La crescita conveniente dell’Italia in Europa

martedì 3 febbraio 2015


Ci vogliono investimenti e lavoro, efficienza produttiva insieme a riforme strutturali per la crescita dell’Italia in Europa. Bisogna andare a chiedere all’Unione europea di mettere in atto un piano di investimenti tale da consentire la ristrutturazione/conversione degli apparati pubblici in strutture autonome di mercato. Misure cioè per la crescita da unire al piano quantitative easing della Bce.

Certo, a guardare al ridicolo pianetto Juncker, non siamo sulla strada giusta. La strada giusta sono investimenti e lavoro in un contesto di riforme strutturali in Italia. Spingere cioè sugli investimenti e fare le riforme strutturali. Chi lo fa? Si guardi bene la situazione della Grecia. Ha gestito, truccando, governo e finanze pubbliche. Con la crisi del 2008 ha cominciato a prendere dall’Europa prestiti a tassi convenientissimi promettendo che avrebbe rimborsato i creditori e attuato le riforme strutturali, cosa che non riesce tuttora a fare ha tuttora, con la drammatica disoccupazione che raggiunge il 50 per cento dei giovani, la caduta drastica del pil, e un debito pubblico pari a 320 miliardi. L’Italia è al contrario il Paese delle vacche grasse, un ufficiale pagatore che si lascia financo vessare da Paesi che hanno approfittato e approfittano dell’Unione europea come la Germania.

Sarebbe ora che anche l’Italia approfitti dell’Europa finchè esiste, dunque se la Grecia, come cercherà di fare, chiederà la ristrutturazione , anche parziale, del debito, mutatis mutandis, cioè da una base differente ma pur sempre stracarica di debito, l’Italia può inserirsi e chiedere quantomeno la compensazione dei suoi 4 miliardi di credito vantati verso la Grecia. Tra l’altro l’Italia, quando si è finanziata sui mercati lo ha fatto con tassi molto superiori all’uno virgola cinque per cento concessi ai prestiti dati alla Grecia.

In questa Europa siamo e saremo sempre “contagiabili”, dunque oggi è il momento non tanto di mettersi su una scìa come quella della Grecia che non ci appartiene ma di sicuro, in occasione dell’avanzamento delle richieste greche, l’Italia può guadagnare terreno, inserendosi nella contrattazione anche solo allo scopo di dismettere la parte di ufficiale pagatore a senso unico. L’Italia è così male rappresentata in Europa che riesce a pagare a iosa e a sorbire pure le lezioni di chi ha lucrato sopra tutti gli altri, come ha fatto la Germania. E’ ora di farsi avanti e, assecondando l’onda greca, si rivedano i conti.

Non è detto la nuova negoziazione debba rimanere circoscritta alla sola Grecia, ad esempio si può spingere le istituzioni europee su una direttrice di economia reale e di investimenti che avvantaggi in prospettiva il nostro Paese. Insomma Paese europeista sì, ma non fesso e a sovvenzionamento di tutti gli altri, e pure con lezioncina tedesche. Essere europeisti deve essere conveniente per l’Italia, soprattutto per noi che abbiamo dato e contribuiamo tanto.

Se non si agisce in tale utile direzione, l’onda antisistema e anti euro che movimenta l’Europa, trasporterà con sé gli animi, già molto eccitati in vista delle prossime elezioni di maggio 2015 previste nel Regno Unito in cui l’ascesa del partito antieuropeista di Farage è prevalente, o in Spagna con i Podemos sempre più inviperiti contro questa Europa e sempre più primo partito del Paese, o in Francia con il partito di Marine Le Pen in testa costantemente a ogni sondaggio.


di Francesca Romana Fantetti