Partecipate: cambiare per forza non serve

giovedì 27 febbraio 2014


Insediandosi, il Governo Renzi I, oltre alle emergenze economiche da affrontare, dovrà fare le nomine delle aziende partecipate dallo Stato, fra le quali Eni, Enel, Poste, Terna, Finmeccanica e almeno altre 600…

Da alcuni mesi i media vanno annunciando questo importante appuntamento; quelli che, per motivi di parte e non sappiamo quale parte, esprimono giudizi sommari che spesso non tengono conto dei fondamentali economici che un giudizio sull’operato del management deve tener di conto: andamento economico, risultati per gli azionisti, espansione sui mercati e consolidamento delle posizioni e degli obiettivi raggiunti.

Spesso, con il quotidiano La Repubblica in testa, si ricorda che Paolo Scaroni da nove anni siede sulla poltrona di Ad e Dg dell’Eni e che Matteo Renzi per dare un segno del suo essere rottamatore, in discontinuità dovrebbe procedere con la sostituzione, come se si dovesse sostituire Massimo Sarmi che in questi anni ha fatto delle Poste un gioiellino valorizzando ulteriormente il lavoro svolto in precedenza da Corrado Passera, che per primo rese la company pubblica un pozzo di redditività. Ma se mai come in questi anni i mercati della nostra compagnia petrolifera si sono espansi, nuovi giacimenti nel mondo ci hanno consolidato come player di primo livello, come gli accordi con la Russia e il South Stream che ci hanno ancor più fatto salire gli scalini del mercato nell’ex blocco sovietico, come pensare di cambiare?

Come sarebbe un errore cambiare Flavio Cattaneo che ha fatto così bene in Terna o Fulvio Conti all’Enel. Squadra che vince non si cambia. Affermare tout court di cambiare solo perché le novità sono implicitamente migliori è, non solo sbagliato, ma è un gioco pericoloso considerando che viene fatto sulla pelle degli interessi di tutti i cittadini. Meglio usare tutta la prudenza necessaria e lasciare le dietrologie e le fregole di cambiamenti ai giornali che non si sa perché vogliono cambiare, ma per metterci chi? Qualcuno di più gradito a editori e direttori, giornalisti che spesso con i loro annunci sono brillati per errori di valutazione e previsioni. Ricordiamo le lenzuolate di Scalfari su Monti prima e Letta poi, che portino addirittura sfortuna? Come dice un vecchio adagio: “a lasciar la strada vecchia per la nuova si è sicuri di quel che si lascia ma non di quello che si trova”.


di Federico Tassinari