giovedì 6 settembre 2012
Che la Federal Reserve lo fosse è noto da tempo. Adesso anche Ben Bernanke lo afferma presentandola come la nuova teoria monetaria. La Fed è diventata una grande “bad bank” che compra a man bassa titoli tossici dalle banche in crisi.
Lo ha annunciato ufficialmente a Jackson Hole, nello stato del Wyoming, durante l’ultimo simposio bancario annuale organizzato dalla Fed di Kansas City.
Bernanke ha ricordato che nell’agosto del 2007, all’inizio delle crisi finanziaria globale, i tassi di interesse della Fed erano del 5,25% mentre oggi sono dello 0-0,25%. Di conseguenza i tradizionali strumenti di politica monetaria e finanziaria della banca centrale americana, in primis le manovre restrittive o espansive sul tasso di sconto e l’estensione temporale dei termini di prestito, non funzionano più.
Dal 2007 la Fed lavora con “nontraditional policy tools”, con armi monetarie non convenzionali basate anzitutto sulla gestione del “balance sheet”, cioè sull’espansione del suo stato patrimoniale. Dopo aver provato una serie di operazioni per sostenere il sistema finanziario in default, la Fed è passata all’acquisto diretto dei titoli del debito pubblico e di altri titoli più tossici in possesso delle cosiddette imprese sponsorizzate dal governo (Gse), come i colossi immobiliari dei mutui subprime, Fannie Mae e Freddie Mac. Per far ciò ovviamente ha fatto lavorare a tempo pieno le rotative per stampare dollari.
Dal Novembre 2008 e in poco più di due anni, Bernanke ha dettagliato di aver comprato titoli, molti dei quali non più appetibili, per un totale di 3.350 miliardi di dollari! Tali operazioni sono state anche chiamate “quantitative easing”. Per cui nei libri contabili della Fed ora vi sono anche 850 miliardi di dollari di mortgage backed securities (mbs), cioè derivati tossici emessi sulla base di ipoteche impagabili.
Quando si cercavano delle soluzioni alla crisi, tra l’altro si ipotizzò la creazione di “bad bank” dove “parcheggiare” i titoli tossici, insieme ad altre riforme per rendere illegale i meccanismi della “loro produzione”. Nessuna banca privata ha fatto tale scelta per paura di perdere credibilità. La Fed invece lo ha fatto con i soldi pubblici nell’interesse della finanza privata!
A Jackson Hole Bernanke ha cercato di difendere tale decisione e la sua teoria economica proprio come fanno quei cuochi in televisione che danno le ricette sul momento. “Impariamo facendo”, ha detto. Se il piatto sarà una schifezza lo si saprà solo dopo. Mentre si cucina, invece, si tessono le lodi del cuoco, si decantano l’atmosfera e i colori, evitando attentamente di parlare del sapore.
Uno degli effetti positivi derivanti dalla politica della Fed sarebbe, secondo alcuni studi, l’abbassamento del tasso di interesse dei bond decennali del Tesoro dello 0,8-1,2%. Misera cosa per una valanga di nuova liquidità!
Per Bernanke l’importante è il fatto che il Pil e l’occupazione negli Usa non siano crollati. Immettere ricchezza non prodotta sotto forma di nuova moneta è però come dare la droga ad un malato. All’inizio sembra che egli stia bene, ma successivamente starà peggio o per crisi di astinenza o per gli effetti collaterali sopravvenuti.
Bernanke paragona la sua politica con l’acquisto di bond del Tesoro a lungo termine deciso dopo la Grande Depressione. È un paragone inaccettabile. Allora la Fed comprava titoli emessi dal governo per sostenere la ripresa e l’occupazione con grandi progetti di investimento e infrastrutture. Non comprava i titoli tossici mbs. Allora si avviò il New Deal…
Comunque egli ha dovuto ammettere i rischi della nuova politica: la destabilizzazione dei mercati finanziari, la perdita di fiducia nella Fed in rapporto anche alla minaccia inflazionistica, la ricerca delle banche di nuove operazioni altamente rischiose e la possibilità di grosse perdite per la Fed stessa a seguito di possibili futuri aumenti del tasso di interesse.
La seconda arma non convenzionale di Bernanke è l’informazione. Nella società della comunicazione e della pubblicità ha ovviamente puntato sull’elemento psicologico. Le aspettative diventano più importanti della stessa realtà. Per questo egli ha annunciato che la politica dei tassi a zero interessi rimarrà «almeno fino alla fine del 2014».
La grande stampa sta presentando una Fed interventista ed unica in grado di salvare l’economia. Purtroppo, secondo noi, non è così. Del resto anche l’autorevole Banca dei Regolamenti Internazionali di Basilea in un suo recente paper evidenzia i pericoli insiti nella politica della Fed. Sottolinea infatti che «le misure non convenzionali hanno fornito un supporto temporaneo alle economie. Questo però non vuol dire che l’espansione dei balance sheets delle banche centrali avranno in generale degli effetti macroeconomici positivi».
Molti, in particolare gli Usa, vorrebbero che la Bce portasse avanti la stessa politica. Secondo noi invece Mario Draghi ha fatto bene a disertare Jackson Hole. Vogliamo credere che con un tale gesto, Draghi, la Bce e l’Europa abbiano voluto dare un segnale differente.
*Sottosegretario all’economia del governo Prodi
**Economista
di Mario Lettieri* e Paolo Raimondi**