sabato 19 settembre 2015
In un mondo in crisi, ma anche alla ricerca di nuove soluzioni e strumenti, con la Cina e l’India che cercano di diventare le prime potenze economiche del mondo, con gli Stati Uniti che inventano innovazioni sbalorditive in una quantità enorme e si dànno da fare per introdurle il più rapidamente possibile in tutto il pianeta così da sconvolgerlo, soltanto l’Europa sembra, di fatto, ignorare l’evoluzione esplosiva in atto e continua ad operare secondo le concezioni del passato. Nell’articolo “Noi ultimi della classe?” ho dato un’idea di quanto sta avvenendo, con la divaricazione che ne risulta tra Europa e Usa, con l’Europa che fa ancora egregia ricerca senza però impiegarla e l’Italia che ne fa poca e pertanto rimane l’ultima della classe. Mentre conto di preparare nei prossimi mesi una serie di confronti Europa - America sui temi più rilevanti delle attività fisiche e concettuali che si svolgono sul nostro pianeta, ritengo sia necessario presentare e discutere preliminarmente qualcuno di questi argomenti per far comprendere la concezione che sta alla base dei diversi comportamenti delle due aree geopolitiche: la difesa della cultura occidentale da una parte (greco-romana, cristiana, liberale anglosassone, dell’illuminismo, tecnoscientifica) e l’impiego integrale di questa cultura dall’altra, ma per fare un ulteriore favoloso balzo in avanti verso una società caratterizzata da un sapere razionale sempre più totale.
Ecco perché la ripresa in Europa ancora non c’è e - se le cose continuano così - non ci sarà mai, mentre il Pil dell’America cresce davvero e, soprattutto, lì si inventano e si adottano in continuo nuove attività. Il 12 agosto è apparso su “Nature” un articolo titolato “The future of science will soon be upon us. The European Commission has abandoned consideration of ‘Science 2.0’, finding it too ambitious”. Ciò che i politici vogliono è la “innovazione”: uno strano ibrido, seduto da qualche parte tra la scienza, l’ingegneria, la finanza e la propensione umana. Come tutti sanno, la innovazione prospera in luoghi come la Silicon Valley, occupata da aspiranti innovatori immersi per alcuni anni in una cultura che si forma nell’ottenimento di un dottorato di ricerca, se non in Università come la “Singularity University” fondata dal mio amico Peter Diamandis e da Ray Kurzweil. Si tratta di un’università interdisciplinare la cui missione è di assemblare, educare e ispirare i futuri leader che si sforzano di capire e facilitare lo sviluppo di tecnologie in modo esponenziale per affrontare le grandi sfide dell’umanità. Con il supporto di una vasta gamma di leader del mondo accademico, delle imprese e del governo, la Singularity University punta a stimolare il pensiero dirompente innovativo, e le soluzioni per risolvere le sfide più urgenti del pianeta. I cambiamenti dello stile di vita provocati da questi centri durante gli anni più creativi di chi studia non hanno nulla a che vedere con quelli degli approcci vecchio stile delle scuole di management e delle agenzie di finanziamento quali quelle della Commissione europea.
Perché nella Silicon Valley si innova meglio e di più di altre parte del mondo? Perché il numero di start-up di successo è così alto? Peter Diamandis parte, per spiegarlo, da una bottega del caffè. Nel XVIII secolo, i caffè hanno avuto un enorme impatto sulla cultura illuminista e sono stati lo “hub” ove condividere idee e informazioni: luoghi di incontro per tutti, cittadini e re. Nel suo libro, “London Coffee Houses”, Bryant Lillywhite spiega come “nel periodo in cui il giornalismo era nella sua infanzia e il sistema postale disorganizzato e irregolare, il caffè ha fornito un efficace centro di comunicazione e scambio di notizie e informazioni”. Gli studiosi hanno riconosciuto che il fenomeno dei coffee-shop è lo specchio di ciò che avviene quando le persone si spostano dalle aree rurali verso le città, dove le persone vivono “una sopra l’altra” e così anche le loro idee e Matt Ridley spiega come l’innovazione avviene quando queste idee affollate “fanno sesso”. Geoffrey West, un fisico del Santa Fe Institute, ha osservato che quando la popolazione di una città raddoppia, vi è un aumento del 15 per cento di reddito, ricchezza e innovazione.
Perché la Silicon Valley favorisce l’innovazione? Philip Rosedale, il creatore di Second Life e ora amministratore delegato di Alta fedeltà, spiega “la magia della Silicon Valley non è nel promuovere l’assunzione di rischi, ma piuttosto nel rendere sicuro lavorare sulle cose rischiose; qui accadono due cose qualitativamente diverse da quelle di ogni altra parte del mondo”: 1) La densità di tecnoscienziati potenziali innovatori è 10 volte superiore rispetto a quella delle altre città. 2) È di gran lunga maggiore il livello di condivisione delle informazioni tra gli imprenditori. A San Francisco queste densità sono circa due volte quelle della prossima città più alta (Boston), e circa cinque volte quelle di New York. Rosedale prosegue, “non si può camminare per strada senza (quasi letteralmente) incontrare qualcun altro che sta lanciando una società di tecnologia. Mentre le imprese tech sono individualmente rischiose, un numero sufficientemente grande di loro, una vicina all’altra, rende assai più sicuro il lavoro delle singole start-up. Oltre al fatto di avere un sacco di persone vicino a te con cui lavorare, credo che l’apertura e la disponibilità a condividere idee e attività tipici della Silicon Valley sia una grande guida”.
Perché si verifichi l’innovazione tecnologico-imprenditoriale sono quindi necessarie due cose: una popolazione con un’alta densità di imprenditori esperti di tecnologia, e una cultura di condivisione libera delle idee. In America le idee circolano e interagiscono molto più che in Europa e creano nuove iniziative. In California operano oggi ben tre centri tecnologici come la Silicon Valley e la più recente ha già 300 startup attive. Ma le tecnologie di comunicazione sempre più consentono di “vivere in comune” persone abitanti in città, stati, continenti diversi preparando - dove è facile la cultura della cooperazione - le condizioni di nuove Silicon Valley. Io stesso che, con i miei 89 anni non mi muovo praticamente più, ho più scambi di idee con americani che non con europei e italiani. In Germania ci sono diversi centri di ricerca di alto valore che pure sono ben collegati tra loro, ma che non riescono a “far esplodere” i nuovi centri dell’innovazione rivoluzionaria ed esponenziale perché masticano sempre le stesse idee con la loro propensione all’ordine e all’organizzazione e, quando questa “esplosione” eccezionalmente avviene. è la gente, le imprese, i cittadini che la rifiuta. La Germania è troppo ordinata, troppo perbene; l’Italia ha un solo centro, lo IIT (Istituto Italiano di Tecnologia) di Genova, mentre ne dovrebbe avere centinaia. Come si può pensare in queste condizioni non dico di superare gli Stati Uniti, ma di rimanere nel novero dei paesi che contano nel mondo.
L’aspetto più dirompente del processo americano di formazione del sistema innovativo è che i centri che vi operano si rinnovano continuamente, crescono in dimensione e in numero, e tutto il mondo potrebbe parteciparvi. Il numero di persone collegate a Internet sta esplodendo, passando da 1,8 miliardi del 2010 a ben 5 miliardi entro il 2020. Le opportunità per il pensiero collaborativo sono in crescita esponenziale, e dato che il progresso è cumulativo, le innovazioni risultanti sono destinate a crescere in modo esponenziale. In definitiva, questi mondi virtuali di gente interagente creeranno enormi caffetterie virtuali globali consentendo agli imprenditori di incontrarsi, di innovare, di creare imprese e risolvere i problemi. E’ per questo motivo (tra i tanti) che credo che stiamo vivendo nel periodo più eccitante che si sia mai presentato sul pianeta, Gli strumenti che si stanno sviluppando possono condurre ad una età di abbondanza, e mettere in grado di soddisfare le esigenze di ogni uomo, donna e bambino sulla Terra; questo per chi saprà approfittare di queste opportunità e non vorrà rifiutarle per motivi ideologici, per insipienza politica, per ignoranza abissale.
di Giuseppe Lanzavecchia