Euro: l’ultima farsa

martedì 10 febbraio 2015


L’unione monetaria europea promise una nuova epoca di progresso economico e civile: un nuovo modello di superstato sociale guidato dal potere dei governi e di burocrati benevoli che avrebbero garantito la stabilità economica, quella delle istituzioni e della democrazia, la protezione delle minoranze e una rete di sicurezza sociale tramite la regolazione del mercato (la sua soppressione) per accudire ognuno dalla culla alla tomba. Funzionale a tale modello universalistico previdenziale era la banca centrale europea (BCE) che, col potere assoluto della politica monetaria, avrebbe agito da deus ex machina, per risolvere le eventuali disfunzioni nel sistema, come la divinità che interviene nella scena dei drammi greci per risolvere i problemi senza via d’uscita per i comuni mortali. La banca centrale si assunse il compito di ridistribuire il reddito dai governi efficienti a quelli inefficienti. Infatti, per finanziare il debito i governi emettevano titoli che il sistema bancario acquistava, usava come collaterale per ottenere prestiti dalla BCE e alla fine li girava alle tesorerie degli stati membri. Così la BCE monetizzando indirettamente tutti i debiti ridistribuiva anche i redditi fra i governi. Come? Attraverso la manovra del tasso di interesse e il deprezzamento monetario. In un mercato libero da interferenze, l’altezza del tasso di interesse dipende dalla capacità di rimborso del debitore: una impresa affidabile e solvibile pagherà un premio per il rischio minore di un’impresa reputata meno efficiente e a rischio di insolvenza. Il capitale di credito, quindi, affluisce dove il rischio è rimunerato e dove conserva la liquidità cioè la sicurezza di essere rimborsato. Così vuole “madre natura”. Un’allocazione del credito diversa da quella della logica di mercato provocherebbe una sua ridistribuzione a favore delle imprese inefficienti diminuendo la disponibilità di capitale per quelle efficienti in grado di farlo rendere e di restituirlo a scadenza. Il reddito complessivo dell’economia si ridurrebbe e, insieme, la disponibilità del credito futuro che dipende appunto dall’aumento del reddito complessivo. Questa logica non viene applicata ai governi perché i titoli che emettono sono considerati per definizione esenti da rischio. Perciò il tasso di interesse fissato dalla banca centrale non serve più a misurare il rischio di credito ma a diminuire il costo del debito dei governi. Il mercato finanzia anche governi dissipatori solo perché sono coperti dalla garanzia della banca centrale che ha il potere di rendere liquido qualsiasi credito intrinsecamente illiquido concedendo ai governi una fideiussione illimitata. Tuttavia, così operando, la banca centrale ridistribuisce il credito sottraendolo a chi è realmente solvibile. Non solo. Accettando come collaterale dei prestiti titoli di debito indipendentemente dalla loro solvibilità deprezza pure la moneta riducendo il potere d’acquisto di chi spende e si indebita con giudizio. Questo effetto si chiama tecnicamente “esternalizzazione dei costi monetari”: il credito emesso, non essendo rimborsabile e quindi non riassorbibile, resta in permanenza in circolazione diminuendo il potere d’acquisto della moneta. E’ un fenomeno lento, inavvertibile ma implacabile che colpisce tutta la collettività, ridistribuendo il reddito a favore di chi emette il debito che mai pagherà.

L’eurozona è andata avanti per quasi 15 anni incoraggiando la spesa a tassi di interesse artificialmente bassi soprattutto quella dei cosiddetti PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna) che, garantita dai prestiti della BCE, ha progressivamente minato la loro economia reale rimasta con credito insufficiente per investimenti produttivi. Poiché la spesa dei governi, cioè la spesa politica, non produce flussi finanziari in grado di ripagare il capitale preso a prestito e gli interessi, la differenza deve essere colmata dalla collettività dei contribuenti con l’aumento della pressione fiscale e con la riduzione del potere d’acquisto. E’ così che nell’euro è avvenuta la grande spoliazione delle classi medie. Il modello economico e sociale europeo è consistito proprio in questa spoliazione.

A partire dal 2008 gli eccessi di spesa sono durati praticamente fino ai nostri giorni creando un circolo vizioso da cui è impossibile uscire: i debiti, riducendo la crescita hanno reso impossibile il servizio del debito. I paesi sono diventati meno competitivi, gli investimenti privati sono diminuiti ed è aumentata la fuga di capitali in euro verso valute con maggior rendimenti, essendo gli interessi ridotti a zero per favorire l’indebitamento dei governi. Ad aggravare la situazione si è aggiunta l’insolvenza del sistema bancario. Infatti, a partire dal 2011, le agenzie di rating internazionali hanno cominciato a declassare i titoli di debito riducendo automaticamente il valore dell’attivo di bilancio delle banche, costituito in gran parte da tali titoli, pregiudicandone la capacità di erogare credito.

Iniziavano così gli interventi della BCE diretti a sostituire i titoli illiquidi e senza rendimento con espansioni di credito. Ora, sarebbe errato far ricadere la responsabilità di tutta questa situazione solo sui paesi debitori. Non hanno maggiore colpa dei creditori irresponsabili che li hanno affidati sapendo che mai sarebbero stati in grado pagare. In un’economia di mercato una situazione di questo genere non si verificherebbe mai. I creditori imprudenti soccombono insieme ai debitori prodighi. Nel mercato non esiste un deus ex machina pronto a salvarli, ma disciplina e prudenza, le due qualità che agiscono da freno e impediscono che le cose vadano a rotoli per tutti.

Con la crisi generalizzata dei PIIGS interveniva della Troika (Commissione Europea, la Banca centrale e il Fondo monetario internazionale) una sorta di autorità giudiziaria internazionale che trattando i PIIGS come paesi sottosviluppati, imponeva l’austerità. A che basso livello doveva scendere l’area della moneta comune! Che fine poco dignitosa per governi che pretendono la “sovranità”! Nel caso della Grecia la situazione è giunta al parossismo anche perché questo paese per entrare nell’euro venne aiutato dalla Goldman Sachs a mascherare il debito reale per aumentare il suo merito del credito e indebitarsi come fosse una Germania. Quando nel 2010 la Grecia fu sull’orlo del default la Troika le prestò miliardi a interessi al di sotto del mercato in cambio di austerità, il che equivaleva a curare un’anoressica con una dieta dimagrante. Il prestito, infatti non andava alla Grecia ma ai suoi creditori irresponsabili e quindi spostava a data futura il peggioramento della crisi che puntualmente è arrivata. Oggi la Troika detiene circa l’80% del debito totale della Grecia che è di €320 miliardi quasi il doppio del suo PIL. Le trattative per ripagarlo e a cui stiamo assistendo, più che un dramma sono una farsa. E’ infatti ovvio che il debito della Grecia non potrà essere mai ripagato essendo la sua economia allo stremo. Ora non c’è più un deus ex machina risolutore, ma solo cause ed effetti da comuni mortali. L’eventuale uscita della Grecia dall’euro è diventata pericolosa per tutti i protagonisti della farsa. Per la Germania e per i paesi del blocco nord in quanto l’euro, con l’uscita di un paese considerato zavorra dai mercati finanziari, si rivaluterebbe mettendo a rischio le importazioni dei paesi esportatori. Comprometterebbe la politica della BCE che vuole un euro debole e importare inflazione. Il valore di tutti debiti aumenterebbe e la deflazione peggiorerebbe. La Grecia precipiterebbe nell’orbita della Russia vanificando la politica di sanzioni USA contro questo paese che richiede la cooperazione di tutti i burattini NATO. Infine l’uscita della Grecia rafforzando i movimenti anti euro potrebbe scatenare un’ondata di secessioni. Per ricostituire il credito alla Grecia non rimane pertanto che la solita manovra: rimuovere il debito dai suoi libri e trasferirlo su quelli dei contribuenti dell’eurozona. Almeno così prevede il modello economico e sociale creato dalla moneta unica.


di Gerardo Coco