“No Other Choice”: disoccupato da morire

martedì 23 dicembre 2025


Dopo aver lavorato duro per 25 anni nella stessa azienda, come il protagonista Man-soo (Lee Byung-hun), quanto può far male la disoccupazione, se sei un coreano e per te il “valore-lavoro” è un totem, un dio al quale non puoi mancare? Soprattutto quando, a causa del licenziamento, perdi di colpo la tua vita dorata, fatta di una bella casa nel verde, di agiatezza e comodità per moglie e figli, con tanto di fedelissimi cani Golden retriever che corrono felici nel grande giardino di casa, nel quale domina una lussureggiante serra, grande passione del padrone di casa. La cosa merita almeno un esaurimento o una vera e propria discesa agli inferi della follia, in genere con solo biglietto di andata e solo eccezionalmente di ritorno. E proprio quest’ultimo, raro evento riguarda le vicende del protagonista del film coreano No Other Choice - Non c’è altra scelta (nelle sale italiane dal 1° gennaio 2026), per la regia di Park Chan-wook. Il luogo del delitto: una fabbrica di carta pregiata dove è in atto una vera e propria deflorazione dei diritti dei lavoratori, a favore di un profitto fine a se stesso, in cui il “padrone” è solo e sempre il Dio Denaro, che non ha mai “le brache bianche” e che nemmeno “molla le palanche”, perché non puoi richiederle a un algoritmo che gioca in borsa e non ha né volto, né tanto meno un’anima. Così, un bel giorno il loro impianto industriale viene acquisito da un investitore americano, al quale del famoso Capitale umano non importa un bel nulla: il solo interesse preliminare, primo e ultimo, è una lista di persone che debbono essere licenziate, alle quali inviare come messaggio in codice un’anguilla da fare alla brace. Allegoria per dire allo sventurato interessato: sei cotto e grigliato, per cui a partire da oggi trovati un’altra sistemazione, se puoi e non sei abbastanza vecchio.

Il meccanismo della storia funziona in base al motto hitleriano “non uno di più”, procedendo per eliminazioni successive degli antagonisti scomodi, come farebbe ogni buon Blockführer. No Other Choice è la storia di un cannibalismo figurato tra capireparto superlaureati (chimici, ingegneri), espertissimi nell’arte antica della carta pregiata, rimasti senza lavoro ad opera dell’economia della finanza speculativa fine a se stessa, per cui non esiste più un rapporto fisico di conoscenza reciproca, né una qualsivoglia prossimità tra operaio e padrone. La chiave interpretativa, oltre al capo-famiglia, è rappresentata da una sorta di bipolo, con ai poli opposti una moglie Mi-ri (Son Ye-jin) che sceglie l’arte delle tre scimmiette, pur di non perdere i suoi privilegi di status, come le lezioni di tennis. Mentre in quello opposto risalta la figura fragile di una deliziosa figlia piccola, una sorta di autistica sapiente che suona prodigiosamente il violoncello quando è sola con i propri maestri di musica, ma che nei suoi esercizi casalinghi fa ascoltare sono corde sporche e suoni stridenti, come ricavati da una mano inesperta che si limita a torturare le corde dello strumento. Solo nel finale, enigmatico, la bimba, che parla come un pappagallino ripetendo le frasi degli adulti, si esibisce in uno strabiliante assolo che fa scivolare a terra dalla commozione sua madre e marmorizzare suo padre, che l’ascolta dall’esterno.

Interessanti sono i dialoghi del protagonista con le équipe dei cacciatori di teste delle aziende specializzate per la selezione del personale. Come una polvere di stelle in rapida rotazione, i disoccupati, lavoratori e responsabili qualificati, già impiegati nell’industria cartaria, sono obbligati per superare la loro crisi esistenziale a seguire corsi di autostima condotti da invasati psicologici di sostegno. E sono proprio questi stimolatori di professione stipendiati a consigliare ai loro utenti disperati la pratica di esercizi ossessivi e compulsivi di auto-stimolazione, addestrandoli a ripetere senza sosta mantra e gesti scaramantico-rituali, che riecheggiano una particolarissima cultura asiatica del kamikaze, pronto a sacrificare tutto se stesso, per il bene dell’Azienda, madre e matrigna.

Altrettanto paradossali, sono le lunghe, inverosimili, imbranate scene di guerriglia in cui il cacciatore di consimili studia come un guerrigliero, nascosto nel bosco, le abitudini delle sue vittime, per avvicinarle e poi colpirle all’improvviso, cogliendole in un attimo di difficoltà o approfittando di una loro crisi coniugale, per mascherare la sua vera attività di “eliminator”. A nulla serviranno le inchieste di due approssimativi detective, che cercheranno di arrivare alla verità sugli scomparsi interrogando più e più volte Man-soo in merito alle vicende che li riguardano, con lui che riesce a dissimulare le circostanze delittuose, malgrado evidenti lacune nella sua versione dei fatti. La morale inversa del film, per cui il male vince, è controbilanciata da un terrificante contrappasso, laddove il caporeparto sopravvissuto se la deve vedere con una fabbrica senza operai governata dall’Ia, che comanda l’intera catena di trasformazione dalla cellulosa agli immensi rotoli del manufatto finale, mentre le immagini extra film mostrano mostruose macchine mangia boschi, che scuoiano senza alcuna emozione centinaia di alberi e tronchi, offrendoli in sacrificio all’altare del consumismo globale.

 Voto 6,5/10


di Maurizio Bonanni