Seat Pagine Gialle, un flop per gli azionisti

martedì 25 giugno 2013


Una società quotata in borsa si trova in stato di dissesto a causa di operazioni controverse che in pochi anni hanno provocato il crollo del titolo azionario e perdite miliardarie in danno di circa trecentomila azionisti. La società è molto nota, presenta un margine utile invidiabile, è sottoposta al controllo delle autorità competenti, dei revisori dei conti, delle società di rating, eppure trecentomila risparmiatori, fiduciosi che i loro risparmi piccoli e grandi fossero tutelati da un sistema incrociato di controlli pubblici e privati, hanno perso miliardi di euro. La società si chiama Seat Pagine Gialle, esercita attività editoriale nel settore economico, è titolare di una banca dati preziosa meritevole di ogni più ampia tutela, ha costituito oggetto di scissione dal gruppo della telefonia e di acquisizione, nel 2003, da parte di fondi di investimento. L’acquisizione è stata eseguita mediante ricorso all’istituto giuridico denominato “fusione a seguito di acquisizione con indebitamento” di origine anglosassone (leveraged buy out), la cui adozione in Italia richiede giustificati motivi (in difetto dei quali l’operazione non è consentita), inerenti all’attività di impresa, allo sviluppo di un mercato o di una tecnologia, alla creazione o almeno al mantenimento dello stato occupazionale.

La legge prevede una relazione descrittiva, motivata, di cui gli organi amministrativi e i consulenti si assumono la responsabilità, e dispone, in caso di debacle, il risarcimento dei danni in favore dei soci e dei terzi. L’aspetto delicato di questa particolare operazione consiste, infatti, nel trasferimento del debito sul patrimonio sociale, che risponde con il reddito di impresa. Se il debito è eccessivo o gli affari vanno male, il debito non viene restituito e la società diventa insolvente. Ma i soci che non hanno la responsabilità dell’operazione, come avviene nel caso degli azionisti di minoranza delle società quotate, possono pretendere il risarcimento dei danni, così come i terzi, ad esempio i fornitori o l’istituto di previdenza sociale, che hanno subito le conseguenze delle scelte avventurose dei soci di controllo, spesso fondi di investimento più o meno anonimi. Fin qui sembrerebbe soltanto che i soci di controllo abbiano sbagliato le previsioni e che i soci di minoranza, a causa dell’errore previsionale, possano legittimamente pretendere il risarcimento.

Ma l’errore previsionale non si limita al debito dell’acquisizione, perché nella primavera del 2004, a distanza di pochi mesi dal primo debito miliardario, i soci di controllo hanno deciso di distribuirsi un dividendo impossibile, perché la società neocostituita non aveva riserve (utili accantonati destinati ai soci o alle spese straordinarie), e sono di nuovo ricorsi ad un ulteriore debito miliardario, cortesemente finanziato dalla Royal Bank of Scotland, di cui le cronache finanziarie negli anni appena trascorsi hanno fornito spaccati operativi poco encomiabili, e da una certa società anonima di diritto lussemburghese denominata Lighthouse (che in inglese, forse per scelta ironica dei soci, significa faro). Il debito è passato dallo stato patrimoniale al conto economico con una ardita operazione di ingegneria finanziaria e fiscale ed è stato distribuito sotto forma di dividendi. I soci di controllo, che in quel momento avevano quasi il 65 per cento del capitale, hanno incassato miliardi senza colpo ferire, soltanto per la “brevimiranza” (scusate il neologismo, ma certamente non si è trattato di lungimiranza, quanto piuttosto di comportamenti progettati) dell’operazione, e nei mesi successivi hanno alienato una parte del capitale ad un mercato euforico per la generosa distribuzione di dividendi. Chi non vorrebbe “guadagnare” miliardi in così poco tempo senza alcun rischio, tra l’altro senza impegnare mezzi propri! Ma in finanza, se alcuni, di solito pochi, guadagnano, altri perdono, e infatti gli azionisti di minoranza hanno perso tutto.

Le società di rating di lì a poco hanno declassato il titolo, il debito è stato restituito, in piccola parte, con presumibili modalità selettive che meritano l’accertamento dell’autorità giudiziaria, la gestione ha continuato ad essere molto utile (circa il 50 per cento di margine: molto più che invidiabile), ma inidonea alla restituzione della montagna dei debiti. Nel 2011 la direzione ha chiamato al capezzale della società ormai asfittica, del tutto incapace di fare fronte alle restituzioni, un battaglione di rinomate società di consulenza e di studi professionali eccellenti, che, dopo circa un anno di riflessioni, costato almeno 70 milioni (peraltro ritenuti inutili – “buttati al vento” - dalla direzione sociale che si è avvicendata a fine 2012), hanno consigliato l’adozione di una ristrutturazione che avrebbe comportato l’espropriazione, di fatto, degli azionisti di minoranza in favore di quella società anonima di diritto lussemburghese, Lighthouse, che aveva contribuito al finanziamento della Royal Bank of Scotland con oltre un miliardo e nel frattempo aveva avuto in restituzione circa 750.000 milioni. Il caso Seat Pagine Gialle è ritenuto emblematico dai legali degli azionisti di minoranza perché, pur non essendo l’unico del genere, è “magnifico” per le dimensioni e l’avventurosità delle operazioni che hanno stremato il patrimonio sociale, provocando il crollo del titolo azionario, perché si è protratto per anni prima che i soci incolpevoli insorgessero, perché il sistema dei controlli incrociati non ha reagito alle provocazioni dei soci di controllo.

Eppure, non era impossibile avvertire che l’invasività delle modalità adottate in danno del patrimonio sociale e, di conseguenza, del titolo azionario avrebbe comportato il fallimento della società a norma di legge. La materia è attualmente sottoposta alle valutazioni e alle decisioni dell’autorità giudiziaria civile e penale del tribunale di Torino. I soci di minoranza chiedono a gran voce la dichiarazione di fallimento della società, da cui l’azienda è stata sottratta in favore di una società controllata, opportunamente ridenominata Seat Pagine Gialle Italia, in occasione della ristrutturazione, perché siano accertate e sanzionate le responsabilità personali, sia ricostituito il patrimonio sociale mediante idonee iniziative di legge e sia tutelata l’attività di impresa a favore dei creditori e dei dipendenti. Ma la vicenda si presta a considerazioni di rilievo sociale, giuridico e politico-economico connaturate all’impegno dell’Opinione e della Comunità de l’Opinione. Il dissesto di Seat Pagine Gialle coincide emblematicamente con il dissesto della società nazionale, provocato dalla partitocrazia e dall’occupazione sistematica delle istituzioni e degli uffici pubblici a scopo di potere personale o correntizio. Le disfunzioni, molteplici e diffuse, sono denunciate da chiunque abbia l’occasione di farsi sentire, ma gli interventi richiesti non vengono eseguiti, anche quando le diagnosi sono o sembrano unanimi. Tre testimonianze eccellenti della peculiarità italiana meritano la citazione nominativa.

Roberta De Monticelli, filosofa, sostiene che la società italiana sia consortile, che in Italia non si scoperchi nulla, che l’omertà sia la cifra sociale e che la società dei briganti stia prendendo il sopravvento. Piero Ostellino, giornalista, attribuisce l’ubbidienza del cittadino all’ignoranza dei diritti, mentre “pasticciate e precarie libertà soggettive costituzionali stanno passando a forme più o meno occulte di totalitarismo senza che qualcuno ne parli e se ne scandalizzi”. Piercamillo Davigo, magistrato, denuncia periodicamente l’estrema pericolosità della devianza del ceto dirigente. La materia del caso Seat Pagine Gialle è incandescente non soltanto perché la vicenda è passata inosservata fino a quando un legale degli azionisti di minoranza nel 2011 ha scritto una lettera aperta alla Consob, ma soprattutto perché il sistema dei controlli incrociati di uffici pubblici e privati ha offerto un chiaro segnale di inerzia. Il sistema del credito nazionale, già in affanno per vicende note e meno note, su cui Royal Bank of Scotland ha spalmato vari miliardi del finanziamento prestato negli anni 2003 e 2004, dovrebbe sapere che le operazioni di leveraged buy out possono essere finanziate soltanto se sussistono giustificati motivi.

Diversamente, i disastri degli ultimi anni, sia di società quotate che non quotate, sono inevitabili. Ai legali degli azionisti, infatti, ne risultano altre. L’istituto della previdenza sociale concede legittimamente la cassa integrazione ai lavoratori dipendenti, ma non la ripete nei confronti dei responsabili del dissesto. L’agenzia delle entrate per anni ha consentito la deducibilità degli oneri straordinari e quindi, di fatto, l’esenzione dal pagamento dell’imposta sul reddito (si tratta di oltre due miliardi nel caso di Seat Pagine Gialle nel corso degli otto anni di gestione: un importo analogo all’Imu pagata dai cittadini italiani nel 2012). Le associazioni di categoria dei fondi, delle banche e delle imprese, avvertite dai legali degli azionisti di minoranza, ancora non si sono espresse in merito, se non altro per informare le aziende associate e per prevenire casi analoghi o, se possibile, nei casi ancora in itinere per rimediare. E’ in gioco la credibilità del sistema giuridico, economico e finanziario nazionale. Il fallimento della società quotata Seat Pagine Gialle, che gli azionisti di minoranza hanno chiesto nei modi di legge, potrà segnare il punto di svolta di una rivoluzione dei costumi, oltre che dell’economia di tanti settori in serio pericolo di default, se l’occasione verrà colta dalla politica, dalle istituzioni e dai cittadini più consapevoli, per contribuire a provocare, nei rispettivi ruoli, l’inversione di tendenza. La Comunità de l’Opinione avrà parte del merito e proseguirà il suo impegno con rinnovato vigore.


di Ugo Scuro