Pensioni, un edificio senza le fondamenta

venerdì 15 maggio 2015


“Come sei fallito? Prima piano piano, poi di colpo” (da: “Fiesta” di Ernest Hemingway). È la situazione dei sistemi pensionistici pubblici di molti Paesi avanzati, europei in particolare. Tre sono i motivi. 1) Il modello previdenziale universale o welfare non ha fondamenti economici; 2) Il calo demografico: per la prima volta nella storia moderna la generazione anziana (i baby boomers nati nel 1947-49) è più numerosa della nuova (gli echo boomers nati nel 1980) che deve pagare le pensioni alla prima; 3) Con un debito cresciuto oltre ogni ragionevole limite non è più possibile sostenere la spesa sociale derivante da un sistema che ridistribuisce risorse correntemente prodotte dalla popolazione attiva a quella che non lo è più. Se si dovesse tenere conto delle unfunded liabilities, cioè di tutta la “sicurezza sociale” senza coperture finanziarie, il debito reale in media non raddoppia, triplica.

In Italia, il processo fallimentare alla Hemingway è in fase avanzata. Il governo italiano ne è da tempo consapevole e le riforme del sistema negli anni passati lo attestano. Il guaio è che il sistema è irriformabile. È sempre stato un guazzabuglio di previdenza, sicurezza sociale, assistenza, solidarietà, ecc., “legiferato” e messo in conto alla collettività. Che recentemente sia dovuta intervenire addirittura la Corte Costituzionale con una sentenza contro il blocco delle perequazioni scattato con la riforma Fornero è solo un sintomo della degenerazione in atto. Molti hanno stigmatizzato questa invasione di campo che non ha tenuto conto, sia dell’esistenza o meno di fondi per pagare l’adeguamento, sia delle sanzioni europee che ne sarebbero derivate. Ma la Corte non deve affatto tenerne conto, ma solo preoccuparsi che i diritti acquisiti, anche se originano da un sistema perverso, non vengano calpestati aprendo la strada al banditismo statale e europeo. Chissà perché per le pensioni i soldi non si trovano mai e per altre colossali dissipazioni che beneficiano solo minoranze si trovano sempre. I sistemi perversi si cambiano, prevedendo però un periodo di transizione per non danneggiare chi, in precedenza, ha riposto fiducia nelle istituzioni, anche se malandate. E qui casca l’asino: quando i governi sono considerati lo strumento previdenziale e provvidenziale assoluto, il cambiamento vero è impossibile. Per i governi è facile dare, ma è difficile togliere. Fra non molto, però, non saranno neppure nella condizione di promettere.

Un edificio senza fondamenta crolla

La sicurezza sociale è un pilastro del welfare state, il piano di protezione attuato dallo Stato che si crede sia stato ideato dal Cancelliere tedesco Otto von Bismarck nella seconda metà dell’Ottocento. Lo stato sociale fu invece un’invenzione dello stato romano attuata con rapine sistematiche. Quando lo sviluppo economico era attività di conquista, i sussidi al popolo non potevano che provenire dalla razzia delle province sottomesse. A trasformare i sussidi in pensioni fu Ottaviano Augusto formalizzando un piano per i militari che avessero compiuto 20 anni di servizio. Il piano fu finanziato sempre tramite rapina: l’Egitto di Cleopatra fu completamente spoliato. La rovina dell’Impero manifestatasi nel III secolo non avvenne per motivi esterni, ma per la degenerazione di questo sistema: i militari, autoproclamatisi imperatori, per pagarsi pensioni e gratifiche imposero anche alle popolazioni libere un’opprimente tassazione che, accompagnatasi al deprezzamento monetario e all’emigrazione del denaro verso le province ellenistiche, ridusse l’Italia in completa povertà (ricorda qualcosa?). La riorganizzazione dell’Impero da parte di Diocleziano sprofondò l’Europa nel Medioevo e i piani di assistenza rividero la luce nel XVI secolo nella forma di fiscalità generale.

Il modello previdenziale universale, copiato poi dagli stati moderni, fu creato da Otto von Bismark. Il cancelliere tedesco non era un uomo dal cuore tenero e temeva che il comunismo radicale e la lotta di classe facessero a pezzi l’ossatura della società tedesca. Nel 1889, fondando i principi della sicurezza sociale trasformò il socialismo rivoluzionario in riformista. Fu, al tempo stesso grande mossa politica e innovazione sociale. Tuttavia l’uomo della realpolitik trascurò il fatto che il riformismo, per non diventare arbitraria redistribuzione deve autofinanziarsi cioè avere una base economica indipendente. E pensare che uno dei pilastri della società, il principio di capitalizzazione, che trasforma la ricchezza in reddito e ne aumenta la base, ai suoi tempi, era efficacemente operante. La prova indiretta dell’importanza di questo principio è che il sistema di redistribuzione regge solo se l’economia prospera riassorbendo gli sperperi della redistribuzione di cui quasi non ci si accorge. Purtroppo l’economia è ciclica. Se poi il ciclo economico e demografico sono negativi e se la speranza di vita aumenta, la base economica si assottiglia e le prospettive diventano terrificanti. Il sistema fallisce piano piano e poi di colpo. Il problema delle pensioni, come quello dei posti di lavoro, è un problema che solo l’economia può risolvere.

Il patto intergenerazionale sarà un conflitto generazionale

Quando viene il momento dell’erogazione della pensione i contributi versati a suo tempo sono già stati spesi e il denaro che si riceve deve essere prelevato dalla tassazione dei lavoratori attuali e futuri. È il sistema di ripartizione della maggior parte dei sistemi previdenziali. È lecito legare ad un “patto” sociale persone che non hanno ancora l’età per votare o che addirittura non sono ancora nati? Perché dovrebbero accollarsi il peso di un contratto non stipulato? I diritti di proprietà, pensioni incluse (anche se il pagamento è differito), non possono essere assicurati dall’adesione obbligatoria a un sistema coercitivo che fra l’altro elimina il nesso tra responsabilità e diritti, tra lavoro e ricompense. Il risparmio di individui attivi, la base della ricchezza futura, è consumato dalla generazione pensionata. E ciò perché il risparmio in forma contributiva non è capitalizzato fin dal momento della riscossione ma dissipato senza essere ricostituito.

Verrà il momento in cui i piani contributivi saranno respinti dai lavoratori futuri e le pensioni diventeranno un campo di battaglia tra vecchie, nuove generazioni e classi sociali per accaparrarsi risorse sempre più scarse. Senza capitalizzazione il sistema collasserà come nel III secolo. Le pensioni sono una promessa di pagamento che dipende non solo dal rapporto tra lavoratori attivi e pensionati, tra monte salari e montante contributivo, ma anche dalla produttività dell’economia e dal rendimento della ricchezza accumulata. Ma se la produttività decresce e i tassi di interesse sono forzatamente a zero o negativi, il valore delle promesse è nullo e non resta altra scelta che camuffare l’espropriazione da solidarietà generale, tuttavia incapace di dare pensioni decenti. Senza ricostituire la redditività prosciugata dal dirigismo statale e monetario, il sistema pensionistico resterà una bomba sociale ad orologeria. Troppo spesso ci si dimentica che è il sistema industriale a dirigere l’economia e a pagare, all’intera collettività, salari e pensioni. Se scomparisse, prima di ricostituirlo, dovremmo ritornare a coltivare la terra. Altro che pensioni...


di Gerardo Coco