Miliardi e deflazione: salvagente di piombo

sabato 3 maggio 2014


Sono anni che va avanti così. Sono anni che le aziende incassano e spesso dopo attese epocali, a prezzi ridotti. Il consumatore da supermercato non se ne accorge, l’inflazione che lui percepisce è contenuta. Ma compri tre e paghi due, 300 ml in più, il 25% omaggio, le confezioni risparmio e quant’altro questo sono: che le aziende abbassano i prezzi. Sono costrette a vendere a prezzo ridotto e soggiacciono al ciclo depressivo in cui incassi di meno, investi di meno, produci di meno, paghi meno ore lavorate e fai comparire sulla scena sociale due soggetti. Quelli per cui l’inflazione è massima possibile, tende all’infinito, perché, salariati licenziati o imprenditori che hanno chiuso, non hanno i soldi per comprare e quelli che credono che, tutto sommato, se la stanno cavando, mentre camminano verso la miseria.

Eppure, sotto traccia, tutto è noto e si muove. In televisione imperano i format in cui si mangia e assai bene, nella rappresentazione catartica del cibo che c’è e ci sarà sempre. Sotto traccia c’è anche l’inganno. C’è anche chi, tutto d’un tratto, dopo anni che va avanti così, si accorge che c’è “il rischio” della deflazione (calo generalizzato dei prezzi) e propone come soluzione un altro giro del cappio intorno alla gola delle aziende. Un salvagente fatto di piombo, con tanto di paperella disegnata, che, promettendo salvezza, trascina sul fondo. L’idea bislacca è questa: mille miliardi di euro immessi sul mercato per far riprendere gli investimenti. È incredibile. Ormai anche mio cugino si è accorto che le teorie monetariste, lungi da produrre sviluppo, hanno precipitato la crisi di struttura attuale dell’economia capitalista occidentale. Hanno contribuito a rendere la sovrapproduzione permanente e il risparmio non allocabile efficientemente in investimenti produttivi. Tuttavia, non divaghiamo… anzi, ammettiamo che sia vero. Che davvero, usando mille miliardi, si investa per mille miliardi e si produca, visto che siamo bravi a farlo, per diecimila miliardi. Troppo? Scegliete voi la cifra che vi sembra più appropriata. Bene: chi compra ciò che è stato prodotto? Tutto ciò che è stato prodotto? Chi non aveva i soldi nemmeno per comprare ciò che veniva prodotto prima dei mille miliardi? Chi ha in tasca in forma di salario o di profitto solo una frazione, e piccola per di più, del nuovo valore prodotto? La risposta è semplice: nessuno.

E non solo perché altrimenti la crisi attuale non sarebbe accaduta o sarebbe di per sé esaurita. La questione è semplice. I mille miliardi di euro promessi sarebbero ovviamente battuti allo stesso modo: acquistando titoli di Stato sul mercato secondario e praticando il risconto bancario. Cioè, i mille miliardi andrebbero alle banche. Niente di nuovo. Già fatto. Con i 350 miliardi recenti con cui le banche hanno comprato titoli di Stato al 4% pagando il denaro l’1%, senza dare un euro alle aziende. Anzi, tanto per dire, la differenza fra il 4 e l’1, che fa il 3%, l’hanno pagata proprio le aziende, imprenditori e operai insieme, sotto forma di tasse. E avrebbero pagato anche gli interessi bancari se le banche ordinarie avessero loro prestato il denaro. La stessa cosa che potrebbe succedere con la nuova tornata di miliardi annunciata.

Tuttavia, siccome siamo gente che non ama fare il processo alle intenzioni altrui, accogliamo un’altra prospettiva. Supponiamo che stavolta i mille miliardi, pur passando attraverso le banche, vadano davvero a finanziare l’impresa economica. Ebbene: le aziende che vendendo e incassando di meno hanno chiuso, non riaprono; le altre, che incassando di meno si sono ristrette e si sono indebitate con le banche, si indebitano ancor di più, per produrre di più, retribuire più ore, pagare più interessi, senza vendere di più. Pagare più debiti, interessi e salari, per vendere come prima. Vendere come prima, se va bene, o anche di meno, perché tutti, anche i concorrenti, grazie al finanziamento degli investimenti, producono di più. Eh no, dai… Siamo ottimisti: vendere come prima. Perché non dovrebbe accadere? Perché non dovrebbe essere possibile vendere almeno come prima? Prima di tutto perché il mercato è già e resta in sovrapproduzione permanente. Non è in crisi di produzione, è in crisi di vendita e di incassi e profitto. Non si crea nuovo mercato solo perché si produce ancora di più. Secondariamente perché la retribuzione di più ore lavorate non compensa l’aumento dei prezzi indotto dall’immissione di denaro. Anzi, succede una cosetta come questa che andiamo a discutere, con numeri immaginari ma tanto per rendere chiara l’idea. Per vendere allo stesso prezzo, 25% di prodotto in più. Cioè 25% di prezzo in meno. Uguale deflazione 25%. Inflazione da immissione di denaro, 3% (stima ottimistica). Differenza -22%. Cui si aggiungono, con il segno meno davanti, l’1, 2, 3, 4, 5% di interessi passivi bancari, l’1, 2, 3, 4, 5% in più di salario e relativi oneri sociali (le percentuali dipendono dalla trattativa in banca e dalla percentuale di incremento del capitale investito grazie al nuovo prestito). Continui a perdere e molto più di prima perché ti hanno messo a disposizione del denaro da investire! Spettacolare... No, avevamo detto che dobbiamo essere ottimisti. Vendiamo di più. Cioè non dobbiamo più aggiungere il 25% di prodotto gratis (vale a dire che la domanda aumenta del 25%. Altro che ottimisti! Non accadrebbe nemmeno se i 1000 miliardi fossero, e non lo sono per niente, il 25% del denaro disponibile per gli acquisti).

Se le cose andassero così, la cosa si riduce a questo: lavoro di più e incasso di più, solo per pagare. Oltretutto in un contesto in cui le aziende hanno già completamente tirato il collo per lavorare, fino a rendere il lavoro una perenne ossessione, senza lasciare più niente per la vita dell’uomo che lavora. Quanto abbiamo testé descritto è identico a ciò che sta accadendo. Il consumatore da supermercato non percepisce l’inflazione reale,perché compensata dalla deflazione in corso. Eppure, pur sempre di inflazione si tratta, perché la contrazione della base produttiva è una forma di riduzione del valore: è sempre più difficile ottenere denaro, che è lo stesso che affermare che il denaro disponibile ha minore capacità di acquisto. Strano, eh? A prima vista sembrerebbe vero il contrario: se è più difficile ottenere il denaro, allora esso vale di più. Falso, significa solo che hai meno denaro per comprare. Cioè che le cose per te costano di più. La cosa sarebbe diversa se i mille miliardi servissero per ridurre l’indebitamento pubblico e quindi il prelievo fiscale (ma non si può perché, giustamente, Bce non può comprare titoli sul mercato primario: equivarrebbe a un governo che batte moneta per pagare i propri debiti), o fossero destinati alle buste paga o a pagare le tasse delle imprese o, ancora meglio, fossero dati direttamente alle imprese con prestiti a fondo perduto. Chiacchiere… C’è una cosa che può essere fatta e che deve essere fatta. Cambiare il modo di battere il denaro, regolando la base monetaria in ragione della media storica del fabbisogno di moneta e dell’andamento macroeconomico e non con il meccanismo attualmente in essere, che è incentrato su e dedicato all’arricchimento del sistema bancario a scapito del mondo della produzione. Perché non dover pagare il denaro, come facciamo ora, per il semplice fatto di averlo in tasca (noi paghiamo gli interessi sui titoli di stato e il lucro che le banche devono fare sul risconto bancario) è di per sé un finanziamento diretto alle imprese, ai cittadini tutti ed anche a quegli strani soggetti che si chiamano clienti, che per comprare, devono avere soldi veri in tasca e non soldi immaginari, che son già di qualcun altro cui pagheremo interessi.

Ovviamente non tutto si esaurisce in quanto ora affermato. Ogni soluzione in un sistema complesso ha caratteri complessi. Tuttavia parte della soluzione è evitare di aggrapparsi a paperelle di piombo che, presentate come salvezza, non sono che la ripetizione stanca e ideologicamente miope di ciò che ci ha condotto fin qui. Nelle temperie di una trasformazione economica e sociale irreversibile. In cui la gente del lavoro è stanca di salvagente di piombo. È tanto stanca da essersi messa in movimento per organizzare una propria autentica rappresentanza politica. Si sa: più urgente è il problema, più si corre per risolverlo…


di Adriano Podestà