell’amministrazione finanziaria direttamente dalle banche estere.


di Mariapia Reale