Una difesa liberista dell'euro/1

giovedì 23 agosto 2012


Pubblichiamo in quattro puntate la relazione che il professor Jesus Huerta De Soto presenterà il prossimo 3 settembre a Praga in occasione della Riunione Generale della Mont Pèlerin Society.

Introduzione: il sistema monetario ideale
I teorici della scuola Austriaca hanno profuso un impegno notevole nel chiarire il sistema monetario ideale in un’economia di mercato. A livello teorico hanno sviluppato un’intera teoria del ciclo economico, che spiega come l’espansione del credito, non coperto dal risparmio reale ed orchestrata dalle banche centrali tramite un sistema a riserva frazionaria bancaria, generi ripetutamente cicli economici. Su un piano storico, hanno descritto l’evoluzione spontanea del denaro e l’intervento coercitivo dello stato, incoraggiato da potenti gruppi di interesse, in questo settore, con un allontanamento generale dal mercato che ha danneggiato la naturale evoluzione delle istituzioni bancarie. Su un piano etico, hanno rivelato i requisiti generali della legge e dei principi dei diritti di proprietà per quanto riguarda i contratti bancari; principi che derivano dalla stessa economia di mercato e che, a loro volta, sono essenziali per il suo corretto funzionamento.

Tutte le analisi teoriche sopradette portano alla conclusione che l’attuale sistema monetario e bancario è incompatibile con una vera economia di libera impresa, che contiene tutti i difetti individuati dal teorema dell’impossibilità del socialismo, e che rappresenta una continua fonte di instabilità finanziaria e perturbazioni economiche. Pertanto, diventa indispensabile ridisegnare profondamente il sistema finanziario e monetario mondiale, per arrivare alla radice dei problemi che ci affliggono e risolverli. Tale impegno deve poggiare sulle seguenti tre riforme: (a) il ristabilimento di una riserva obbligatoria al 100%, come principio essenziale dei diritti di proprietà privata in relazione ad ogni deposito a vista di denaro e suoi equivalenti; (b) l’abolizione di tutte le banche centrali (che diventano inutili come prestatori di ultima istanza se la riforma (a) di sopra viene implementata e che come agenzie di pianificazione centrale sono una fonte costante di instabilità) e la revoca delle leggi del corso legale e del groviglio di normative di governo sempre mutevoli che ne derivano, e (c) un ritorno ad un gold standard classico, come unico standard monetario mondiale che porterebbe ad un’offerta di moneta che le autorità pubbliche non riuscirebbero a manipolare e che potrebbe limitare e disciplinare le attese inflazionistiche del diversi agenti economici.

Come abbiamo detto, le prescrizioni di sopra ci permetterebbero di risolvere tutti i nostri problemi alla radice, favorendo uno sviluppo economico e sociale sostenibile mai visto nella storia. Inoltre, queste misure possono sia indicare quali riforme incrementali rappresenterebbero un passo nella giusta direzione, permettendo un giudizio più solido sulle diverse alternative della politica economica nel mondo reale. E’ solo da questo punto di vista strettamente circostanziale e possibilista che il lettore dovrebbe visualizzare l’analisi Austriaca relativa al “sostegno” dell’euro che miriamo a sviluppare nel presente documento.

La Tradizione Austriaca del Sostegno dei Tassi di Cambio Fissi contro il Nazionalismo Monetario ed i Tassi di Cambio Flessibili
Tradizionalmente, i membri della scuola Austriaca di economia hanno percepito come, fintanto che il sistema monetario ideale non viene raggiunto, molti economisti, soprattutto quelli della scuola di Chicago, commettano un grave errore di teoria economica e prassi politica quando difendono i tassi di cambio flessibili in un contesto di nazionalismo monetario, come se entrambi fossero in qualche modo più adatti ad un’economia di mercato. Al contrario, gli Austriaci ritengono che fino a quando le banche centrali non verranno abolite e non verrà ristabilito un gold standard classico con una riserva obbligatoria del 100% nel settore bancario, dobbiamo indirizzare ogni tentativo al fine di portare l’attuale sistema monetario più vicino a quello ideale, sia in termini del suo funzionamento sia nei suoi risultati. Questo significa limitare il nazionalismo monetario per quanto possibile, eliminando la possibilità che ogni paese possa sviluppare la propria politica monetaria, e limitando le politiche inflazionistiche di espansione del credito, per quanto possiamo, creando un quadro monetario che disciplina, per quanto possibile, gli agenti economici, politici e, soprattutto, i sindacati e gli altri gruppi di pressione, tra cui politici e banche centrali.

E’ solo in questo contesto che dovremmo interpretare la posizione di tali eminenti economisti Austriaci (e illustri membri della Mont Pelerin Society) come Mises e Hayek. Ad esempio, vi è l’analisi notevole e devastante contro il nazionalismo monetario ed i tassi di cambio flessibili che Hayek cominciò a sviluppare nel 1937 nel suo eccezionale libro, Monetary Nationalism and International Stability. In questo libro, Hayek dimostra che i tassi di cambio flessibili ostacolano un’allocazione efficiente delle risorse a livello internazionale, in quanto distorcono i flussi reali di consumo e di investimento. Inoltre, rendono inevitabile l’avvento di reali adeguamenti necessari al ribasso dei costi tramite un aumento in tutti gli altri prezzi nominali, in un ambiente caotico di svalutazioni competitive, espansione del credito ed inflazione, che incoraggia e sostiene tutti i tipi di comportamenti irresponsabili dei sindacati, i quali premono continuamente il tasto dei salari e delle esigenze lavorative, le quali non possono che essere soddisfatti con un aumento della disoccupazione se l’inflazione viene ulteriormente spinta verso l’alto. Trentotto anni dopo, nel 1975, Hayek ha riassunto la sua argomentazione così:

«Credo sia innegabile che la domanda di tassi di cambio flessibili sia totalmente originata da paesi come la Gran Bretagna, alcuni dei quali economisti hanno voluto un più ampio margine per l’espansione inflazionistica (chiamata “politica di piena occupazione”). Hanno poi ricevuto il sostegno, purtroppo, da altri economisti che non sono stati ispirati dal desiderio di inflazione, ma che sembrano aver trascurato l’argomento più forte a favore dei tassi di cambio fissi, i quali costituiscono il freno praticamente insostituibile di cui abbiamo bisogno per costringere i politici, nonché le autorità monetarie loro responsabili, a mantenere una moneta stabile [corsivo aggiunto].

Per chiarire ulteriormente la sua tesi, aggiunge Hayek: «Il mantenimento del valore del denaro e gli sforzi nell’evitare l’inflazione richiedono, costantemente, misure altamente impopolari al politico. Solo mostrando la necessità del governo nel prendere queste misure egli può giustificarle davanti alle persone colpite. Fintanto che la conservazione del valore esterno della moneta nazionale è considerata come una necessità incontestabile, come con i tassi di cambio fissi, i politici possono resistere alle continue richieste di crediti a basso costo, evitare un aumento dei tassi di interesse, evitare più spese per “lavori pubblici,” e così via. Con tassi di cambio fissi, una diminuzione del valore estero della valuta, o un deflusso di oro o di riserve valutarie, agisce come un segnale del bisogno di un intervento rapido del governo. Con i tassi di cambio flessibili, l’effetto di un aumento della quantità di denaro sul livello dei prezzi interno è troppo lento per essere in generale visibile o addebitabile a chi, in ultima analisi, è responsabile di esso. Inoltre, l’inflazione dei prezzi è di solito preceduta da un aumento nell’occupazione; si può quindi anche accoglierla, perché i suoi effetti nocivi non sono visibili immediatamente».

Hayek conclude: «Non credo dovremmo riacquistare un sistema di stabilità internazionale senza ritornare ad un sistema di cambi fissi, che impone alle banche centrali nazionali il sistema di limitazione essenziale per una resistenza di successo alla pressione dei sostenitori dell’inflazione nei loro paesi — di solito tra i ministri della finanze». (Hayek 1979 [1975], 9-10)

Per quanto riguarda Ludwig von Mises, è ben noto come prese le distanze dal suo discepolo di valore Fritz Machlup quando, nel 1961, questi cominciò a difendere i tassi di cambio flessibili nella Mont Pelerin Society. Infatti, secondo R.M. Hartwell, che era lo storico ufficiale della Mont Pelerin Society, «il supporto di Machlup per i tassi di cambio fluttuanti portò von Mises a non parlargli per  tre anni» (Hartwell 1995, 119).

Mises riusciva a capire come i macroeconomisti senza formazione accademica in teoria del capitale, come Friedman ed i suoi colleghi di Chicago, e i Keynesiani, in generale, potevano difendere i tassi flessibili e l’inflazionismo invariabilmente implicito in essi, ma non era disposto a trascurare l’errore di qualcuno che, come Machlup, era stato suo discepolo, quindi conosceva l’economia e, tuttavia, si lasciava trasportare dal pragmatismo e dalle mode politiche. Infatti, anche Mises disse a sua moglie il motivo per cui non era in grado di perdonare Machlup:

«Era nel mio seminario a Vienna; capisce tutto. Lui ne sa di più di molti di loro e sa esattamente che cosa sta facendo» (Margit von Mises 1984, 146).

La difesa di Mises dei tassi di cambio fissi corre in parallelo con la sua difesa del gold standard, come sistema monetario ideale a livello internazionale. Per esempio, nel 1944, nel suo libro Omnipotent Government, Mises scrisse:

«Il gold standard poneva un controllo sui piani governativi di soldi facili. Era impossibile indulgere nell’espansione del credito ed ancora aggrapparsi alla parità aurea permanente sancita dalla legge. I governi hanno dovuto scegliere tra il gold standard e la loro — nel lungo periodo disastrosa — politica di espansione del credito. Il gold standard non crollò, i governi lo distrussero. Era incompatibile con lo statismo come quest’ultimo lo era col libero scambio. I vari governi abbandonarono il gold standard perché erano desiderosi di far aumentare i prezzi ed i salari interni al di sopra del livello del mercato mondiale e perché volevano stimolare le esportazioni ed ostacolare le importazioni. La stabilità dei tassi di cambio era un male ai loro occhi, non una benedizione. Tale è l’essenza degli insegnamenti monetari di Lord Keynes». La scuola Keynesiana sostiene appassionatamente l’instabilità dei tassi di cambio.

Inoltre, non è una sorpresa il disprezzo Misesiano riservato ai teorici di Chicago quando, in questo settore come in altri, finivano per cadere nella trappola del più rozzo Keynesismo. Inoltre, Mises sosteneva che sarebbe stato relativamente semplice ristabilire un gold standard e tornare a tassi di cambio fissi:

«L’unica condizione richiesta è l’abbandono di una politica di denaro facile e degli sforzi di combattere le importazioni con la svalutazione».

Inoltre, Mises dichiarò che solo i tassi di cambio fissi sono compatibili con una democrazia vera e che l’inflazionismo dietro a tassi di cambio flessibili è essenzialmente antidemocratico:

«L’inflazione è fondamentalmente antidemocratica. Il controllo democratico è un bilancio controllato. Il governo ha una sola fonte di reddito — le tasse. Nessuna tassazione è legale senza il consenso parlamentare. Ma se il governo ha altre fonti di reddito se ne può liberare» (Mises 1969, 251-253).

Solo quando i tassi di cambio sono fissi i governi sono obbligati a dire la verità ai cittadini. Quindi, la tentazione di fare affidamento sull’inflazione e sui tassi flessibili al fine di evitare il costo politico degli aumenti delle tasse impopolari è molto forte, praticamente distruttiva. Quindi, anche se non c’è un gold standard, i tassi fissi limitano e disciplinano l’arbitrarietà dei politici:

«Anche in assenza di un vero gold standard, i tassi di cambio fissi forniscono una certa assicurazione contro l’inflazione che non è imminente nel sistema flessibile. Nella fissità, se un paese inflaziona, cade vittima di una crisi della bilancia dei pagamenti. Se e quando esaurisce il possedimento di valute estere, deve svalutare, un processo relativamente difficile, irto di pericoli per i leader politici coinvolti. Sotto la flessibilità, invece, l’inflazione non comporterebbe una crisi della bilancia dei pagamenti, né alcuna necessità di una svalutazione politicamente imbarazzante. Invece, c’è un deprezzamento relativamente indolore della valuta domestica (o inflazionistico) contro le sue controparti straniere (Block 1999, 19, corsivo aggiunto).

Traduzione di
Francesco Simoncelli, Antonio Manno, Nicolò Signorini e Luigi Pirri

1/continua


di Jesus Huerta de Soto