Aumento Iva: qual è il valore aggiunto?

martedì 28 ottobre 2014


La notizia che circola dell'aumento dell'Iva ha destabilizzato molti, innescando osservazioni e riflessioni di varia natura: partendo solo da un aspetto, si possono fare ipotesi sulle tante catene di effetti.

In primis, questo innalzamento delle aliquote, infatti, porterebbe anche (tra gli altri) ad una riduzione del potere di acquisto: considerando la situazione attuale, vi sono alcuni forti e pericolosi rischi da tenere presenti. Quanti non sono nelle condizioni di arrivare a fine mese, con gravi ed oggettive difficoltà di acquistare i generi alimentari (ovvero soddisfare i bisogni primari), cercheranno strade alternative di “sopravvivenza”, non sempre in linea con i principi di legalità. Volendo fare solo un ragionamento economico-matematico - e non “umanistico” di rispetto della persona umana - il cittadino comune sarà - sempre più - costretto a cercare il risparmio a tutti i costi.

Il risparmio diretto si avrebbe acquistando in nero, alimentando le filiere “esenti-Iva” gestite dalle organizzazioni criminali (da Nord a Sud, senza eccezioni geografiche): eludendo tutti i controlli (non ultime le limitazioni all'uso del contante) creano un monopolio e posizioni dominanti, dalla produzione fino alla vendita al dettaglio (con la proliferazione di camion agli angoli delle strade). In poco tempo, assisteremo alla chiusura di molti negozi, e conseguente peggioramento delle condizioni di lavoro ed aumento della disoccupazione.

Il “prezzo basso” porterebbe oltretutto alla riduzione della qualità dei prodotti, con – nel mediolungo termine - un aumento dei costi del servizio sanitario nazionale, a causa del peggioramento della qualità di vita (si pensi solamente all'esperienza della terra dei fuochi). Quindi, oltre ad un aumento della evasione fiscale e dei costi, manderemmo in fumo la tracciabilità dei prodotti, le strategie di innovazione e ricerca (andando contro le politiche europee!).

Piuttosto che puntare sull'aumento delle aliquote Iva, avrebbe più senso tornare al concetto originario e più vero di spending review: l'ottimizzazione delle risorse pubbliche, non come mero “taglio dei costi”, ma come alleggerimento e velocizzazione delle procedure per un aumento della produttività economica e sociale, in un quadro più ampio di un sistema premiante per quanti con buona volontà ed onestà ogni giorno tentano (a fatica) di mantenere le posizioni e l'occupazione. In questo momento storico bisogna dare agli italiani un piano virtuoso di appetibilità per restare e per contribuire ad uscire dalla crisi, non di certo l'ennesima botta, che innesca prevalentemente circoli viziosi.

Probabilmente, la matematica dei bilanci offre formule che – a bocce ferme – prospettano un risultato positivo. Non basta per risolvere i problemi che gli istituti di statistica introducano le attività illecite nel calcolo del Pil: è un falso in bilancio, solo una asimmetria informativa. I cittadini non sono numeri o fattori: sono persone umane “variabili”, di cui è più semplice comprenderne il valore… solo cambiando punto di vista.

Il Cardinal Ravasi - qualche anno fa - disse che bisogna avere il coraggio di tendere verso l'utopia, perché oggigiorno, appiattiti dall'emergenza, cerchiamo di correggere e di modificare quanto già esiste, senza fare perno sulla capacità di creare ed innovare.


di Manlio d'Agostino