La “eco-ripresa” secondo Brivio

giovedì 19 dicembre 2013


Sergio Fabio Brivio, vicepresidente Finco per la sostenibilità, energia e ambiente, guarda favorevolmente le proroghe degli sgravi fiscali del 65% e del 50% (per ulteriore anno, per poi passare al 50% ed al 40%) per favorire la riqualificazione energetica e la ristrutturazione edilizia. Ma sempre Brivio esprime grande perplessità sul lasso di tempo coperto da tale proroga. Nella “legge di stabilità” non vengono stabilizzate proprio le detrazioni previste dall’ecobonus, ed ancora una volta si escludono settori utili all’efficienza energetica, quindi anche al rilancio dell’economia, come le schermature solari ed altro ancora.

Allora ingegnere, l’ecobonus lascia un po’ tutti insoddisfatti?

Certamente Finco non può non essere d’accordo con questa misura. Il 55% prima ed ora il 65%, estesa anche alle riqualificazioni statiche ed antisismiche, permetterà almeno in parte di mantenere attivo, in linea di galleggiamento, l’intero comparto industriale delle costruzioni: contribuendo a mantere in attività migliaia di piccole aziende, imprese di piccola o media dimensione. Le più colpite dalla crisi economica, dalla mancanza di credito, ed anche dalla miopia della politica. Non va dimenticato che è proprio tra le piccole e medie imprese che si concentra la quota maggiore di occupazione: nel settore manifatturiero e di trasformazione. Continuare a sostenere l’efficienza energetica, le riqualificazioni edilizie ed antisismiche, significa dare respiro a comparti già molto colpiti. Ma che grazie agli investimenti dei privati, allettati dal forte “sconto fiscale”, hanno sperimentato una tenuta di fondo. In quest’ottica, forse si sarebbe potuto sperare in un gesto di maggiore lungimiranza da parte del decisore politico. È in tale logica che Finco ha chiesto in tutte le sedi competenti la stabilizzazione degli incentivi fino al 2020, anno in cui tutta l’Unione Europea s’è fissata il traguardo per una riduzione dei fabbisogni energetici degli edifici. Non si tratta di elemosinare aiuti di Stato, peraltro mai in discussione quando a chiederlo sono altri settori, ma si vogliono risposte e regole certe, e in un arco temporale di media durata. Le nostre aziende associate, i nostri imprenditori, sono spaventati dal futuro e possono progettare investimenti, di mezzi e personale, solo in presenza di prospettive tali da permettere una pianificazione bilanciata delle risorse.

Chi oggi, anche a fronte di un aumento della domanda, metterebbe in gioco le ultime risorse disponibili, se non è chiaro l’orizzonte temporale?

A supporto di questo, ricordo che Finco ha anche proposto in varie sedi, pur di stabilizzare le misure, di rimodulare le aliquote degli incentivi passando dal 65% al 40% in 6 anni dal 2014 al 2020. Premiando, di fatto, gli interventi immediati rispetto a quelli differiti, proprio per massimizzare quell’effetto “shock” o frustata alla stagnazione economica. Infine, spiace dire che in Finco, e soprattutto in sede Assites (l’associazione che raggruppa i produttori di schermature, ndr) si continua a non capire come mai le schermature solari, in un Paese che ha ormai il picco energetico della rete in estate, siano escluse dal 65%, mentre siano ammesse, seppur in tono minore, al sostegno degli incentivi regolati dal “conto termico”, e limitatamente per gli interventi di efficientamento delle P.A. Finco deve nuovamente sottolineare come anche questa “legge di stabilità” sia purtroppo un’altra occasione perduta dal paese. Si pensi alla spinosa e stucchevole questione della tassazione degli immobili, alla sequenza temporale di sigle, misure, balzelli e dietrofront. Se ne parla da sei mesi e ancora nessuno può dire con certezza quale sarà il meccanismo, con quali leve le amministrazioni pubbliche locali potranno determinare le loro risorse. Finco ha predisposto il progetto “Per un’Italia più bella e più sicura”: nell’ambito del quale suggerisce di utilizzare in maniera crescente le risorse del gettito Imu in un arco a dieci o forse quindici anni: proprio per coprire i costi della messa in sicurezza idrogeologica, sismica e di efficientamento energetico del patrimonio. Ipotizzando di destinare il 10% del gettito Imu 2012, si avrebbero quasi 3 miliardi da investire nel territorio, primo patrimonio di un Paese. Il ministero dell’Ambiente ha stimato che il costo delle politiche emergenziali, di ripristino e sollievo dalle calamità naturali, in Italia ci costa circa 3,3 miliardi all’anno: calcolo riferito agli ultimi trent’anni.

Lei recentemente ha sostenuto che “in un Paese come il nostro favorevolmente esposto a Sud, e che può contare su un elevato soleggiamento, l’utilizzo di schermature solari in estate ed impianti di micro-cogenerazione in inverno, contribuirebbe concretamente a contenere i costi energetici per la climatizzazione degli edifici, e ridurre le emissioni di gas clima‐alteranti (come peraltro richiesto dagli accordi in sede Ue)”. Ce ne parla?

Come già detto, l’Italia presenta per conformazione del territorio più di 8mila chilometri di fronte costiero, e per dislocazione s’allunga nel Mediterraneo: condizioni climatiche uniche e contrastanti nelle sue 21 regioni. Questa caratteristica, peraltro recepita dall’istituzione delle cosiddette zone climatiche, in relazione alle disposizioni per i requisiti minimi di legge in uso nella progettazione, rende difficile uniformare le strategie di contenimento di fabbisogni e consumi energetici degli edifici. Pertanto, aver puntato solo ed esclusivamente sulla strategia del contenimento della fase invernale, vizio presente nella prima stesura della direttiva europea 91/2002, recepita con il d. lgs. 192/205 e 311/2006, ha determinato una strana conseguenza: l’accesso agli incentivi del 55% è avvenuto in modo prevalente da contribuenti residenti nelle regioni del Nord e segnatamente Lombardia, Veneto, Trentino, Piemonte e Valle d’Aosta; in misura minore da Toscana e Emilia. Tale distorsione territoriale, forse può aver indotto qualche rappresentante politico, magari eletto nelle Regioni meridionali, a considerare gli ecobonus una misura “nordista”: magari questo spiega l’iter a singhiozzo con proroghe, spesso all’ultimo minuto. In realtà si è trattato di situazioni di maggiore complessità. Non è un caso che solo con la correzione dell’impostazione iniziale, tutta “invernale”, con l’apertura all’incentivo anche all’efficientamento in “fase estiva”, si potrà realizzare appieno il potenziale di sviluppo economico insito nella riqualificazione energetica degli edifici: nel pratico, schermature solari, tende tecniche, tetti verdi... Non tenere conto della favorevole esposizione a meridione, di cui la nostra Penisola gode, significa compromettere uno dei pochi veri incubatori della nuova imprenditorialità, nuova occupazione e salvaguardia delle scarse risorse energetiche a disposizione.

Lei ha assunto da poco la carica di vice presidente Finco, quali tematiche vorrebbe porre all’attenzione dell’attuale compagine governativa?

La carica è recente, ma posso contare su un biennio d’esperienza come consigliere incaricato alle stesse tematiche. Temi come la salvaguardia dell’ambiente e del suolo, delle risorse naturali in un ambito di sviluppo sostenibile, sono a me cari: data la mia formazione urbanistica credo in questa unica opportunità di sviluppo per l’Italia. Facciamo un esempio. Dopo la bocciatura del Governo presieduto dal senatore Monti, in questi giorni si è tornati a discutere dell’opportunità di partecipare alla gara per l’assegnazione dei giochi olimpici alla città di Roma. Certamente la candidatura a questi eventi fa bene all’orgoglio italiano, ma non va dimenticato che spesso tali eventi si chiudono in perdita economica. Solo l’analisi del dare e dell’avere, condotta su finestre temporalmente più lunghe, che vadano oltre l’evento, può far emergere l’eventuale convenienza a livello di economia di scala. Investimenti nel campo delle infrastrutture, ammodernamenti degli impianti, oltre all’immagine rinnovata, possono creare opportunità in quei Paesi che ospitano i giochi. Ora però, se consideriamo la situazione italiana dal punto di vista infrastrutturale, basti considerare le nostre autostrade e tangenziali intasate di traffico, la situazione del dissesto idrogeologico, il pessimo stato di conservazione di luoghi d’arte e dei monumenti quali Pompei e altro ancora, viene da chiedersi se non sarebbe meglio investire prima sul sistema paese. E in un arco di tempo almeno decennale: rinnovando, riqualificando e ripristinando le condizioni per poi, ma solo dopo ed alla fine del percorso, ospitare un grande evento.

Come a dire chi inviterebbe a casa se dal tetto piove?

Esatto, si preferisce fare l’annuncio ad effetto, dichiarare l’obiettivo facile, quello che tutti vedono. Il “ponte sullo Stretto” insomma, incuranti forse della reale opportunità e della reale necessità di cui l’Italia ha bisogno.

Il settore delle costruzioni è indubbiamente strategico per la ripresa. Che altro vogliamo dire ai nostri interlocutori istituzionali?

Premetto che l’Italia viene ormai da due decenni di deindustrializzazione e stagnazione, non solo economica ma di idee. Interi settori industriali sono scomparsi: parte della siderurgia, la grande chimica, l’elettronica ad esempio. L’automobile sopravvive, ma fino a quando? Ci rimangono l’arte, la cultura, l’enogastronomico, l’agricoltura, il turismo, i servizi e le costruzioni. Finco ritiene dannoso, ed ormai impensabile, continuare a costruire ex-novo, sottraendo superficie agricola, aree utili alla fruizione dei cittadini, anche se magari per opere di grande o grandissimo respiro e valore. Bisogna tirare una linea, e ripartire da lì. Occorre consapevolmente fare un grande sforzo culturale, tutti insieme: istituzioni e parti sociali, per disegnare un nuovo modello di sviluppo urbano, che recuperi l’esistente riqualificandolo sia ambientalmente che tecnologicamente. Avendo anche il coraggio politico di superare lo statu quo, rimuovendo ostacoli normativi e conflitti d’interesse localistici, che oggi rendono forse più facile edificare a nuovo che abbattere e ricostruire. La classe politica ormai non può non sapere che il settore delle costruzioni è l’unica grande industria, a larga diffusione territoriale, con un rapporto tra capitale e lavoro ancora favorevole all’occupazione. Viviamo oggi nell’Era dell’informazione, che unitamente alla formazione rappresenta la base di ogni supremazia tecnologica, in grado di generarsi attraverso specifiche competenze. Sono queste ultime che aziende e maestranze italiane hanno sviluppato nell’ambito della riqualificazione energetica, sismica e post calamitosa.

Cosa chiede in poche parole?

Dare sostegno al settore, con una politica mirata e consapevole, che sappia guidare il recupero del territorio alle funzioni socialmente ed economicamente più utili. Si pensi alla situazione dell’edilizia scolastica: significherebbe creare il contorno per il rilancio dell’economia nazionale, oltre che una dignitosa ubicazione dei nostri studenti. Questo primato, fatta di prodotti, tecniche e soluzioni innovative per l’edilizia, rigorosamente “made in Italy”, sarebbe facilmente esportabile in tutto il mondo.


di Simonetta Alfaro