L’incerto futuro del dollaro Usa

mercoledì 23 settembre 2015


Quale possa essere il futuro di una moneta come il dollaro è difficile a dirsi, la moneta, infatti, di per sé dovrebbe essere sterile come affermava Tommaso d’Aquino e prima di lui Aristotele. In questo senso la moneta è rappresentativa di un valore che non ha in sé ma in quanto rappresenta un valore che le sta a monte; questo poteva essere l’oro fino al 1971 quando Nixon unilateralmente sganciò la valutazione del dollaro dall’oro precipitando il mondo in un sistema di cambi fluttuanti. Dopo, il valore del dollaro è divenuto meno determinabile in senso oggettivo come era stata pensato a Bretton Woods ma più legato alla potenza economica, militare e politica degli Usa, rimanendo, quindi, la moneta di riferimento negli scambi internazionali. Il suo valore attuale e prospettico però è legato sia alle dinamiche monetarie sia al controvalore del reale potere di influenza degli Usa; per la variabilità oggettiva ed attuale di tali elementi il destino del dollaro sembra essere una domanda a cui non è facile rispondere.

A partire dagli anni Settanta, dopo la separazione della convertibilità in oro del dollaro la moneta ha, innaturalmente, acquisito un valore in sé ed il sistema monetario e finanziario ha preso progressivamente una dimensione sempre più lontana dall’economia reale cominciando a vivere in una sorta di mondo parallelo in cui l’infinito monetario si scontra, oggi più che mai, con il finito reale e ne diventa, illogicamente, elemento valutativo. Dagli inizi degli anni Settanta il campo della finanza, inondato da infinite masse monetarie, è diventato sempre più il gioco del monopoli dettato da una speculazione fine a se stessa, con pochi vincitori e tanti sconfitti, contribuendo a definire un ordine mondiale sia nei mercati che nell’indirizzare le scelte di geopolitica. Da allora innumerevoli crisi finanziarie si sono susseguite come un tremendo tsunami – le crisi del petrolio (1973 e 79), Black Monday (1988), banking strains (1991), il tempo dei derivati considerati verità assoluta (Nobel 1997), le bolle dell’Argentina, Messico e tigri asiatiche, il dotcom-crash (2000) poi la bolla Internet, infine la crisi iniziata nel 2008 ed i processi di destabilizzazione contro l’Euro dal 2010.

Da quegli anni è cambiato il trend dello sviluppo economico e sociale che ha portato ad una crescente disuguaglianza, alla riduzione delle attività manifatturiere, alla disoccupazione, ad una crescente povertà, alla cancellazione dei diritti universali dell’uomo; il tutto generato dalla globalizzazione della finanza posta sopra gli Stati come arma egemone. Ma i nodi arrivano sempre al pettine.

I mercati finanziari non rappresentano più un controvalore reale, soggetti, come sono, ad un gioco frenetico di scambi virtuali da casinò che spesso nascondono il nulla ma determinano andamenti erratici delle Borse in cui la volatilità sembra governare i loro andamenti, rendendoli più simili alle montagne russe che non legati alla presunta razionalità usata strumentalmente per farli apparire asettici.

Negli ultimi anni, ma fermiamoci ai mesi, alcuni fatti non sono passati inosservati: l’attacco al rublo alla fine del 2014, la querelle greca, l’attacco alla Borsa cinese ed in contemporanea andamenti incomprensibili allo SE (la Borsa di New York) con aperture al ribasso disastrose o il recente stop dei futures sul rapporto euro-dollaro . Questi fatti sono collegati da fili che non riusciamo a vedere? Dopo questi eventi la conflittualità ucraina è andata scomparendo, la bolla cinese è diventata evanescente, in Medio Oriente si è rafforzata la posizione di Assad contro l’Isis ed è aumentata la protesta europea contro le sanzioni alla Russia per le perdite che generano.

Oggi appare evidente la debolezza della massa monetaria espressa dal dollaro disallineata con un’economia che procede ad intermittenza, poco fondata sulla manifattura ma troppo sulla finanza e con riserve di oro, non chiaramente quantificabili. Il trend incerto della struttura economica si accoppia a quello di una società fortemente indebolita alla base, con una disuguaglianza che colloca il Paese al terzo posto nel mondo. L’indebolimento globale degli Usa ha rafforzato gli altri Paesi che prima hanno resistito ai venti della finanza e hanno cominciato a definire un percorso di scelte monetarie alternative; solo nell’ultimo mese la Cina ha comperato 600 tonnellate di oro. Il dollaro, ma dovremmo dire il sistema socioeconomico che rappresenta e ne giustifica il valore, sembra esposto ad una situazione globale che rende più complicata la sua tenuta rispetto alle altre. Gli interrogativi sul suo andamento sono tanti, ma per rispondere è necessario distogliere l’attenzione dai mercati finanziari e capire le logiche di potere globale che stanno governando il mondo; in altri termini, bisogna guardare al “croupier” e non alla “roulette” se questa può essere truccata.

 

(*) Professore ordinario di Programmazione e Controllo - Università Bocconi

 


di Fabrizio Pezzani (*)