La nuova via della seta sarà lastricata di oro

martedì 2 giugno 2015


Per circa un secolo uomini d’affari e operatori finanziari si sono alzati la mattina con un riflesso condizionato: guardare il Dow Jones, poi nel tempo anche l’S&P 500, i due famosi indici di borsa mondiali. Ma l’abitudine sta cambiando: oggi, al risveglio puntano gli occhi, prima di tutto, sul Shanghai Composite Index, l’indice della borsa cinese. Schizzato da 3mila a 4.300 nel febbraio 2013, il trend è in continuo rialzo. Anche se il Financial Times l’ha definita un “casino pazzesco”, Shanghai è destinata a diventare la più grande borsa internazionale dominata da banchieri e broker cinesi. Nomi oggi sconosciuti al grande pubblico come Citic Securities and Shenwan Hongyuan diventeranno familiari come Goldman Sachs o Morgan Stanley. In un futuro non lontano Wall Street sarà una borsa regionale come il London’s Ftse. Londra, il mercato finanziario più importante fino all’inizio del ventesimo secolo, cedette il testimone a quello di New York che ora dovrà passarlo a Shanghai perché sarà la Cina a dominare nel ventunesimo secolo. Dopo aver catturato, in una generazione, i mercati mondiali con una capacità produttiva simile a quella degli Stati Uniti, la Cina sta ora per ridisegnare la mappa economica e finanziaria del pianeta attraverso il più grande progetto infrastrutturale mai concepito: un corridoio economico da Shanghai a Berlino, denominato la “Nuova Via della Seta”: la costruzione di un reticolo di itinerari terrestri e marittimi per facilitare il commercio mondiale. Il veicolo di finanziamento è l’Asian Infrastructure Investment Bank (Aiib), la banca multilaterale partecipata da 60 Paesi. Un brutto rospo da ingoiare per gli Stati Uniti che vedono minata l’influenza del Fondo Monetario Internazionale (Fmi) e della banca mondiale (Wb). Ora la domanda da porsi è: che nuovo scenario si prepara e in che valuta sarà finanziato questo colossale progetto?

Il cavallo di troia cinese

Non appena raggiunta importanza economica globale, la Cina ha avuto un obiettivo: erodere a tappe la leadership del dollaro, cioè il privilegio di stampare moneta e di imporla agli altri. A tal fine ha stretto numerosi accordi tra i Paesi asiatici per trattare in yuan e recentemente si è accordata sia con il Governo canadese, per realizzare un centro di clearing per la conversione diretta tra dollaro canadese e yuan eliminando la volatilità del tasso di cambio col dollaro americano; sia con il Governo dell’Uruguay, eletta a capitale latino americana dello yuan. La Cina pertanto ha richiesto ufficialmente all′Fmi l’internazionalizzazione dello yuan, che comporta la sua inclusione nei diritti speciali di prelievo (Special Drawing Rights, Sdr) il club esclusivo delle monete di riserva. Questo passo mira a realizzare il suo piano A. Creati nel 1969, gli Sdr sono l’unità di conto dell’Fmi formata da un paniere che comprende dollaro (47,7 per cento), euro (32,8 per cento), sterlina (12,05 per cento) e yen giapponese (7,30 per cento). Il paniere, aggiornato ogni cinque anni, riflette il peso relativo di queste valute nel sistema monetario internazionale e il valore è calcolato in dollari in base al tasso di cambio stabilito giornalmente nel mercato di Londra. Si chiamano “diritti” perché ogni partecipante può utilizzare, in proporzione alla quota versata, le altre valute del paniere per rifornirsi di liquidità pagando un interesse a chi le cede. Il “Dragone” sa che gli Sdr è un paniere di valute spazzatura ma è interessato a entrarci solo per assicurare la piena convertibilità allo yuan e quindi la sua massima circolazione. Poi, eventualmente, passerà al piano B. L’ammissione nei Sdr avrà infatti due conseguenze “sismiche”. Innanzitutto la Cina ora rappresenta il 50 per cento dell’economia mondiale e, come maggior creditore degli Usa, avrà un peso decisivo nel Fondo monetario internazionale, il ché provocherà frizioni con gli Stati Uniti. In secondo luogo, lo yuan per accedere al paniere valutario, dovrà prima sganciarsi dal dollaro cui è ancorato dal 1994, il ché potrebbe scatenare, nel sistema monetario, un terremoto di magnitudo 10 della scala Richter (molto peggio di quanto è successo quando è saltata la parità tra franco svizzero e euro). Ma in questo caso è pronto il piano B.

Gold standard 2.0

Ancor prima della crisi del 2008, la Cina, si era posta la domanda giusta: qual è il valore prospettico di valute espandibili all’infinito con la tastiera del computer delle banche centrali? E la risposta, altrettanto giusta, è stata: zero. Nel settembre del 2014 il governatore della banca centrale cinese (Pboc) affermava: “Il mercato dell’oro è parte importante e integrale del mercato finanziario cinese. Oggi siamo il più grande produttore, importatore e consumatore nel mondo. La Pboc continuerà a sostenerne il mercato” (Shanghai News, 2014-09-19). Ce lo immaginiamo un discorso simile fatto da Mario Draghi o da un altro banchiere? Mentre tutti questi sapientoni stanno pensando ad abolire il denaro, la Cina lo sta creando. E il gold standard cinese, nella sostanza, già esiste: la popolazione da anni è stata incentivata a comprare oro. In altre parole la Cina si è garantita contro il collasso del sistema monetario suicida occidentale, un sistema senza fondamento perché basato su credito inesigibile. Nel 2009 la Cina annunciava 1059 tonnellate di riserve auree e da allora, come da tradizione, si è imposta un silenzio ufficiale. La maggior parte degli osservatori stima oggi il livello delle sue riserve in 5mila tonnellate. Ma qualche analista sinologo ritiene che oscillino tra le 20mila e 25mila tonnellate. L’obiettivo della Cina, comunque, è di arrivare a 30mila tonnellate. Qual è il significato di questa cifra? Ipotizzando un prezzo di 4.700 dollari ad oncia (contro i 1.200 dollari attuali), il valore di tale disponibilità in oro coprirebbe l’intero valore delle attuali riserve valutarie cinesi (crediti) di 4 trilioni di dollari. Nel caso questa “ricchezza digitale” occidentale collassasse, la Cina incasserebbe il premio di assicurazione. Già, ma in che modo l’oro raggiungerà questo ipotetico prezzo? Semplice: per la Cina basterà annunciare il possesso di sole 10mila tonnellate (che nessun singolo Paese detiene) che il mercato si sveglierà di colpo e comincerà la corsa sfrenata sia allo yuan che all’oro. E siccome l’oro non si crea al computer, la domanda a fronte di un’offerta limitata lo spingerà a valori stellari. Questo, in sintesi, il piano B della Cina e risponde alla domanda postaci all′inizio. Con il dollaro sul viale del tramonto e l’euro in disarmo, la nuova via della seta sarà finanziata in yuan.


di Gerardo Coco