Il sistema bancario europeo è solido?

martedì 26 gennaio 2016


Portogallo e Italia hanno inaugurato la crisi nel settore bancario. Nel dicembre scorso, il governo portoghese salvava con il fondo interbancario di garanzia, la banca Banif in crisi di liquidità. Poi, sempre a dicembre, formava il Novo Banco incamerando l’attivo dello Espirito Santo, altra banca fallita sebbene in precedenza salvata con i fondi pubblici. Tuttavia il Novo Banco si accorgeva che la maggior parte di questo attivo non era per nulla sano e se avesse tentato di venderlo sarebbe incorso in una perdita di €1.5 miliardi. Pertanto applicava la normativa sul bail-in ribaltando le perdite su azionisti e creditori e azzerando 2 miliardi di azioni e obbligazioni. Fortunatamente non venivano toccati i depositanti.

Intanto, nello stesso periodo, si svolgeva in Italia il dramma di un gruppo di banche in dissesto con in testa Monte Paschi e ora è allo studio una bad bank dove fare affluire i crediti incagliati o non performing loans. Mentre in Portogallo lo stock dei non performing loans è il 16.3% e rappresentano il 14.5% del pil, in Italia sono il 16.7% e incidono sul pil per il 17.1%. Siamo a livelli di criticità molto alti. Ma non si tratta di casi isolati. In Spagna, infatti, le percentuali sono, rispettivamente del 7.1 e 15.8; in Irlanda del 21.4% e 23.4; a Cipro del 49.6 e 136.7. Sono i casi peggiori, ma non è che negli altri paesi dell’euro la situazione sia rosea.

Solo in Germania la situazione sembra rassicurante: i crediti in sofferenza sono il 3.3% e rappresentano il 2.2% del pil. Ma anche qui non bisogna farsi delle illusioni perché se esplodesse il caso Deutsche Bank, la più grande banca tedesca, oberata da una montagna di derivati, con perdite di bilancio di 6.7 miliardi, e con 35.000 posti di lavoro in corso di eliminazione, si assisterebbe allo scoppio di una bomba all’idrogeno nel settore finanziario mondiale. Ora diamo un’occhiata ai saldi creditori e debitori (in miliardi di euro) del Target 2, il sistema di compensazione dei pagamenti tra le banche commerciali e le rispettive banche centrali e che riflette il clima di “fiducia” nel settore bancario.

Spagna -241.8

Italia -229.6

Grecia -97.3

BCE -73.8

Francia -73.5

Germania 592.5

Lussemburgo 140.4

Paesi bassi 49.4

Finlandia 31.8

Cipro 2.4

(Fonte: ECB Statistical Data Warehouse)

Come evidenzia la tabella i saldi negativi rivelano i movimenti di capitale dai paesi deboli dell’eurozona verso quelli solidi. Ad esempio, se depositanti spagnoli, italiani o greci non si fidano delle proprie banche e aprono un conto in Germania, nei Paesi Passi o Lussemburgo, dove ritengono che le banche siano più sicure, in questi paesi si registrano flussi positivi. L’afflusso maggiore di capitali è in Germania. Il deflusso dai paesi periferici è stato determinato dalla paura di fallimenti bancari, di bail-in, di confische, e di controlli di capitali. E’ difficile far digerire a depositanti e creditori che depositare il proprio denaro in banca o acquistarne obbligazioni non sia immune da pericolo costante. D’altra parte, le banche dei paesi periferici non potendo più contare su fonti di finanziamento poco costose come quelle delle obbligazioni subordinate, soggette ai bail-in, che servivano, tra l’altro, a ripagare i prestiti alla banca centrale, trovandosi a corto di liquidità potrebbero restringere ancora di più il credito alla clientela e farne aumentare gli insoluti.

Tutte le maggiori banche, anche quelle al di fuori dell’euro, sono in difficoltà e il riconoscimento di un trilione di non performing loans è solo una stima per difetto. Il fatto è che tutte sono esposte verso i mercati emergenti che l’enorme rivalutazione del dollaro sta rendendo sempre più insolventi. Le banche, d’altra parte, non potendo non rinnovare tali crediti, assisteranno impotenti all’aumento dei crediti a rischio.

Ora, bisogna essere molto chiari: in Europa e, in particolare nell’eurozona, tutto è ad altissimo rischio. Ma non è solo il problema dei crediti incagliati a creare preoccupazione. Dopo tre anni e mezzo dal famoso “whatever it takes” di Mario Draghi, i governi siedono ancora su montagne di debiti e quello italiano è al 133% del Pil. Non ci si deve mai scordare, quindi, che la crisi degli stati periferici europei iniziata nel 2012, non è stata mai risolta. Uno dei più gravi problemi che allora emerse e che si ripresenterà, riguardava il legame tra le banche e i bond emessi dai governi. I governi dipendono dai rispettivi sistemi bancari che acquistano il loro debito. All’aumentare dei rischi paese, anche i rendimenti aumentano e il valore dei bond diminuisce. La differenza tra l’attivo di bilancio falcidiato e il passivo riduce il capitale bancario e la capacità di concedere prestiti. E’ stato proprio questo fenomeno a impedire alle banche di continuare a finanziare i deficit dei paesi periferici portandoli sull’orlo del collasso. Ora, che cosa è cambiato da quell’epoca? In positivo assolutamente nulla. Il debito dei governi è aumentato e se l’attivo delle banche si deteriorasse ulteriormente a causa dei non perfoming loans, difficilmente rinnoverebbero il debito dei governi senza richiedere rendimenti più elevati. E se il costo di indebitamento dei governi aumentasse scoppierebbe una nuova e peggiore crisi dei debiti sovrani.

Subito dopo la press conference del 21 gennaio, dove Draghi ha fatto intendere che dal mese di marzo la Bce potenzierà il quantitative easing, il mercato si è subito impennato recuperando le perdite subite all’inizio d’anno. Spettacolare è stata la performance dei titoli bancari. Ma non è affatto una buona notizia. Significa che il mercato non può più contare sulla redditività ma sempre più sugli stimoli monetari. E non è escluso che, se la crisi delle banche dovesse peggiorare, la Bce possa acquistarne i titoli. In tal caso, ingoiando anche questi oltre a quelli dei governi, si appresterebbe a diventare un perfetto” buco nero” provocando il collasso gravitazionale dell’euro.


di Gerardo Coco