martedì 1 maggio 2012
In un panorama generale di forte disagio occupazionale, c'è un
settore in espansione dove i posti di lavoro sono in aumento e le
aziende faticano a trovare nuove professionalità. Il mondo del vino
in Italia continua, in controtendenza, a creare occupazione: +1,7%
dal 2006 a oggi, a fronte di un -2,5% del beverage nel suo
complesso e a -5,1% del manifatturiero. Il comparto conta 1,2
milioni di addetti, ha corsi di formazione dove 9 studenti su 10
trovano lavoro (l'87% in Italia, il 13% preferisce l'estero); per 6
su 10 il posto arriva a tre mesi dalla laurea.
Non solo enologi, sommelier, cantinieri o viticoltori. Anche
esperti di marketing, comunicatori, wine hunter (a caccia di
clienti top per cantine ed enoteche), ambasciatori del brand
(promuovono le aziende all'estero, soprattutto sui mercati
emergenti), wine promoter (abbina il vino a eventi di ogni tipo),
social wine writer (sempre connesso, 'guida' gli enoappassionati
via social network). La filiera conta 18 comparti d'impiego
diversi. Con un export da 4,4 miliardi di euro nel 2011 e una forte
vocazione all'internazionalizzazione, le esigenze delle aziende si
sono amplificate, anche nel campo della comunicazione.
«Spesso il lavoro si tratta di inventarselo, servono un po' di
antenne al di fuori dei canali istituzionali», ha spiegato
Alessandro Regoli che 10 anni fa ha dato vita a un'agenzia on line
specializzata, Winenews, 10 dipendenti, sede a Montalcino, patria
del Nobile, e punto di riferimento per aziende, buyers e tutta la
community del mondo del vino. «La crisi è generalizzata ma il
settore del vino tiene - ha spiegato Carlotta Pasqua, responsabile
delle relazioni esterne dell'omonima azienda veronese e presidente
dei giovani imprenditori dell'Uiv - per le aziende la distribuzione
è strategica, servono figure nuove come il residence area manager,
o il brand ambassador nei paesi emergenti, come Cina e Brasile, che
faccia da trait d'union, anche culturale, tra l'azienda e quei
mercati molto lontani dalla cultura enogastronomica italiana». Ma
anche in vigna non si improvvisa più, servono agronomi
specializzati, maestri potatori, esperti in packaging, dalla
bottiglia al tappo.
«Il mondo è cambiato - ha spiegato ancora la responsabile di
Winenews - ci confrontiamo sempre più con aziende che la sanno
lunga, la passione non basta, serve anche formazione solida».
L'impatto pessimista della crisi, inoltre, con la riduzione dei
consumi fuoricasa, sembra essersi momentaneamente fermato e ai
giovani italiani adesso piace bere di qualità: il vino, per la new
generation, deve essere biologico, a basso contenuto di solfiti,
bassa gradazione alcolica e più morbido al palato. È questo,
insomma, l'identikit del vino del futuro, quello che piace alla
nuova generazione dei consumatori under 35. Non importa se costa
caro, è fondamentale, però, che sia di qualità: dati che emergono
prepotentemente dall'annuale ricerca di mercato Vinitaly -
Unicab.
Dopo la "grande crisi" si sta affacciando un nuovo tipo di
consumatori con tendenze e gusti diversi, più sofisticati rispetto
al passato. Accanto a una propensione a spendere di più il
sondaggio mostra un costante calo nei consumi individuali, motivato
non tanto da ragioni economiche, che potrebbero essere vere di
questi tempi, quanto a un accresciuto interesse per la salute,
oltre al consolidarsi di nuove abitudini di vita. Non a caso i vini
che il consumatore del 2012 intende acquistare nei prossimi mesi
saranno con minor apporto di solfiti, bio e a basso contenuto di
alcol, e che saranno prima "sperimentati" presso i locali
attraverso serate o cene di degustazione.
Quanto alla "competizione" dei soft drinks, il campione
intervistato da Unicab resta fedele al "nettare degli dei". Le
eccezioni derivano dalla necessità di non appesantirsi a pranzo, di
dover guidare dopo cena e dal rispetto verso altri commensali non
bevitori. Gli under 35, inoltre, preferiscono acquistare il vino
direttamente in cantina, magari accompagnato anche da una lattina
di olio. Vino se ne beve, insomma, ma non come negli anni 80,
durante i quali il consumo aveva raggiunto l'apice. Oggi la
degustazione del bacco è scesa a meno di 40 litri a persona l'anno
per un totale inferiore ai 21 milioni di ettolitri.
Emerge da un'analisi della Coldiretti che fa riferimento al report
dell'Istat sull'uso e abuso di alcol in Italia. Nel 2011 gli
italiani hanno speso addirittura più per acquistare acqua che per
il vino. Il forte calo nelle quantità di vino acquistate dagli
italiani, è affiancato «dalla preoccupante crescita» fra i giovani
e gli adulti dell'abitudine al consumo di superalcolici, aperitivi
e altre bevande con frequenza occasionale alternative al vino. «Il
vino che è in realtà caratterizzato da un più responsabile consumo
abbinato ai pasti che non ha nulla a che fare con i binge drinking
del fine settimana e è oggi invece sempre più - precisa la
Coldiretti - l'espressione di uno stile di vita 'lento', attento
all'equilibrio psico-fisico».
Aspetti che vanno evidenziati «per evitare il rischio di una
errata criminalizzazione del consumo di vino, mentre è necessario
investire nella prevenzione promuovendo la conoscenza del vino con
il suo legame con il territorio e la cultura, a partire proprio
dalle giovani generazioni». Le esportazioni vinicole italiane verso
l'estero, invece, hanno subito una brusca frenata nel primo
bimestre del 2012. Lo ha reso noto l'Italian Wine and Food
Institute.
Dopo il successo del 2011, che aveva visto incrementi del 13% in
quantità, gennaio e febbraio di quest'anno hanno registrato - dice
Iwfi - una diminuzione del 6% in quantità e del 10% in valore. Di
conseguenza l'Italia è stata superata per quantità di vino
esportato dall'Australia e dal Cile, pur avendo mantenuto il primo
posto fra i paesi esportatori in quanto a valore (+16%). La
contrazione delle esportazioni italiane è in contrasto con
l'incremento, del 31,4% in quantità e del 9,4% in valore, delle
importazioni vinicole statunitensi.
di Luca Sansonetti