Il Pil, il conte Mascetti e la “supercazzola”

giovedì 31 marzo 2016


Il titolo del pezzo sembra un gioco di parole, una sorta di “calembour”, ma l’accostamento apparentemente audace e poco comprensibile può aiutare a capire il paradosso di termini che, come il “Pil”, vengono abitualmente usati dai media senza la vera comprensione di quello che stanno dicendo, in una sorta di autismo ripetitivo.

Il conte Raffaello Mascetti detto Lello, invece, era un dei protagonisti dell’epico film “Amici miei” di Mario Monicelli, interpretato da Ugo Tognazzi; il conte Mascetti, ammesso che conoscesse il significato del Pil, il suo l’aveva azzerato rimanendo in miseria. Il Mascetti era esplosivo quando si esibiva nella scena della “supercazzola”. Il termine supercazzola è diventato, poi, di uso abituale un gioco di parole, un “divertissement” incomprensibile, come potrebbe essere il Prodotto interno lordo che ogni giorno viene evocato da tutti come una sorta di magia a cui legare la felicità e la continuità di una società. Ma cos’è oggi il Pil e come lo definirebbe il conte Mascetti? Proviamo a rispondere.

Il Prodotto interno lordo (Pil) è il valore totale espresso in moneta - dai prezzi - dei beni e servizi prodotti in un Paese da parte di operatori economici, pubblici e privati generalmente con riferimento ad un anno, e destinati al consumo dell’acquirente finale, agli investimenti privati e pubblici, e alle esportazioni. Non sono conteggiati i consumi intermedi di beni e servizi consumati e trasformati nel processo produttivo per ottenere nuovi beni e servizi. La qualifica di lordo sta a significare che nel suo calcolo non vengono presi in considerazione gli ammortamenti di beni ad utilità ripetuta.

Il concetto di Pil e le sue modalità di calcolo si sono perfezionati nel tempo di pari passo con un modello socioculturale che ha fatto coincidere la felicità e il benessere di una società con la ricchezza prodotta in un arco temporale - più “Pil” più felicità ed il contrario - finendo per essere preso a misura di valori non misurabili, la componente emozionale dell’uomo - e simboleggiare il benessere di una collettività. Il primo a denunciare l’esclusiva inadeguatezza di una misura solo monetaria per esprimere la felicità ed il benessere sociale del Pil fu proprio Robert Kennedy in un famoso discorso tenuto il 18 marzo del 1968 alla Kansas University.

“Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell’indice Dow Jones né i successi del Paese sulla base del Prodotto interno lordo... Il Pil non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro istruzione e della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia e la solidità dei valori familiari. Non tiene conto della giustizia dei nostri tribunali, né dell’equità dei rapporti fra noi. Non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza, né la nostra conoscenza, né la nostra compassione. Misura tutto, eccetto ciò che rende la vita degna di essere vissuta”.

Kennedy in quel discorso rimarcava che nel prodotto considerato c’era di tutto, compresi i danni ambientali, beni e servizi contro la vita come le armi, l’alcool eccessivo… senza distinzioni di sorta nel rispetto della persona. Kennedy pronunciò quel discorso il 18 marzo del 1968, solo quindici giorni prima dell’omicidio di Martin Luther King, leader dei diritti civili e dell’“I have a dream”, e 70 giorni prima di essere ucciso lui stesso; con loro finiva una storia e ne cominciava un’altra in cui l’“american dream” avrebbe lasciato lo spazio solo alla ricerca di un’avidità illimitata, il cui fine spirituale coincideva esattamente con il Pil condannato da quei portatori di giustizia. Bob Dylan cantava “I tempi stavano cambiando e solo il vento poteva portare una risposta”, ma anche la risposta sarebbe finita nel vento (“The answer, my friend, is blowin’ in the wind”).

Dovranno passare 40 anni (!) di disastri economici, finanziari, morali e sociali per riportare all’attenzione la questione posta al tempo, in sostanza, da Robert Kennedy: Cosa è il Pil come misura? A cosa serve ai fini di indirizzare l’azione della politica per portare una “societas” ad una dimensione valoriale che possa coincidere con la felicità e il diritto a perseguirla come recita la Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti? Per provare a rispondere alla questione vitale della sopravvivenza di una società venne costituita la commissione Sarkozy, composta da illustri studiosi come Stiglitz, Amartya Sen ed il francese Fitoussi. Ma dopo alcune presentazioni e studi sulla necessità di trovare nuovi indicatori maggiormente in grado di “misurare” la felicità con lo slogan “Oltre il Pil” la commissione, come cantava Dylan, “è volata via con il vento” e di essa non rimangono tracce. Così siamo ritornati, ogni singolo giorno, a parlare del Pil come la pietra filosofale che dovrebbe salvare il nostro mondo dal caos imperante; gli interessi e l’ignoranza sembrano sempre essere una forza inarrestabile. Qui la menzogna diventa peggio della “supercazzola”.

Il Pil misura una produzione senza fare riferimento alle modalità etiche, di rispetto della persona e dell’ambiente; potremmo avere un Pil ampiamente positivo ma allo stesso modo ampiamente distruttivo del collante sociale e della vita nel pianeta. Si può arrivare a declinare il Pil pro-capite che rappresenta la fotografia della sua totale inadeguatezza alla misurazione del benessere di una collettività. Basta prendere New York, in cui il Pil pro-capite è 50mila dollari all’anno ma dove il 46 per cento degli abitanti si trova sotto la soglia della povertà. Ma cosa stiamo misurando? Forse solo l’ipocrisia degli interessi superiori che come bene comune hanno solo quello personale. Di conseguenza il Pil non ci dice nulla sulla povertà, sulla disuguaglianza, sulla disoccupazione, sul degrado morale, sulla povertà di una politica inadeguata a realizzare il sogno antico della “Polis” greca. In questo senso il Pil viene strumentalmente usato per nascondere i veri problemi alla base della crisi che l’attenzione esclusiva all’arricchimento personale - anche contro ogni legge morale - viene realizzato. Il Pil, usato in questo modo, diventa un misuratore che nasconde l’ingiustizia umana ma considera un solo dato in modo asimmetrico alla molteplicità dei valori che rendono ricca di spirito una società.

Inoltre, avendo posto la finanza sopra l’economia reale, i prezzi che contribuiscono alla determinazione del Pil non sono determinati dalle quantità fisiche dei beni prodotti ed offerti che ogni giorno comperiamo ed usiamo, ma da infinite scommesse speculative che ogni singolo giorno vengono fatte per manipolare i mercati e quindi i prezzi dei beni. I prezzi fatti nei mercati finanziari dagli operatori che li animano e li dominano sono in funzione di realizzare sia il massimo interesse che l’esercizio di un potere geopolitico sovranazionale. Il prezzo del petrolio, dell’oro, del grano, della farina, delle commodities in generale è il frutto di scambi e scommesse il cui sottostante è spesso il nulla. Quindi i prezzi che contribuiscono a determinare il Pil sono il frutto di infinite speculazioni finanziarie, ben lontani dalle reali quantità fisiche dei beni che dovrebbero essere usate allo scopo. Anche per questo il Pil come tale è inaffidabile perché manipolabile nella sua valutazione.

La cultura della verità solo misurabile ci sta uccidendo perché una società multietnica e multivaloriale non può essere ridotta ad una misurazione che può essere utile per le scienze positive magari per determinare il rischio di portata di un ascensore; semplicemente una società non è misurabile in termini oggettivi e questo impedisce di capire la “red line” del punto di non ritorno. Possiamo dire quale sia la percentuale di povertà, di disuguaglianza, di disoccupazione oltre la quale vi sia il rischio di un punto di non ritorno? No, assolutamente no, il resto sono solo chiacchiere di cattivo gusto ed interessate.

Alla fine di questo pensiero la “supercazzola” del conte Mascetti si può usare come metafora per esprimere il senso illusorio del Pil, ma rimane un divertissement mentre il Pil, ogni giorno, così richiamato, rappresenta solo la misura dell’inadeguatezza culturale e politica di una società allo sbando.

(*) Professore ordinario di Programmazione e Controllo - Università Bocconi


di Fabrizio Pezzani (*)