Massimo ribasso e massimo rialzo

giovedì 14 maggio 2015


Il Tar (Tribunale amministrativo regionale) del Lazio ha invalidato la gara indetta a fine dicembre di 2 anni fa dalla multiutility capitolina Acea Energia per l’affidamento del servizio di gestione in overflow di servizi di Call Center e back office, gestito dal 2005 dai 420 lavoratori della società romana E-care e dalle società d’origine.

L’esercizio che da aprile era stato tolto al call center romano di Torre Spaccata, ora gli tornerà, almeno fino al 31 marzo p.v. con una proroga di contratto ma sotto le nuove condizioni fissate nella gara. Avviata dal ricorso di un anno fa della cooperativa Cooperativa Capodarco, la sentenza, di pochi giorni fa, afferma che al servizio di “contact center (in-bound, out-buond e back office) oggettivamente caratterizzato da particolare complessità, non è applicabile il criterio del prezzo più basso”. Invece l’Autorità nazionale anticorruzione e per la valutazione e la trasparenza (ANAC), erede dell’ Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (AVCP) aveva approvato la gara.

Non solo, ad apposita interrogazione parlamentare sulla gara di appalto Acea l’AVCP aveva confermato che delocalizzare il lavoro in un paese estero dell’Unione Europea era legittimo se rispondente allo scopo di ridurre il costo del lavoro. Come dire, allo scopo di aggirare i contratti. Alla faccia del dialogo sociale. Il Tar infine è stato di avviso opposto. Di questa decisione si tornerà a parlare. Segue, in occasione del caso Uffizi, l’intervento del Mibact su Consip, gestore del mercato elettronico per la PA, teso a riconoscere una clausola sociale di protezione per le società di biglietteria operanti nel polo museale fiorentino. E’ in linea con la richiesta unanime del consiglio capitolino di rivedere i termini della gara. I tempi aziendali e giuridici restano lunghissimi. Dopo due anni, non è detta la parola fine su una gara indetta nel 2013 ed a soffrirne sono i dipendenti diretti ed indiretti con i consumatori.

Attualmente circa 60mila lavoratori dei contact center sono perennemente sotto la spada di Damocle della revisione, da parte di società pubbliche e partecipate, al minimo del valore contrattuale delle commesse, oltre le soglie dei minimi retributivi contrattuali. Stabilire nel mercato privato e pubblico degli appalti di comunicazione telefonica ed Ict l’inapplicabilità del massimo ribasso che significa compressione salariale e occupazionale cambierebbe il sistema dei relativi appalti e indurrebbe le aziende aspiranti appaltanti a rivedere i loro piani. La parola ora andrà al Consiglio di Stato, livello superiore del Tar, e soprattutto al legislatore italiano ed europeo che dovrà trovare una soluzione positiva capace di coordinare qualità di mercato, contratti nazionali di lavoro e regole di sistema a tutela dell’occupazione nazionale. Altrimenti non avranno mai fine i tanti sit-in di E-care e degli altri call center e le relative sofferenze delle famiglie coinvolte. Finora non ci sono riusciti né il Tupe inglese, né le diverse direttive di Bruxelles, né le norme sugli appalti italiane.

Nel caso particolare di Acea, del suo call center interno Acea800 e del contact center fornitore, non si può non notare la contraddizione tra tanta ricerca di risparmio da un lato ed altrettanto spreco dall’altra. Basti pensare al piano da 50 milioni su Acea 2.0 contestato dai sindacati aziendali che vorrebbe portare molti dipendenti nel call center interno, coon il rischio di 800 esuberi, che ha già speso 2,5 milioni di consulenze tra cui 300mila per un noto guru americano e che al momento fa segnare un rosso di 5 milioni. In questi casi il criterio seguito sembra quello del massimo rialzo.


di Giuseppe Mele