Qualcosa non va nel Quantitative easing

martedì 3 novembre 2015


Mario Draghi ha spinto le Borse e il tasso
 del Btp a due anni è andato sotto lo zero. La Banca centrale europea ha messo in chiaro ad un recente meeting di politica monetaria come sia pronta, se necessario, ad aumentare lo stimolo monetario già a dicembre di quest’anno.

La Bce non ha usato mezzi termini e ha fatto sapere di non avere a diposizione soltanto il Quantitative easing, ma anche la possibilità di ridurre il tasso sui depositi, attualmente a -0,20 per cento. Da ciò è dipeso l’effetto positivo sui mercati, con le Borse europee che hanno chiuso la settimana in positivo (Francoforte +2,88 per cento, Parigi +2,53 per cento). In rialzo anche Londra di circa un punto percentuale, mentre Milano è rimasta più indietro, con il Ftse Mib salito dello 0,53 per cento e il Ftse Italia All-Share dello 0,59 per cento.

Qualcosa tuttavia non va nel Quantitative easing, con tassi ufficiali prossimi allo zero. Sì, è una politica monetaria che è stata accolta con molto entusiasmo da questa parte e dall’altra dell’Atlantico, ma qualcosa doesn’t work. L’immissione di base monetaria avviene attraverso due canali, quello dell’acquisto di titoli di Stato già in circolazione senza nessun vantaggio per il rilancio degli investimenti pubblici necessari e quello del finanziamento alle banche, che non hanno convenienza a correre i rischi di impresa perché i margini di interesse e la bassa crescita della domanda non lo consentono. In pratica è liquidità immessa in canali che non solo arrivano con difficoltà all’economia reale ma, soprattutto, non hanno alcun effetto sulla crescita futura che è data da investimenti pubblici necessari a rilanciare un Paese; né arrivano soldi alla collettività tramite le banche, per niente propense al rischio soprattutto in un momento come quello attuale in cui non c’è domanda.

Negli Stati Uniti il Qe ha dato i soldi direttamente alle imprese, anche edili, per consentire di riprendersi in fretta e bene, nonché allo Stato per superare la crisi di molti settori. La Banca centrale europea di Draghi non ha voluto, forse non ha potuto, temendo la Germania, finanziare le imprese edili e neanche il Piano Juncker, che sarebbe stata probabilmente la destinazione naturale dei fondi Bce. Oggi si insiste nel compiacersi per la minima “ripresina” di crescita italiana, dovuta al solo deprezzamento dell’Euro e al basso costo del petrolio, e in minima parte alla reazione capace ed efficientista delle imprese in difficoltà, ma non si vede il problema in cui si è e che deflagrerà. È stata in pratica stravolta la semplice teoria economica del cosiddetto ciclo vitale di Franco Modigliani, secondo cui un soggetto risparmia nel corso della propria vita produttiva e consuma la ricchezza accumulata quando cessa la sua attività lavorativa.

Lo Stato italiano, al contrario, si è oggi sostituito nell’appropriarsi e godere dei risparmi degli italiani, facendo pagare loro più tasse sul risparmio e su altri cespiti, oltre sui redditi annui. E la Bce, così come le banche centrali degli Stati membri, ha spostato con tassi nulli le rendite di tali risparmi a favore delle banche, dello Stato e delle imprese beneficiarie, accrescendo così le ingiustizie sociali e rendendo significativamente più difficile il ritorno ad una situazione in cui i mercati possono reggersi da soli. Quando ci si pone il “problemino”? Quando lo si farà, ci si sarà incamminati e indirizzati verso la possibilità di una crescita effettiva del reddito e dell’occupazione.


di Francesca Romana Fantetti