La Corte dei Conti pessimista sulla Rai

giovedì 2 agosto 2012


Nel 2010 la Rai ha chiuso il proprio conto economico con una perdita di 128,4 milioni di euro e quindi «in peggioramento rispetto all’esercizio precedente». Lo mette nero su bianco la Corte dei conti nella propria relazione periodica da poco trasmessa al Parlamento. La crisi quindi morde e non poco il colosso dell’informazione pubblica radio televisiva, spesso al centro delle polemiche e delle tensioni lottizzatorie dei vari partiti politici.

In particolare «il patrimonio netto evidenzia una riduzione complessiva del 25% rispetto all’esercizio 2009». Il conto economico consolidato espone «un risultato negativo per 98,2 milioni di euro». Manco a dirlo, «anche per il 2010 l’evasione dal pagamento del canone di abbonamento è stata elevata: 26,7% per il canone ordinario e 60% per il canone speciale». La Corte dei conti lamenta che non siano state introdotte «misure volte ad arginare il fenomeno», mentre «il ricavo derivante dalla pubblicità ha evidenziato consistente flessione rispetto agli esercizi pregressi», cioè, ad esempio, circa 200 milioni di euro in meno rispetto al 2007. Infine «il contenimento dei costi della produzione non è apparso adeguato in relazione alla situazione economico-finanziaria della società».

Tradotto in parole povere sembra il ritratto della battaglia di Caporetto al momento di contare morti e feriti. Eppure se si va a vedere nel dettaglio, a parte il mastodontico compenso del direttore generale dell’epoca, Mauro Masi, oltre 720mila euro annui, le spese per il personale dirigenziale, e in special modo quelle per i consiglieri di amministrazione, risultavano abbastanza contenute. Presidenti e cda hanno navigato sulla cifra non enorme di 177mila euro che comprendeva uno stipendio da 98 mila più un’indennità da 75mila ciascuno. Non scandalosi neanche i compensi dei sindaci, 45mila euro lordi annui e del loro presidente, 63mila euro lordi. Nelle considerazioni finali tra pagina 156 e pagina 162 della relazione della Corte dei conti non si dimostra alcun particolare ottimismo per il futuro.

Ad esempio, «va segnalata l’esigenza di assumere tutte le iniziative che si riterranno più idonee per mantenere sotto stretto controllo l’andamento del costo del lavoro e degli oneri connessi, sia per la Società che per il Gruppo, considerando l’incidenza di circa il 30% di tale fattore sul costo della produzione ed attesa la difficoltà di conseguire maggiori introiti dalle attuali fonti di entrata». La Corte rappresenta, inoltre, «la necessità di una significativa riduzione dei costi relativi alle consulenze esterne, che hanno inciso sul bilancio del 2010 per circa tre milioni di euro, limitandone il ricorso in casi eccezionali, per periodi limitati e sempre che le professionalità richieste non siano annoverate all’interno delle risorse umane della società».

Una vexata quaestio si potrebbe tranquillamente dire. La rigorosa razionalizzazione dei costi «permetterebbe di neutralizzare gli squilibri rilevati nella contabilità separata e, ove coniugata ad una efficace lotta all’evasione del pagamento del canone radiotelevisivo, inciderebbe sulla misura del canone stesso, consentendone la diminuzione a beneficio della collettività che lo corrisponde». A determinare risultati negativi della gestione, oltre il mancato rigoroso contenimento dei costi e la ridotta espansione di taluni ricavi, ha contribuito la «inadeguatezza del contratto di servizio (stipulato tra il ministero dello Sviluppo economico e la Rai) in tema di copertura dei costi che lo svolgimento del servizio pubblico comporta». AI riguardo si segnala che «in sede di rinnovo del Contratto di servizio, vengono definite le attività di Servizio pubblico, ma non anche le risorse pubbliche aggiuntive da rapportare alla nuova entità dei compiti affidati e che dovrebbero derivare, sulla base della vigente normativa, dagli introiti da canone e dalla parte della raccolta pubblicitaria da esporre nell’aggregato».

La Corte ribadisce il giudizio, espresso nelle precedenti relazioni, secondo cui il modello della contabilità separata, «sicuramente valido per dimostrare all’Unione europea che il finanziamento pubblico non supera il costo complessivo sostenuto dalla concessionaria per lo svolgimento del servizio pubblico», non può essere assunto quale strumento «unico ed esclusivo per determinare la misura del canone di abbonamento».Perchè alcuni valori «provengono da procedure basate sull’applicazione di parametri numerici e sull’ipotetica applicazione di vincoli normativi previsti per la generalità degli operatori del settore». Dalla relazione poi veniamo a scoprire un dettaglio che ha dell’incredibile: «In relazione alle perdite evidenziate nell’aggregato “a”, nei vari esercizi, la società ha chiesto in più occasioni al ministero dello Sviluppo economico di provvedere a corrispondere gli importi alla stregua delle obbligazioni derivanti dal contratto di servizio, secondo cui i costi del servizio pubblico devono essere coperti dal gettito del canone (e dalla pubblicità residua). Di recente, poi, ha formalizzato atto di intimazione nei confronti del ministero stesso chiedendo il pagamento delle somme non erogate per compensare i costi del servizio pubblico».

In pratica, fra un po’ avremo la Rai che pignora il ministero delle Telecomunicazioni. Nella prospettiva illustrata nel piano Industriale della società 2010-2012, dell’insorgenza, nell’immediato futuro, di gravi difficoltà per il perseguimento dell’equilibrio di bilancio, a causa soprattutto della prevista riduzione dei ricavi pubblicitari, la Rai ha valutato, «in linea con quanto rilevato da questa Corte, al fine del contenimento dei costi della produzione, l’opportunità di porre in liquidazione o incorporare alcune società controllate, in rapporto al perseguimento dei propri scopi, trasferendo, alle sue strutture le attività svolte dalle società soppresse». Last but not least, le sanzioni economiche comminate dall’Agcom, spesso su input di partiti di minoranza come quello dei Radicali italiani, «per la inosservanza, da parte della Rai, dei principi generali in materia di informazione e di ulteriori compiti di pubblico sevrizio nel settore radiotelevisivo, nei programmi di informazione e di propaganda».

Tali sanzioni hanno gravato sul bilancio della società per oltre 0,5 milioni di euro. La Corte quindi «raccomanda alla Società di attenersi nelle proprie trasmissioni agli obblighi imposti dalla normativa vigente, onde evitare di privarsi di risorse per fronteggiare eventuali sanzioni irrogate dalla Autorità per le garanzie nelle comunicazioni». Un monito che si potrebbe anche tradurre con il classico “chi rompe paga e i cocci sono suoi”.


di Dimitri Buffa