Siae: resistenza fino all’ultimo monopolio

martedì 19 aprile 2016


Lo Stato italiano è così ostile alla concorrenza da non promuoverla nemmeno laddove sarebbe obbligatorio farlo. Si prenda la proroga continua delle concessioni demaniali marittime, in contrasto con la direttiva Bolkestein. O il caso del monopolio ancora vigente in Italia per l’attività di intermediazione dei diritti d’autore. Una legge approvata nel 1941 obbliga ancora ad autori e editori di affidare i loro diritti d’autore in via esclusiva alla Siae. Questo monopolio è stato spesso difeso sulla base di pretese economie di scala, nell’intermediazione dei diritti: ma paradossalmente la Siae produce meno guadagni, per gli autori, di quanto non avvenga in Inghilterra, dove i diritti sono gestiti da imprese in concorrenza. Per di più, la Siae è stata sottoposta a gestione commissariale nel 2011: non un bel biglietto da visita, sotto il profilo dell’efficienza gestionale.

Il progresso tecnologico ha messo in crisi il vecchio rapporto artisti- editori-consumatori. Ma, mentre i meccanismi di sfruttamento economico delle opere musicali si adeguano alle nuove tecnologie, la Siae continua a pensare che il suo lavoro sia una questione di “bollini” appiccicati su libri o compact disc.

È appena scaduto il termine per recepire la direttiva europea che stabilisce la libertà di scelta del gestore per i titolari dei diritti d’autore. Nemmeno l’obbligo europeo ha tuttavia convinto il governo italiano che non c’è alcuna ragione per sottrarre alla concorrenza un settore che non presenta motivi di superiore interesse pubblico.

Il ministro dei Beni culturali, Dario Franceschini, ha dichiarato a fine marzo in Parlamento che la direttiva lasciava due alternative all’Italia: riformare la Siae o liberalizzare il mercato. Al momento, nessuna delle due è stata ancora intrapresa, ma delle due è chiaro quale sia la più sgradita. La Siae resta dove sta dai tempi del fascismo, salvata negli anni da maggiori incassi derivanti, ad esempio, dall’iniqua tassa sull’equo compenso, e al tempo stesso autori ed editori devono continuare a iscriversi obbligatoriamente all’ente, se vogliono vedersi riconosciuti e tutelati i diritti di sfruttamento economico sulla diffusione delle loro opere. E nondimeno, di aprire alla concorrenza il ministro pare non avere intenzione.

Se però l’obiettivo finale è, come pare dalle parole dello stesso Franceschini, quello di “andare verso una dimensione europea”, la strada corretta non può che essere l’altra, l’unica compatibile con l’idea stessa di mercato unico europeo, dove la competizione è la garanzia migliore per la circolazione dei beni e dei diritti, compresi quelli immateriali.


di Istituto Bruno Leoni