Pierre Boulez: il suono come sincretismo di arti

sabato 11 ottobre 2025


Ottobre ci invita a tornare al nome di Pierre Boulez, nato il 26 marzo 1925 e figura centrale del pensiero musicale del Novecento. La sua musica non è soltanto un catalogo di opere rigorose, ma un punto d’incontro tra linguaggi: letteratura, pittura, filosofia, scienza del suono. Boulez non compose mai in isolamento: il suo gesto creativo è un dialogo incessante con le altre arti. 

Fin dagli esordi, con i Douze Notations, Boulez trattò il pianoforte come una tela astratta. Ogni suono è colore, ogni frammento è tratto. Nei lavori successivi Le Marteau sans maître e Pli selon pli, il principio si fa evidente: la partitura diventa un laboratorio in cui le parole dei poeti si trasformano in materia sonora, come se fossero pigmenti. Boulez era affascinato dall’idea che il tempo musicale potesse piegarsi e dispiegarsi come un foglio: il suono come architettura invisibile. In questo senso, i suoi lavori ricordano le costruzioni di Mondrian, con le linee nette, o i dipinti di Paul Klee, dove il colore è ritmo e la geometria danza.

Non è un caso che Boulez scelga René Char e Stéphane Mallarmé come compagni di viaggio. Char, con le sue immagini frantumate e folgoranti, gli offre il terreno di Le Marteau sans maître. Mallarmé, con il sogno del Livre infinito e frammentario, diventa la guida di Pli selon pli. La poesia non è ornamento: è struttura. Boulez legge Mallarmé come si legge una partitura. I versi diventano modelli di apertura formale, “pieghe” che possono disporsi in sequenze diverse. Qui la musica tocca la letteratura, ma anche il pensiero visivo: un quadro di Kandinsky, un collage di Braque, un rilievo di Brancusi hanno la stessa energia di forme che si articolano nello spazio.         

Il lavoro elettronico e spaziale di Boulez, in opere come Répons, porta il discorso oltre. L’orchestra si distribuisce nello spazio come un’installazione, come se ci si muovesse all’interno di una scultura sonora. È qui che Boulez si avvicina non solo alla pittura astratta, ma anche alla scultura moderna: pensiamo ai volumi puri di Brancusi o alle spirali di Naum Gabo. Come loro, Boulez costruisce forme che non hanno un “fronte” unico, ma che possono essere percepite da angolazioni diverse. La sua musica è tridimensionale, vive nel movimento dell’ascoltatore nello spazio.

In Boulez il sincretismo non è mai decorativo. Non si tratta di “prendere in prestito” motivi da pittura o poesia: si tratta di pensare l’arte come un unico sistema di forze. La parola di Mallarmé, la linea di Mondrian, la scultura di Brancusi e il suono seriale di Boulez nascono dallo stesso desiderio: dare forma all’invisibile.

Nella sua direzione orchestrale, Boulez cercava la stessa chiarezza che un architetto cerca in una pianta, o un pittore nella luce. Nel suo lavoro istituzionale l’Ircam, l’Ensemble Intercontemporain costruiva non solo opere, ma spazi, luoghi di incontro tra discipline.

Celebrando Boulez, celebriamo un’idea di arte che non conosce confini: il verso di Char che diventa ritmo, la linea di Klee che si trasforma in melodia, la scultura di Brancusi che trova eco nelle masse orchestrali.

Boulez è il musicista che ha fatto del Novecento non solo un secolo di suoni, ma un secolo di dialoghi fra arti.


di Stella Camelia Enescu