Il destino dell'euro? È noto da un secolo

venerdì 27 luglio 2012


Chiunque abbia svolto studi economici ha ben presente il pensiero keynesiano, mirabilmente descritto in un libro del Professor Fausto Vicarelli (Keynes, l’instabilità del Capitalismo, Etas Libri, 1977). Dalla lettura del primo capitolo del libro citato: «Il sistema monetario dell’India ed il ruolo delle istituzioni finanziarie» si ricava una sorprendente descrizione dell’attuale momento economico vissuto dal nostro paese. In breve, sino al 1893 presso la zecca indiana si poteva liberamente coniare la allora moneta legale, la rupia d’argento, il cui valore fluttuava in relazione al valore aureo dell’argento.

Nel 1893 l’India decise di fermare tale libera coniazione a seguito del continuo deprezzamento del valore aureo dell’argento che comportava una continua svalutazione del valore esterno della moneta indiana con il risultato di stimolare le esportazioni spingendo contemporaneamente verso l’alto il livello dei prezzi interni. Negli anni ’90 la lira italiana era la moneta legale nel nostro paese e subiva una continua svalutazione rispetto alle monete degli altri paesi per il quale fatto, esattamente come per la rupia d’argento indiana, si avevano valide esportazioni e crescita dei prezzi interni, ovvero inflazione; accomunata in tale problema con altri paesi europei, Spagna, Grecia, Portogallo, l’Italia, assieme ad altri 10 stati europei, costituisce l’Unione Economica Europea ed elegge con essi, con la “trascurabile” astensione della Gran Bretagna, a moneta legale l’Euro (attualmente adottato in 17 paesi europei), definendo un tasso di cambio Lira/Euro pari a 1936,27 ad 1, cosi come nel 1893 fu fissato il tasso di cambio Rupia/Sterlina a 15 ad 1. Per controllare l’oscillazione tra la Rupia e la Sterlina, veniva utilizzato il Council bill, ovvero un titolo acquistabile a Londra in Sterline e vendibile in India contro Rupie, in pratica un antenato dei titoli di stato; la mancanza però di una Banca centrale in India determinò l’accentramento del controllo del commercio estero e del suo finanziamento nelle mani delle banche private, impossibili da controllare da parte del governo, non conoscendosi neanche la suddivisione dei depositi delle banche stesse tra Londra e l’India.

Ciò, con i dovuti aggiustamenti, è quello che è successo negli ultimi anni in Europa, il riunire sotto la stessa moneta paesi con culture ed economie ampiamente differenti con tassi di cambio prefissati e la possibilità di intervenire mediante la politica monetaria accentrata nella Banca centrale europea ha di fatto svuotato di capacità di intervento le Banche centrali dei singoli paesi: i governi europei provvedono ad emettere i propri titoli di stato ed a collocarli sul mercato dopodiché il sistema bancario e finanziario, sulla base dell’andamento reale dell’economia dei singoli paesi, provvede a determinare il reale valore dei titoli di stato di ciascun paese all’interno del mercato europeo, determinando l’andamento del temutissimo “spread” tra i titoli stessi, con la conseguente crisi delle banche e dei paesi stessi portandoli alle porte del “default”, vedi Grecia, Portogallo, Spagna ed Italia stessa. Ci si chiede oggi se, con un esempio cosi nitido di oltre un secolo antecedente, gli sviluppi dell’introduzione dell’Euro non fossero chiaramente prevedibili, cosi come accaduto in Gran Bretagna, unico paese europeo che ha reagito e stroncato la crisi economica globale che ha colpito l’Europa in brevissimo tempo quando, grazie al totale controllo della propria moneta, ha potuto, nel marzo del corrente anno, ridurre la tassazione intuendo, nonostante Londra sia la piazza finanziaria più importante del mondo, che la via dello sviluppo e della crescita, in ultima analisi la via per uscire dalla crisi, si gioca sulla bassa imposizione e sul rilancio delle infrastrutture e dell’industria manifatturiera.

Quale risultato della moneta unica, per come sopra descritto, il nostro Paese si ritrova attualmente con un’inflazione al 3,3% (giugno 2012); uno “spread” tra i propri titoli di Stato e quelli tedeschi intorno ai 500 punti; un debito pubblico a livelli mai raggiunti ed ha subito un declassamento a livello internazionale della propria solvibilità da A3 a Baa2, oltre a presentare la più alta pressione fiscale a livello mondiale e percentuali di occupazione della propria popolazione attiva a livelli di terzo mondo. È dura definire tale situazione come qualcosa di diverso dall’“anticamera del default”. Eppure il nostro governo afferma con monolitica sicurezza che tutto ciò è dovuto al fenomeno dell’evasione fiscale...


di Paolo Farnetani