Il liberalismo deve contaminare l’Europa

sabato 23 aprile 2016


L’ordine liberale è un sistema in progress di libertà degli individui che implica un binomio: benessere-sicurezza. Esso dà la possibilità all’individuo di scegliere il proprio futuro e di sacrificarsi per raggiungerlo, senza che lo Stato gli si frapponga e glielo impedisca, ma gli garantisca la possibilità e la tutela.

Libertà e responsabilità sono facce della stessa medaglia. È piuttosto l’assistenza pubblica a deresponsabilizzare l’individuo, di fatto tarpandogli le ali, imprigionandolo. Ogni novità nell’ordine liberale è un’opportunità da cogliere, come ad esempio è stato ed è il fenomeno della globalizzazione che consente di rendere stabile lo sviluppo, cogliendo la possibilità di andare avanti, di procedere e costruire un mondo migliore, dove libertà, benessere e sicurezza camminano insieme nello sviluppo e per il progresso dell’uomo, vale a dire per creare ricchezza. Oggi la rete di assistenza pubblica ha del tutto deresponsabilizzato l’individuo sia nelle sue scelte personali che in quelle che contribuisce a prendere attraverso il meccanismo democratico, delegando e addossando allo Stato la copertura della maggior parte dei rischi della vita di tutti i cittadini.

A forza di welfare, di ampliarlo ed estenderlo, sono state poste ai margini le energie necessarie per rendere stabile lo sviluppo che, con le continue crisi, ha fatto dimenticare gli ideali ed i valori alla base del liberalismo. L’assistenza pubblica ha preso il sopravvento ed è scomparsa la responsabilità dell’individuo, oltre agli strumenti quali il governo dei cicli economici e la correzione dei blocchi strutturali che addirittura sono divenuti strumenti rivolti contro il welfare. Si sono tassate oltre ogni misura fasce di contribuenti medi - chi opera a livello globale riesce a rimanere non del tutto imbrigliato - la politica ha dato perenne prova di inefficienza, corruzione e corruttela, sono cresciuti e si sono autoalimentati i populismi, cioè la protesta scomposta ma pura. La politica è diventata il nemico delle libertà individuali in combutta con lo Stato, pretendendo di dettare le regole di vita ai e dei cittadini, impedendo loro di affermare le proprie scelte di vita. La democrazia è divenuta il fantasma che aleggia, per lo più svilito e non rispettato, grandemente e falsamente celebrato. Lo spazio globale è divenuto non democratico, di fatto un vuoto politico.

Il liberalismo prevede e contempla la libertà della vita, la tutela della proprietà privata, il libero scambio, la concorrenza, il merito, la responsabilità, la libertà di pensiero e di movimento delle persone. Sono valori fondamentali che devono essere resi obiettivi nella dinamica geopolitica. Vale a dire che, lungi dal difenderli, vanno affermati con forza, portati ed estesi, implementati, e con essi si deve contaminare, tramite la cooperazione internazionale, il mondo di chi non li ha raggiunti. Oggi è al contrario in corso una brusca frenata, uno stallo, ove sono risorti i nazionalismi, e la ricerca del potere da parte di predoni costi quel che costi, cioè a discapito ed eliminazione di qualsivoglia valore, oltre tutto entro territori per lo più circoscritti e tra oligarchie ristrette. Si è così annientato l’afflato o anelito liberale.

Il mercato globale tuttavia non aspetta, corre. Dati oggettivi sono oggi il rafforzamento dello scambio globale con i due accordi, uno dell’area del Pacifico, e l’altro di quella dell’Atlantic, specificamente il Transatlantic Trade and Investment Partnership (Ttip) ed il Trans-Pacific Partnership (Tpp). Il mondo economico globale corre con le innovazioni tecnologiche che hanno implementato la robotica, la cibernetica e l’utilizzo dell’intelligenza artificiale, le reti informatiche travalicano i limiti territoriali, le popolazioni e le legislazioni, e corre anche tramite i mercati finanziari in un irrefrenabile movimento di spostamento verso le banche centrali delle responsabilità che sarebbero proprie dei Parlamenti nazionali e dei governi. Il capitalismo corre perché esso stesso è conquista, di nuovi spazi, di mercati, di terre, anche extraterrestri, dell’intero globo. È lo “scambio universale tra nazioni” di marxiana memoria che svicola e bypassa gli Stati, tutti gli Stati, democratici od autoritari che siano.

Il governo di mercato sostituisce o è in grado di sostituire quello politico? L’esodo in massa di intere popolazioni richiede cooperazione internazionale che il governo di mercato non ha, mentre lo avrebbe e dovrebbe porvi rimedio il governo politico, che non lo fa, anche perché non lo sa fare. Le organizzazioni politiche - nazionali e sovranazionali - fanno acqua da tutte le parti. Ne discende che, non essendo in grado di occuparsi o anche solo disinteressandosi delle libertà e del benessere delle popolazioni, il governo politico asseconda e sigla la propria soccombenza, annulla la propria stessa ragione d’essere.

Ci sono oggi e si applicano modelli politici superati, sorti in una realtà che di fatto non esiste più. I governi sono felici di trasferire sulle banche centrali i problemi che non sono in grado di risolvere. Si pensi solo al “sollievo” di non doversi occupare del rispetto delle regole, che pur i governi si sono dati ed hanno siglato. Si prendano ad esempio in Europa i parametri di Maastricht sui deficit di bilancio pubblico, o il fiscal compact, autoproclamatosi trattato non essendolo, sull’indebitamento dello Stato. In tal modo le banche centrali diventano i governi effettivi dei Paesi e, scisse da qualsivoglia mandato e legittimazione democratica, operano in modo autonomo e indipendente ponendosi in una ben speciale posizione nell’organizzazione complessiva dell’Europa. Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea, ha immesso liquidità tramite l’acquisto di titoli di Stato sul mercato ed il finanziamento delle banche, ma non sembra essersi posto il problema di come uscirne. Avrebbe dovuto piuttosto impedire l’ulteriore caduta dei prezzi finanziando l’attività produttiva, come l’attuazione delle grandi opere pubbliche.

Ciò che si vuole dire è che la globalizzazione esclude di per sé gli Stati nazionali e le politiche democratiche ed obbliga a pensare sistemi nuovi. Se invece si insiste con la democrazia, ciò obbliga a scegliere tra Stati nazione e l’integrazione economica globale, e se si vogliono mantenere gli Stati nazione e l’autodeterminazione, bisognerà scegliere tra approfondire la democrazia e la globalizzazione. Tutto qui.

L’Unione europea è il fulcro attuale delle contraddizioni che provengono da tali questioni, dove cioè non c’è uno Stato ben definito né vige un meccanismo di rispetto delle scelte democratiche. La soluzione è nel contemperamento dei fattori, trovatane la giusta misura ed il punto di equilibrio. E per far ciò è necessario mettere mano all’Unione politica d’Europa che, conti alla mano, spinga su investimenti e sviluppo e veda anche cosa può permettersi e cosa no in termini di welfare orientandolo a giustizia commutativa non distributiva e, riordinato il proprio assetto economico - con lo sfoltimento drastico di strutture ed enti burocratico-amministrativi - diffonda ed estenda alle altre aree, lontane, i propri standard occidentali di libertà e benessere. In uno Stato federale politico europeo in salsa liberal-riformistica potranno coesistere democrazia, Stato e mercato, o meglio con esso si potrà assecondare la transizione che stiamo vivendo, che stiamo sperimentando.


di Francesca Romana Fantetti