Default Usa sociale/monetario È la fase finale?

mercoledì 13 maggio 2015


L’evoluzione del modello socioculturale dagli anni Cinquanta ad oggi negli Usa è forse la più cruda e drammatica espressione del “default” di un modello di sviluppo incarnato nel pensiero unico tecnico-razionale che sta portando quella grande società al rischio di un punto di non ritorno sia nella compattezza sociale che nel dissesto monetario, provocati entrambi da una crescita esplosiva del potere e della legittimazione sacrale della finanza. Si è affermata un’oligarchia dominante rispetto agli ideali di democrazia e di felicità spirituale consacrati sia nella dichiarazione d’indipendenza che nella sua costituzione e ripresi simbolicamente dagli enunciati: “E pluribus unum” ed “In God We Trust”. Come siamo lontani dal coraggio e dal vigore morale dei padri costituenti.

Il modello culturale degli Usa è diventato dominante dopo la Seconda guerra mondiale quando il loro intervento è stato cruciale, come peraltro quello russo con i suoi 20 milioni di morti colpevolmente dimenticato oggi nel ricordo di una guerra fatta per il bene comune ma superato dai miseri interessi egoistici, per sconfiggere il nazismo e le sue barbarie disumane dei campi di concentramento. La cultura americana era ed è fondata sulla tecnica-razionale come soluzione di tutti i problemi quindi le scienze tecniche hanno finito per assumere una dimensione metafisica ben lontana dalla realtà. “Quando la scienza si considera come una tecnica per la trasformazione di noi stessi e di quanto ci sta attorno, vediamo che ci dà un potere del tutto indipendente dalla sua validità metafisica… Non appena si comprende l’insuccesso della scienza considerata come metafisica, il potere conferito dalla scienza come tecnica si otterrà solo da qualcosa di analogo all’adorazione di Satana, cioè dalla rinuncia all’amore”, così ci metteva in guardia Bertrand Russell (“La visione scientifica del mondo”, edizione Laterza, pag.181, anno 2009; la prima edizione era del 1931). Ma alla fine è stato esattamente così come da tempo sostiene Emanuele Severino, la tecnica diventa padrona del mondo e l’uomo il suo oggetto sacrificale. Quindi si sono definitivamente affermati in quel modello socioculturale l’uomo ed il pensiero razionale che trovano le radici lontane nel tempo, nel campo della speculazione a partire da Kant che con l’enunciato dell’autocritica afferma che la ragione fa della propria finitezza e del carattere assoluto (infinito) della libertà un punto di partenza decisivo che sarà ripreso da Hegel, dall’idealismo tedesco e dal materialismo storico di Marx.

La crisi antropologica, percepita sempre e drammaticamente come economica, che sembra ci stia divorando ha radici lontane ma quando un paradigma culturale mostra crescenti anomalie e distorsioni sia nell’interpretazione dei fatti, sia nella capacità di indirizzare le linee di sviluppo pone la necessità di ripensarlo e di assumere paradigmi differenti e coerenti con la mutata realtà per avere una più raffinata e dettagliata interpretazione dei fatti e del loro divenire. Avere separato l’uomo dalla sua dimensione spirituale vuol dire condannarlo a non essere uomo inteso come persona, la dimensione tecnica prevale sulla dimensione emozionale. “Tutta la struttura innalzata da noi occidentali è fatta dalla tecnica, un materiale meno durevole dello spirito e l’uomo non può vivere di sola tecnica. Nella pienezza dei tempi la dimora ecumenica sarà solida nella misura in cui poggerà sulla ima roccia della religione” (A. Toynbee, “Civilization on trial”, 1947). Infine nel dominio del pensiero unico anche l’economia da scienza sociale e morale è diventata una scienza razionale da considerarsi come verità incontrovertibile e fine delle società. La nuova economia nasce nel 1969 con il primo premio nobel, peraltro mai previsto da Alfred Nobel, ma il suo ruolo taumaturgico dei mali sociali ne richiedeva la consacrazione come verità sacrale. “Più migliora l’economia e più migliora la società” diventa il mantra della felicità universale e al diavolo la “cultura umanistica” e l’uomo diventa mezzo e si prepara il dramma umanitario di oggi. Proprio gli Usa padroni della tecnica hanno vinto negli ultimi 60 anni gran parte dei nobel nelle scienze tecniche, in economia il 65 per cento dei premi Nobel e dal 1990 tutti gli anni almeno un americano ne ha vinto uno, gli anni della finanza pietra filosofale; su 46 anni del premio non l’hanno vinto solo in 5 anni (1969, 1974, 1977, 1984, 1988). Di fatto però, nessun americano ha vinto un nobel nella letteratura – Toni Morrison nel 93 era l’espressione della minoranza, ora maggioranza di colore e sia Saul Bellow che Isaac Bashevis Singer erano espressione della cultura europea dove si erano formati, questo è indicativo di quanto il distacco dall’anima possa portare al caos in cui li vediamo dibattersi sempre più affannosamente. “Un popolo senza metafisica è come un tempio senza altare” diceva Hegel, nessun popolo può sopravvivere senza un granello di spiritualità.

Dal 1940 ad oggi gli Usa sono radicalmente cambiati in peggio, la grande depressione è stata un’occasione per ricostruire il capitale sociale che era stato distrutto ancora una volta dal dilagare della finanza e fare diventare il Paese un modello quasi socialista. Dal 1942 al 1972 il quintile più povero del Paese cresceva del 118% mentre il più ricco dell’86%, vi era una bassa disuguaglianza dei redditi ed un alta tensione sociale verso il bene comune; la “golden age” finisce di fatto con la morte di Robert Kennedy nel 1968 e con l’avvento di Nixon il Paese cambia pelle. Dal 1972 ad oggi il quintile più povero ha avuto una crescita prossima allo zero ma quello più ricco una di oltre il 150%. Il Paese da un modello di democrazia si è evoluto verso una forma di crescente e dominante oligarchia la cui cultura lo tiene tutt’oggi in ostaggio. L’affermazione del neoliberismo come fine e non come mezzo ha assestato il colpo decisivo ai precari equilibri sociali e l’affermazione della moneta come fine e non come mezzo ha finanziarizzato l’economia reale costruendo lo sviluppo economico sulla carta; la finanza rappresenta oltre il 23% del Pil americano mentre la manifattura con una drastica delocalizzazione ha ridotto il suo ruolo all’11% del Pil - una manifattura in cui le armi, il tabacco e l’alcool, noti prodotti socializzanti hanno un ruolo determinante. È ancora peggio nel Regno Unito dove il Paese ha un indice di manifattura pari al 5% ed il 33,3% degli inglesi sono sotto la soglia della povertà anche se lavorano 40 ore alla settimana come dimostra lo studio dell’Università di Bristol.

Avere assunto come fine la massimizzazione del risultato personale ha giustificato la più illimitata “deregulation” nei processi di acquisizione della ricchezza ed il principio del mercato si è affermato come verità assoluta; la caduta del muro di Berlino ha generato la supponenza di un dominio infinito da realizzarsi in modo egemone a livello globale; “La fine della storia” era diventato un best-seller. Quei fatti peraltro aprirono la strada alla crescita della Cina che cominciò a diventare la fabbrica del mondo ed ad assumere il ruolo di potenza alternativa vista la temporanea caduta della Russia, ma la storia non diviene mai esattamente come la si vuole perché il fattore “X” è determinante nel suo sviluppo e non è prevedibile.

Se il fine giustifica i mezzi - max del profitto - la finanza diventa il mezzo più rapido per realizzarlo dell’economia reale e la cultura Usa si identifica con la finanza che diventerà il motore di una forza devastante anche a livello globale. Gli anni che vanno dal 1990 al 2000 preparano la cavalcata dei prodotti finanziari sull’economie reali desertificandole come un’invasione delle locuste. L’economia da solida diventa liquida, il monetarismo diventa imperante e l’orizzonte di lungo tempo dell’economia reale diventa di breve o brevissimo tempo poi il saccheggio; la cultura del “tutto e subito” porta al degrado morale e l’instabilità sociale e finanziaria contribuisce alla formazioni di gravi patologie sociali che minano alla base i sistemi sociali rendendoli vulnerabili ai conflitti ed alle turbolenze sociali. L’accademia, intessendo relazioni tossiche con la politica e la finanza attribuirà i premi nobel a quegli “economisti-matematici” che consacrano la razionalità dei mercati come verità da non mettere in discussione contro ogni evidenza logica e perfino “razionale”, così viene data in dote alla società la “pietra filosofale”. In quegli anni si va, probabilmente definendo un percorso di mutamento a livello geopolitico che ci condurrà alla crisi del nostro tempo, in parte preparata nei secoli dal pensiero ma alla fine accelerata per realizzare un disegno egemonico da tempo prefigurato; in questo senso, probabilmente, l’attuale crisi ha radici dolose. Quel modello si è esteso anche ad altri Paesi occidentali che hanno storie diverse ed una cultura meno legata al mercato ma più al welfare, ma è evidente che il sistema sta perdendo il suo equilibrio mentale e morale.

Nella finanza piccolo non è bello e la concentrazione di ricchezza porta ad una sua eccessiva stratificazione verso l’alto, si generano i prodromi per il crollo della tenuta della società ed esplode la disuguaglianza che acuisce fenomeni patologici come l’ansia, la paura, il senso di isolamento, la svalutazione di sé stessi e la sfiducia, forme depressive con l’abbandono della famiglia e della scuola o in alternativa aggressive e rabbiose forme di protesta che si manifestano con violenza ed atti criminali. Si generano fenomeni compensatori come la tossicodipendenza o forme di soddisfazione che esprimono una regressione a bisogni primari come la bulimia e la sessualità non controllata; tutti fatti drammaticamente in crescita come espressi dagli indicatori sociali. Ma il pensiero unico dominante conduce la società lontano dalla capacità della conoscenza dei problemi che lo stanno demolendo e sempre più verso l’ignoranza, l’erosione e lo svuotamento di valori, l’aridità creativa (siamo ad un livello minimo in tutti i campi) e l’impoverimento della vita socioculturale. Ci troviamo di fronte a culture “imbalsamate” i cui contenuti diventano sempre più un mero reperto storico, si impoveriscono e cominciano a collassare.

La finanza esplosa negli Usa ha determinato uno sviluppo della stessa a scapito dell’economia reale, dal 2000 al 2013 la manifattura ha perso quasi il 45% della forza lavoro ed oggi è pari all’11% del totale, ma la moneta non crea moneta; gran parte della manifattura è stata sostenuta dalle spese belliche - gli Usa spendono all’anno quasi il 50,5% delle spese globali e le loro industrie sono passate dalla quota di mercato del 27,75% del 2003 all’80% di oggi; la riconversione di una tale industria ha anche alti costi umani determinati dal disimpiego dei militari. La guerra al terrore ha indebolito la vigoria dell’esercito ed aumentato patologie depressive, i dati della Us Army dichiarano che il 52% dei soldati soffrono di questa sindrome. Lo shale gas sta affrontando una rapida recessione, sia per la sua diseconomicità che per gli effetti, destabilizzando sul sottosuolo come possibili terremoti e la bolla scoppiando esaspererà i fenomeni della disoccupazione e la bolla monetaria creata per prendere tempo. In un’economia finanziaria la ricostruzione diventa complicata ed aumenta il disagio sociale espresso dalla disuguaglianza e dalla povertà, il reddito dell’1% più ricco è pari al 40% del reddito totale e la classe media che è il lievito della società occidentale è crollata. L’apparente diminuzione della disoccupazione maschera la sottoccupazione è paradossale che la diminuzione della disoccupazione si accompagni all’aumento della povertà (oltre il 25% degli americani ed il 35% dei bambini sono sotto la soglia della povertà ed un americano su sei ha bisogno di un buono pasto). La sottoccupazione più devastante sono i ragazzi laureati alle business school che hanno dovuto indebitarsi per mantenersi agli studi ma che oggi con mestieri marginali e precari non riescono più a pagare i loro debiti che sono ormai l’8% del Pil. Anche l’aumento del Pil, in questo sistema fiscale, ha un’utilità negativa perché favorisce la concentrazione di ricchezza e non la sua redistribuzione.

Il rimedio è stato offerto dall’immissione di liquidità, come curare un drogato aumentando le dosi, ma è l’unico modello culturale che conoscono; la liquidità è utile se il motore comincia ad andare altrimenti è solo un differimento dei problemi, negli anni 60 quando l’economia reale tirava 1 & di debito generava 2,5 & di Pil, oggi lo stesso dollaro genera 0,03 $ di Pil. Gran parte dei derivati fatti dalle banche d’affari Usa, circa il 70% delle loro transazioni, sembra essere funzionale a sostenere il dollaro con un gioco magico di luci ed ombre che non può durare a lungo senza i fondamentali alla base solidi.

La disuguaglianza, come evidenziato, ha scardinato la società perché al suo aumentare sono correlate le patologie sociali; gli Usa hanno tra le società evolute il più alto tasso di incarcerazione, di mortalità infantile, di obesità minorile, di gravidanze precoci in ragazze minorenni, di omicidi, di uso di droghe, di diffusione di armi, di abbandono scolastico, di mancanza di cultura diffusa, di malattie mentali e depressive (il farmaco più venduto è l’antidepressivo Prozac)… Si può continuare in un elenco drammatico.

Quanto può durare una società che si sta sgretolando alla base con un sistema monetario dominante ma fondato su immensi volumi di carta che non rispondono alla ricchezza reale? La “Storia” dimenticata da quella cultura dimostra nei secoli che le società sono sempre crollate per guerra o per classe; due annunci recenti non sono rassicuranti: la Federal Reserve System ha deciso per problemi meteorologici di chiudere gli uffici di New York (allora il clima è veramente cambiato) e l’esercito si prepara all’operazione “Jade Helm” che consiste nell’andare nelle “enclaves” più indisciplinate per provare a portare ordine. Una mossa pericolosa che ricorda l’inizio della rivoluzione francese quando Luigi XVI anziché mandare derrate alimentari per sedare la fame mandò i fucilieri a sparare.

Il vero dramma del Paese è una cultura che ha messo la tecnica e la finanza come guida morale da non discutere ma solo la consapevolezza dei limiti di quel modello potrebbe portarli a rimetterlo in discussione. La scelta egemonica è del tutto connaturata ad una società fortemente oligarchica che vuole mantenere la propria posizione a discapito di una società che si sta sgretolando alla base, il pensiero unico è strutturalmente incapace di pensare ad alternative e pur di affermarsi va avanti, così oggi ci troviamo di fronte al reperto archeologico di una guerra fredda funzionale a mantenere in vita un modello che rischia di portarci veramente al caos. Servirebbe un’Europa unita in grado di riaffermare la sua cultura della storia e la sue esperienza secolare fatta di utopie ma anche di dolore, ma sembra invece solo un involucro vuoto e privo di idee e di coraggio ben lontana dai suoi padri fondatori tra i quali figuravano due grandi italiani Alcide De Gasperi e Altiero Spinelli che oggi si rivolterebbero nella terra.

(*) Professore ordinario di Programmazione e Controllo - Università Bocconi


di Fabrizio Pezzani (*)