Marchionne e le 10 zavorre della Fiat

giovedì 27 settembre 2012


Non voleva intervenire, ha riferito Sergio Marchionne all’Unione Industriale di Torino per non interferire con i lavori dell’assemblea e la celebrazione del neo presidente Licia Matteoli, visto che per la prima volta in oltre un secolo di storia dell’Unione Industriale, una donna approda ai vertici dell’associazione. Di seguito riportiamo quello che ha sostanzialmente detto. Sa bene che quando si porta qualcosa che ha il peso e l’ingombro di un orso come ora la Fiat si rischia di rovinare la festa. Ma dopo aver letto i giornali e il commento allo scambio di opinioni piuttosto franco che c’è stato sabato col governo ha messo un paio di cose in chiaro.

Tutti i giornali hanno pagine piene di articoli su Fiat o di attese sul faccia a faccia col governo. Anche la televisione ha svolto il suo ruolo contando persino quanti caffè hanno bevuto John e lui e dove li hanno presi. Sulla prima pagina di Repubblica Eugenio Scalfari, tra altri giornalisti, ha scritto più o meno: nessuna delle due parti sedute al tavolo di Palazzo Chigi a quanto si sa era sulla difensiva, ciascuna aveva richieste da porre all’altra, soprattutto il governo perché l’inadempiente in questo caso è la Fiat e non il governo. Secondo l’amministratore delegato dell’industria torinese, affermazioni come questa, se ripetute costantemente, rischiano di sembrare vere anche se non lo sono. John Elkann e Sergio Marchionne, non ne fanno una questione di competizione politica, non sono a caccia di voti.

Non organizzano né partecipano a raduni elettorali o a feste in maschera, non sono un movimento populista con baci e abbracci, foto di gruppo. Loro non hanno nessuna coalizione di minoranza che garantisce la poltrona – ci ha tenuto a sottolineare - ma soprattutto non esprimono opinioni su argomenti che non conoscono. Sono soltanto nel mercato con cui devono fare i conti. Un rapporto diretto difficile ma assolutamente semplice nel suo schema di fondo. Ciononostante i risultati della prima metà dell’anno mostrano come Fiat sia in ottima salute – ha continuato – anche se dopo la scissione non si può più contare su Fiat Industrial. I ricavi sono saliti a circa 42 miliardi di euro, l’utile della gestione ordinaria è salito a 9 miliardi, l’utile netto è di oltre 700 milioni. L’indebitamento netto industriale a fine giugno era di 5,4 miliardi di euro e importante è l’alto livello di liquidità di cui si dispone pari a circa 23 miliardi di euro.

I risultati del primo semestre sono totalmente in linea con gli obiettivi. Si prevede di chiudere il 2012 con ricavi superiori a 77 miliardi di euro con un utile della gestione ordinaria tra 3, 8 e 4,5 miliardi che rappresenta il risultato più alto di 116 anni di storia. Un utile netto tra 1,2 e 1,5 miliardi di euro, un indebitamento netto industriale tra i 5,5 e 6 miliardi ed una liquidità superiore ai 20 miliardi. Ma chiunque operi nel settore dell’auto in Europa oggi sta sperimentando diversi gradi di infelicità. Le previsioni più recenti indicano che quest’anno la domanda di auto in Europa non andrà oltre i 12,5 milioni di unità e questo è il secondo livello più basso in trenta anni. Facciamo un salto indietro era il 2010 quando Fiat ha lanciato il progetto Fabbrica Italia orgogliosa di poter coinvolgere il paese nel processo di ricostruzione della base industriale italiana. E poi è scoppiato l’inferno.

Ci si è accorti che l’Italia era nei debiti fino al collo, aveva il terzo debito pubblico più grande del mondo, che il paese era senza fondi che gli spread stavano prendendo il volo. Tutto ciò ha avuto delle conseguenze per l’Italia, in particolare i volumi del mercato dell’auto hanno intrapreso una spirale discendente. Ad agosto si è toccato un nuovo record negativo. Queste previsioni condizionano la Fiat che si trova sulla stessa barca di tutti gli altri produttori europei, tanto i marchi di massa quanto i premium come dimostrano i recenti casi di Porsche e di Mercedes. C’è chi ha annunciato chiusura di stabilimenti chi sta contando l’entità delle perdite , chi taglia gli investimenti e chi chiede aiuti al governo.

E come se non bastasse tra l’aprile 2010 e ottobre 2011 la Fiat ha ricevuto una raffica di richieste dalla Consob. Diciannove lettere in cui si chiedevano i dettagli finanziari e tecnici su Fabbrica Italia, un vasto piano strategico, nuovo, coraggioso, di lungo periodo che aveva l’obiettivo di evitare al paese la catastrofe cambiando l’approccio ad una serie di relazioni storiche che avevano ingessato lo sviluppo del gruppo Fiat. Giunti all’esasperazione l’azienda ha poi emesso un comunicato nell’ottobre dell’anno scorso ritirando Fabbrica Italia, indicando chiaramente che non avrebbe mai più usato quella dicitura né fornito informazioni sull’entità degli investimenti o sui tempi.

Fabbrica Italia era un progetto pensato e promosso per favorire la coesione sociale di tutti gli attori coinvolti in modo da far compiere una svolta significativa alla nostra industria. Poi all’improvviso è diventato un obbligo, anche per la Camusso che parla molto di diritti e poco di doveri, secondo Marchionne. Nel 2004 poi la Fiat è stata salvata cambiando la struttura organizzativa e la cultura. Nel 2009 è stata acquisita la Chrysler in bancarotta, rendendola di nuovo un’azienda viva e di successo. La Fiat sta ancora adesso cercando di farlo nel nostro paese proponendo un’alternativa credibile alla riduzione degli organici e alla chiusura delle fabbriche, offrendo una speranza concreta. Ma fare business nel nostro paese in questo momento è una fatica di Sisifo.

In un articolo del Sole24ore si parla delle dieci zavorre che schiacciano l’industria italiana e che indeboliscono la competitività di tutto il sistema manifatturiero e non solo della Fiat. Siamo il paese in cui sulle imprese gravano le tasse più alte d’Europa, la giustizia è più lenta, l’elettricità e il gas più cari, la burocrazia più contorta. Alla lista delle inefficienze si aggiungono le infrastrutture che sono le peggiori in Europa, le pratiche per l’export più difficili, il costo del credito tra i più elevati e poi la piaga della corruzione. Siamo ovviamente gli ultimi per produttività e le condizioni per accedere ad un finanziamento non sono grandiose. Essere considerati italiani non aiuta nel business. Nonostante tutto ciò, nell’evidenza dei fatti siamo tutti in attesa del miracolo.

Ci auguriamo che qualche produttore straniero venga ad investire nel nostro paese per risollevarne le sorti forse perché nella nostra storia abbiamo subito più di una invasione e ogni volta ci siamo illusi di aver trovato il salvatore. Marchionne ha confessato che negli ultimi otto anni e mezzo ha cercato costantemente in ogni modo di coinvolgere un partner straniero nelle nostre attività in Italia, ma non ha avuto successo dichiarando il suo completo fallimento. Non c’è nessuno che voglia accollarsi anche solo una sola delle zavorre italiane. Fautore di questo non sono né i lavoratori, né gli industriali: è il sistema.

Non sarà certo lui ad eludere, ha provocatoriamente detto Marchionne, quello che molti vorrebbero, cioè un intervento della Volkswagen, ma l’Alfa Romeo per ora non è in vendita. Un dirigente dell’azienda tedesca ha dichiarato che se uno dei piani chiave di Marchionne vacilla ne raccoglieranno i pezzi. Le spacconate dei tedeschi non sorprendono l’amministratore delegato ma quello che trova stupefacente è che in questo paese abbiamo perso ogni barlume di orgoglio nazionale. Proprio ora che la Fiat ha trovato in Chrysler un alleato tecnico per sostenere gli investimenti necessari per il rilancio dell’Alfa. Tutto ciò è semplicemente folle.

In conclusione la Fiat si trova davanti ad un bivio. La scelta è tra ridurre la capacità produttiva licenziando migliaia di dipendenti con danni incalcolabili per il tessuto sociale italiano oppure cercare di sfruttare la competenza di prodotto, di processo, il livello tecnico degli impianti per aprire la strada verso i mercati esteri. Cosa che non è priva di rischi e di insuccesso, ma è l’unica strada possibile per evitare il default. Il governo deve fare la sua parte per rimuovere quelle zavorre che stanno ancora ancorando il nostro paese al passato. Abbiamo davanti un’Italia che è ancora tutta da ricostruire.


di Vito Piepoli