giovedì 25 settembre 2025
Tullio Terni è stato uno scienziato di fama internazionale. Nato a Livorno il 21 gennaio 1888, studiò medicina all’Università di Firenze, dove fu allievo di Giulio Chiarugi, e lì conobbe Giuseppe Levi, di cui divenne, dopo la laurea, stretto collaboratore, seguendolo prima all’Università di Sassari e poi in quelle di Palermo e di Torino. Nel 1922, cioè quando davvero pochi avevano capito cosa fosse, aderì al fascismo e nel 1924 divenne professore d’istologia all’Università di Padova, dove mise in piedi un centro di ricerca di prim’ordine. Ebreo, braccato dalle leggi razziali del 1938, si era procurato delle capsule di cianuro per potersi dare la morte nel caso fosse stato catturato dai nazifascisti. Ma ingerì quella capsula alle prime ore del 25 aprile 1946, dopo che una giuria antifascista lo aveva epurato dall’Accademia dei Lincei, di cui aveva fatto parte prima del 1939, in quanto ritenuto “vile” e “fascista”. In Lessico famigliare, Natalia Ginzburg lo descrive come “un uomo colto”, che aveva letto molti romanzi moderni, uno dei primi e appassionati lettori della Recherche proustiana in Italia. Oltre che l’incontro con Marcel Proust, aveva portato in casa Levi “il gusto della malinconia”, la Nouvelle Revue Française e le riproduzioni di Felice Casorati. Giuseppe Levi, il padre di Natalia che aveva dato vita con lui a importanti studi di istologia, anatomia, embriologia e biologia, lo considerava un eccellente scienziato, pur rimproverandogli atteggiamenti da dandy. Nel 1931 ebbe la colpa di sottoscrivere, insieme ad altri 1200 accademici italiani, il giuramento di fedeltà al fascismo. In tutta Italia, furono solo dodici i cattedratici che si rifiutarono di firmarlo: Ernesto Buonaiuti, Mario Carrara, Gaetano De Sanctis, Giorgio Errera, Giorgio Levi Della Vida, Fabio Luzzatto, Piero Martinetti, Bartolo Nigrisoli, Edoardo Ruffini, Francesco Ruffini, Lionello Venturi e Vito Volterra, nomi che sono oggi ai più sconosciuti. Nel 1946 uno di loro, lo storico antifascista Gaetano de Sanctis, poi anche senatore della Repubblica, prese le difese dell’ebreo Tullio Terni accusando la commissione epuratrice di “rigido e astratto dottrinarismo”, grazie al quale aveva potuto violare “i principi inviolabili dell’equità e della giustizia”.
Ne Il professore ebreo perseguitato due volte. Tullio Terni e l’ipocrisia italiana, (La Nave di Teseo, 2025) Pierluigi Battista narra in modo circostanziato e letterariamente incisivo la vicenda umana e professionale di questo grande scienziato, chiedendosi come questa doppia persecuzione sia stata possibile. Cercando una risposta a questa domanda rileva che, quando furono promulgate le leggi razziali, “gli ebrei italiani si sentivano parte integrante della nuova nazione”. Molti di loro “avevano combattuto nelle trincee della Prima guerra mondiale” e “sentivano la loro italianità con orgoglio”. Lo stesso Terni era stato capitano medico e poi insignito della croce di guerra al merito. Dopo il 1938 gli ebrei italiani dovettero subire un’impressionate serie di angherie e soprusi, volti a rimarcarne la condizione di paria, e furono estromessi con la forza dalla comunità nazionale. Perseguitati nelle scuole e nelle università affinché non infettassero le menti dei giovani “razzialmente ariani”, furono progressivamente schiacciati da “un senso di umiliante degradazione”. In molti cercarono di discriminarsi da quella discriminazione cambiando nome, come Franco Fortini, nato Lattes. Altri chiesero la protezione di Giovanni Gentile, che non era favorevole alla persecuzione antiebraica. Altri ancora ripararono a Tel Aviv, o in America, o in Inghilterra, ma molti altri rimasero in Italia cercando pezze d’appoggio o attestati che li mettessero al riparo dalle sanzioni più gravi, fino a diventare spesso “i conversos del ventesimo secolo”. Alcuni di questi aspiravano a diventare “quartarelloni”, come li definisce Cesare Musatti, ovvero portatori di attestati in grado di dimostrare che il loro sangue impuro non oltrepassava un quarto di quello complessivo, circostanza questa che avrebbe potuto salvarli dalle conseguenze peggiori.
Ci fu poi chi si appellò direttamente a Benito Mussolini, come Umberto Saba, nato da padre ariano e da madre ebrea, sostenendo che in base a questa circostanza poteva essere considerato di razza italiana. Nell’ultima parte della sua lettera Saba poi spiegava che togliere la Patria a un poeta era, secondo lui, una sofferenza atroce, era “come togliere la madre a un bambino”. Tutte queste precauzioni non evirano però a molti una fine tragica, e non solo nei campi di sterminio, ma anche in Italia. Robert Einstein, un cugino di Albert Einstein che risiedeva nei pressi di Firenze, nel comune di Rignano sull’Arno, e amico della famiglia Terni, decise a un certo punto “di scappare, senza coinvolgere nella fuga la moglie e le due figlie che, non ebree, a suo avviso non avevano nulla da temere”. Il 3 agosto del 1944, pochi giorni prima della liberazione di Firenze, la Wehrmacht fece irruzione nella casa dove ancora si trovavano la moglie e le figlie, uccidendole a colpi di mitra. Poi i nazisti diedero fuoco alla casa. Il senso di colpa per aver abbandonato moglie e figlie tormentò Robert Einstein per il resto della sua vita, cui pose fine uccidendosi il 3 luglio del 1945, nel trentaduesimo anniversario del suo matrimonio.
Queste, qui succintamente riassunte, sono solo una minima parte delle vicende, dolorose o strazianti, che gli ebrei italiani dovettero affrontare nel loro paese dopo la promulgazione delle leggi razziali. Ciò che doveva succedere dopo la liberazione non fu però per certi versi meno traumatico, in particolare per quegli accademici che avevano perso la loro cattedra. Alcuni di loro ne erano stati privati da rettori solerti addirittura prima dell’entrata in vigore delle stesse leggi razziali, lasciando quei posti nella disponibilità di molti italiani assetati di successi accademici. Ernesto Rossi fu al riguardo profetico quando dal carcere scrisse che l’uscita forzata dei docenti ebrei sarebbe stata “una manna” per tutti i candidati che avrebbero affollato i concorsi. E fu proprio così: come scrive Pierluigi Battista ci fu “un assalto alle cattedre vacanti, un assalto caotico e indecoroso. Turbe di raccomandati, di adulatori, di giovani ambiziosi pronti a cogliere l’attimo fuggente della sistemazione accademica, diedero inizio a una corsa frenetica per occupare i posti liberati dai loro legittimi proprietari”.
Finì che “illustri sconosciuti firmarono opere non scritte da loro” e che vennero distrutte eccellenti scuole di biologia, di matematica e di fisica, come per esempio quella dei “ragazzi di via Panisperna”. Quando poi, dopo la liberazione, i legittimi proprietari di quelle cattedre ne rivendicarono la titolarità, chi durante il fascismo aveva tratto i benefici di quell’epurazione invocava ora l’inquisizione e, come ebbe a esprimersi Benedetto Croce, non seppe trattenere “gli impeti di vendetta”. Molti dei profittatori difesero a spada tratta i diritti immeritatamente acquisiti e agli ebrei che pretendevano la restituzione delle loro cattedre fu offerta la possibilità di divenire docenti soprannumerari. Nella circostanza, resta esemplare quanto Attilio Momigliano disse in faccia al suo diretto usurpatore: “Soprannumerario sarà lei”.
Ci vollero circa dieci anni perché gli ebrei italiani vedessero equiparata la persecuzione per motivi razziali a quella per motivi politici, con la conseguente acquisizione del diritto di ottenere analoghi risarcimenti. Forse era necessario – come suggerisce l’autore – “evitare di riaprire i conti, morali e anche materiali con la stagione dell’obbrobrio razzista”. Dopo quarant’anni di silenzio, fu Rita Levi-Montalcini a sollevare meritoriamente la questione della duplice persecuzione subita da Terni, una duplice persecuzione emblematica della ricorrente ipocrisia che caratterizza gran parte del popolo italiano ogni volta che è posto di fronte a scelte cruciali. Basti ricordare a riguardo che Carlo Anti, “il rettore di Padova che nel 1938 aveva materialmente disposto l’estromissione di Terni e dei suoi colleghi ebrei”, riottenne il suo status accademico e poi, una volta calmate le acque, venne gratificato con un premio speciale proprio da quell’Accademia dei Lincei da cui l’ebreo Terni, già cacciato nel 1938, era stato di nuovo escluso a guerra conclusa.
L’omertà generale che accompagnò a lungo nel dopoguerra la vicenda di Tullio Terni assume così un sapore emblematico che la trascende. Sia durante il fascismo che dopo il suo crollo, l’ipocrisia che regna nelle nostre accademie e anche tra molti sedicenti o posticci antifascisti rivela un’attitudine alla discriminazione opportunista e settaria che poi culmina nel tradimento dei propri valori conclamati. Per questo non si può che sottoscrivere quanto Pierluigi Battista scrive nella parte finale del suo libro: “La vicenda di Tullio Terni è una storia che parla di noi. Che forse parla troppo di noi, Di noi italiani. Di noi come comunità e delle scelte dei singoli. Delle nostre colpe, Dei nostri silenzi. Delle nostre omertà. Della nostra memoria selettiva. Del nostro manipolare la storia e la stessa vita passata a seconda delle convenienze. Delle nostre complicità. Delle nostre viltà, perché no. Della nostra faciloneria e superficialità manichea con cui leggiamo il passato. Della nostra inclinazione a trasformare la storia in arma di propaganda”.
Nella “fossa di smemoratezza” che tutti questi atteggiamenti e inclinazioni sanno generare si nascondono probabilmente molti dei problemi dell’Italia di oggi. Da questa fossa zampillano con inquietante regolarità i segni dell’antica vocazione italica a salire appena possibile sul carro dei vincitori, chiunque essi siano, anche a costo di offendere una volta di più i vessati e i sommersi che fino a poco prima si dichiarava di voler difendere. Da qui deriva la nostra vocazione ad assumere posizioni di comodo, che vanno per la maggiore, che garantiscono successo mediatico e molti followers in tempi brevi. Si tratta a ben vedere della stessa “fossa di smemoratezza in cui è precipitata la storia di Tullio Terni. Colpito tre volte: dal razzismo, dagli epuratori che lo hanno linciato e dalla nostra dimenticanza”.
(*) Il professore ebreo perseguitato due volte. Tullio Terni e l’ipocrisia italiana di Pierluigi Battista, La Nave di Teseo 2025, 144 pagine, 15,20 euro
di Gustavo Micheletti