Colture Ogm:
prohibe et impera

venerdì 19 giugno 2015


La grande corsa degli ultimi duecentocinquant’anni è stata tutta nel segno dell’innovazione. Nell’arco di vita dei nostri nonni, siamo passati da automobili che sfioravano gli 82 km/h di velocità massima ai viaggi aerei transatlantici come abitudine di massa. La tecnologia ha cambiato le nostre libertà più concrete, rivoluzionato i costumi, nutrito il mondo occidentale. E quando ha potuto farlo, l’ha fatto perché il diritto non glielo ha reso impossibile. Perché non si è deciso di penalizzare aprioristicamente un certo tipo di tecnologia, un certo tipo di comportamento, una certa direzione dello sviluppo. La libertà di innovazione non vuol dire che tutto sia concesso. Significa invece che le strade da essa percorsa non sono predeterminate: non c’è qualcuno che dica, d’imperio e d’arbitrio, dove essa debba indirizzarsi né dove non possa andare, ma che si limita a garantire il rispetto delle regole del gioco, senza che queste assumano il fine esclusivo di beneficiare o penalizzare un giocatore in particolare.

La scorsa settimana la Camera ha esercitato proprio questo arbitrio, prevedendo che il ministero dell’Agricoltura possa emanare “misure che limitano o vietano in tutto il territorio nazionale o in parte di esso la coltivazione di un Ogm o di un gruppo di Ogm definiti in base alla coltura o al tratto”. Chi violasse il divieto subirà multe e la rimozione, a proprie spese, delle coltivazioni.

Non c’è nulla di nuovo, in tutto questo, per chi segua da anni le tristi vicende di Giorgio Fidenato, l’agricoltore friulano che si è visto persino sequestrare i campi seminati a Ogm. La campagna di comunicazione contro queste colture è da sempre intensa. E sono in molti a credere che un’interpretazione estrema del principio di precauzione debba portare a divieto delle coltivazioni tout court.

Che buona parte della comunità scientifica sostenga al contrario che gli Ogm non abbiano il tasso di pericolosità sostenuto dai loro detrattori, o che qualcuno avanzi un’interpretazione del principio di precauzione per cui semmai proprio per tutelarci dai problemi che possono venire da un mondo in cui crescono le bocche da sfamare sia necessario investire su ogni tecnologia che possa dare un aumento della produttività, conta poco. Il dibattito non è mai razionale, se chi crede di avere in tasca la verità rivelata è parallelamente convinto che quanti non la riconoscono parlino a tassametro.

Dal principio di precauzione al proibizionismo il passo è breve: di norme discrezionalmente punitive, scritte sotto la dettatura della paura o quelle di interessi particolari desiderosi di preservare lo status quo, se ne sono viste negli ultimi duecentocinquanta anni. Fortunatamente la macchina dell’innovazione non si è fermata, ma chissà se in qualche modo tutto ciò ha a che vedere con la fatica che facciamo a tornare a crescere e innovare.

 

(*) Editoriale tratto dall’Istituto Bruno Leoni


di Vladimiro Iuliano (*)