mercoledì 1 ottobre 2025
In territorio espressivo, artistico, si tratti di musica, di letteratura, di pittura, di scultura, di architettura, l’Italia, se non è superiore a tutti gli altri Paesi, non ha Paesi superiori. L’opinione non è sempre condivisa, ovviamente. Ed è interessantissimo, persino divertente cogliere i giudizi degli altri su di noi e tra gli artisti. Per esempio, i tedeschi, non tutti, detestavano l’opera lirica italiana con giudizi sprezzantissimi. Tanto per dire, Robert Schumann, che stendeva critica professionalmente, emette ripulsa estrema riguardo ai compositori italiani. Friedrich Nietzsche si schifava letteralmente di Giuseppe Verdi e consigliava a un suo amico, che a quanto pare valeva minimamente, di sorpassarlo, con grande timidezza di questo amico, compositore, che invece comprendeva il pregio di Verdi. Ma non si trattava di opinioni sorte per motivi nazionalistici, mi riferisco sempre al campo musicale. La sostanza riguardava una differenza radicale: gli italiani, almeno dal Settecento in poi, favorivano estremamente il bel canto, le cosiddette arie, una facilità indiscussa e suprema nell’inventare queste canzoni liriche, per così dire. Vincenzo Bellini, Gaetano Donizetti e Gioachino Rossini hanno costellato di galassie celesti l’universo dell’opera lirica.
Oltretutto, con una presa popolare che ha immissione nell’epica nazionale, e notorietà mondiale, intendiamoci. I tedeschi, soprattutto, stimavano massimamente l’orchestrazione, più che le arie e il bel canto. Questo sia detto cautamente, ben inteso: Wolfgang Amadeus Mozart ha concepito tra le più elette melodie. Tuttavia, l’accusa che muovevano agli italiani riguardava l’orchestrazione, considerata difettosa, elementare, talvolta di scarso livello. Quando Richard Wagner incontrò Rossini, proprio Rossini precisò che l’invenzione melodica delle arie costituiva l’essenza della musicalità italiana. La disputa si incarognì allorché Richard Wagner conquistò i teatri europei e inevitabilmente si scontrò con Giuseppe Verdi, il quale, come inventore di arie, resta supremo artefice. Circostanza, ripeto, odiatissima da Nietzsche. Si costituì in Italia un movimento favorevole alla cosiddetta musica continua di Wagner. Questo infastidì moltissimo Verdi, il quale stava nel suo: era un melodico nato, inventore di arie come nessun altro e con capacità drammatiche e perfino tragiche di personaggi memorabili. In ogni caso, lo scontro ci fu. Il partito wagneriano si rafforzò, ed ebbe perfino tra i partecipi il librettista e compositore Arrigo Boito, che per qualche tempo sfidò Giuseppe Verdi. In effetti, il Mefistofele di Boito è ascoltabilissimo, e orchestralmente ben sonoro, ma niente da fare, Boito è italiano e la sua opera ha sequenza di arie non di recitativi quasi parlati che gravano nelle opere di Wagner. Rossini dichiarava all’ingrosso che Wagner si addormenta e ogni tanto si ridesta.
Non meno interessanti i giudizi che si attribuivano i compositori. Verdi riteneva troppo lunghi i dialoghi cantati di Bellini. Suppongo si riferisse alla Norma. Sempre Verdi, addirittura considerava mal composto il finale della Nona Sinfonia di Ludwig van Beethoven! Georges Bizet era ammorbato da Verdi, Giacomo Puccini considerava La sagra della primavera di Igor’ Fëdorovič Stravinskij catastrofica rovina della melodia, apprezzandone le percussioni. Pure Camille Saint-Saëns giudicava similmente Stravinskij. Louis Spohr non apprezzava Beethoven, il quale non stimava moralmente Mozart. Era un giudizio anche musicale, data l’elevatissima morale della creazione artistica dominativa in Beethoven. Del resto, egli del passato stimava soltanto Georg Friedrich Händel non Johann Sebastian Bach. C’è da dire che Bach in quel periodo era quasi sconosciuto, sarà Felix Mendelssohn Bartholdy poi a ridargli l’onore oggi universalmente riconosciuto. Nietzsche lo avversava nettamente. Di queste opinioni, di questi giudizi se ne potrebbero scrivere a fiumane. Gustav Mahler correggeva un po’ tutti. Stimava, una rarità, allora, Anton Bruckner, da cui prese qualcosa, e incredibilmente stimava anche Nietzsche quale compositore. Non a caso, lo stesso Nietzsche teneva alla sua natura musicale perfino più di quanto tenesse alla sua natura filosofica.
Wagner suscitò effetti, addirittura, anche in Giacomo Puccini: melodicissimo creatore di arie spesso ben armonizzato strumentalmente. William Shakespeare sostiene che bisogna diffidare di chi non ama la musica. Avesse conosciuto Adolf Hitler e Iosif Stalin, appassionatissimi di musica, avrebbe moderato il proprio giudizio. Hitler viveva letteralmente stati ipnotici ascoltando Wagner e Stalin, addirittura, sorpassava l’odio di un russo contro i polacchi amando Fryderyk Chopin. Come toccare fuoco avvelenato. Ma la musica oltrepassa precisamente questi giudizi nazionalistici. Non sempre: intendiamoci. Ma è davvero un universo e sembra viaggiare in una galassia di stella in stella. Ascolti Franz Schubert. Lo risenti e ti sembra un incontro definitivo: La morte e la fanciulla, L’Incompiuta, non ne puoi fare a meno! E chi te le strappa via! Ascolti l’Aria di Didone in Didone ed Enea di Henry Purcell, e resti fermo, marmorizzato, e la consacri nella memoria. Ti viene all’ascolto un’altra aria: è del Requiem tedesco di Johannes Brahms e t’invade per sempre. Ma proprio minuzie. Sigmund Freud concepì una duplice modalità orientativa dell’Io, l’ideale dell’Io, l’Io ideale. L’Io ideale magnifica sé stesso immaginandosi chi non è, il povero che si immagina possidente, lo spoetico che si stima poeta, una visione illusoria di sé. L’ideale dell’Io risiede in colui che ama e ammira realisticamente quanto gli uomini hanno compiuto e cerca di gareggiare. Stimare ed amare, e la vita trova il suo valore. Diceva Nietzsche, credo citando Arthur Schopenhauer, che l’insegnamento sta nell’apprendere e ammirare il genio. Vero. L’ammirazione fonda l’ideale dell’Io. Il genio come ideale dell’Io.
di Antonio Saccà