Antonio Vivaldi, il maestro della stravaganza

mercoledì 27 agosto 2025


Antonio Vivaldi fu uno tra i compositori più importanti della sua epoca ed ebbe merito di portare il concerto solistico per violino – ma non solo – alla sua forma più raffinata e al suo apice espressivo. Come suggerisce il nome di questo genere musicale, un unico strumento assume il ruolo di protagonista e dialoga con gli altri membri dell’orchestra. Purtroppo, nonostante la grande fama in vita, dopo la morte del compositore veneziano si persero le tracce della sua opera e si sarebbe dovuto aspettare fino alla prima metà del Novecento per assistere alla rinascita dell’interesse verso questo prolifico autore.

Vivaldi nacque a Venezia nel 1678 e dimostrò fin da bambino la sua grande capacità con il violino, lo stesso strumento suonato dal padre, diventandone un virtuoso. Studiò in seminario e divenne sacerdote, tanto da ottenere il nomignolo Prete Rosso per il colore dei suoi capelli, ma molto presto smise di celebrare messa a causa della sua cagionevole salute: si ritiene soffrisse di asma, ciò che egli definiva nelle sue lettere “strettezza di petto”. Insegnò musica per gran parte della sua vita al Pio Ospedale Della Pietà di Venezia, un ospedale femminile per orfane, ma dal 1718 iniziò i suoi viaggi in Italia e in Europa dedicandosi alla composizione di melodrammi. Nello stesso periodo, mentre riscuoteva grandi successi operistici, signori e principi continuavano a commissionargli numerose raccolte di concerti. Tra le più celebri spiccano L’Estro Armonico, Il Cimento dell’Armonia e dell’Inventione, La Stravaganza e La Cetra – dedicata, tra l’altro, all’imperatore Carlo VI d’Asburgo che, in occasione di un soggiorno a Trieste nel 1728 per il quale Vivaldi compose la raccolta, trascorse molto tempo a discorrere di musica con il compositore, così da offrirgli una cospicua somma di denaro per i suoi lavori e insignendolo del titolo di cavaliere. Ciò valse al veneziano anche un invito alla corte imperiale di Vienna.

Le partiture di Vivaldi si diffusero ampiamente in Europa; gli editori copiavano e stampavano gli spariti acquistati a Venezia per poi rivenderli. Si trattava di una prassi tipica dell’Europa settentrionale che avveniva soprattutto ad Amsterdam con l’editore Roger, a partire dal 1697. Allora non esistevano istituti giuridici come il diritto d’autore e i guadagni, sfortunatamente per Vivaldi, erano solo per gli imprenditori del settore tipografico e non venivano condivisi con l’autore. In ogni caso, ciò contribuì ad una rapidissima diffusione di Vivaldi nel contesto europeo, influenzando grandi compositori più giovani e in erba.

J.S. Bach studiò e analizzò approfonditamente queste opere, realizzando anche diverse trascrizioni di concerti per il clavicembalo. I suoi studi portarono a 17 trascrizioni per clavicembalo, quattro per organo e una per quattro clavicembali e orchestra d’archi. Tra le più note figurano la BWV 596 per organo, che è la trascrizione del concerto per due violini op. 3 n. 11 (RV 565) di Vivaldi, e il concerto per quattro clavicembali e orchestra BWV 1065, che traspone l’op. 3 n. 10 (RV 580) di Vivaldi. J.N. Forkel, musicologo tedesco del XVIII secolo, afferma nella sua biografia su Bach, riguardo all’importanza di Vivaldi per lo sviluppo musicale del compositore tedesco: “Studiò in modo da poterne estrarre delle idee. Gli insegnò a pensare musicalmente, in modo che alla fine non dipendeva dalle sue dita per creare, ma concepiva le idee nella sua mente prima di suonare”. Per questo motivo, dalla metà dell’Ottocento, molte di queste composizioni nelle edizioni della Bach-Gesellschaft furono accompagnate dalla dicitura Da Vivaldi.

Nel Nord Europa il repertorio del veneziano veniva studiato ed eseguito con un certo interesse a Dresda, diventata un centro della musica vivaldiana grazie a Johann Georg Pisendel, il quale intrattenne anche un’amicizia col Prete Rosso. Ciò, ovviamente, con il gran piacere del principe Federico Augusto di Sassonia, che si dilettava ad ascoltarne le esecuzioni. Vivaldi si cimentò in ogni tipo di genere musicale, sacro e profano (strumentale – sonate e concerti – e vocale), inclusi i melodrammi, collaborando tra gli altri con Carlo Goldoni, insieme al quale scrisse l’opera Griselda nel 1735. Può essere quindi considerato come uno dei compositori di maggior successo e più prolifici del suo tempo, pur senza raggiungere la ricchezza. Morì a Vienna nel 1743.

Lo stile di Vivaldi: il Maestro della Stravaganza e un’originalità marcata

Il termine “stravaganza” indica chi è caratterizzato da un’eccessiva e audace originalità. Questo concetto si adatta perfettamente all’arte e alla musica del periodo barocco. Lo spirito musicale dei compositori del tempo spesso aveva un unico obiettivo: sorprendere il pubblico, realizzando melodie e armonie bizzarre, fuori dal comune, così come la grande tradizione del theatrum mundi insegna. È un elemento che troviamo di frequente nelle opere di Vivaldi, al punto tale che una delle sue raccolte si intitola proprio La Stravaganza (1713); nel titolo l’autore rivela l’intenzione di meravigliare l’uditorio.

Lo stile musicale di Vivaldi è tra i più costanti e originali della sua epoca, poiché ha la tendenza a ricavare stimoli dalle opere precedenti senza prenderli in prestito da altri compositori – l’emulazione era molto comune nel Settecento. Inoltre, Vivaldi presta particolare attenzione a delicate sfumature musicali quali la dinamica, le articolazioni e il fraseggio, un aspetto notevole per la sua epoca. Nonostante prediliga un basso ostinato e monotono, ricerca costante freschezza con variazioni improvvise di ritmi, spesso anapestici, grandi intervalli di ottave con estesi salti sulle corde del violino e melodie composte da piccoli gruppi di note, creando antecedenti e conseguenti che le rendono così energiche e vitali. Il compositore si diverte anche con interruzioni di pause inaspettate e ricapitolazioni (quando ripete), in cui ama tagliare drasticamente gruppi di battute, creando frasi asimmetriche da frasi simmetriche.

Occorre menzionare anche l’approccio ai generi che, per Vivaldi, non avevano particolari confini; infatti, egli a volte mescola le caratteristiche di generi diversi inserendo, per esempio, elementi di musica strumentale profana, come una sonata, in una composizione sacra. In generale, si può affermare che rientri in uno stile musicale legato al contesto italiano, tipicamente italiano – l’Italia dove, tra l’altro, i generi del concerto e del melodramma nascono e si sviluppano. Ciononostante, Vivaldi si rivela abile a rifarsi ed emulare anche altri stili, come quello francese, indicandolo nelle opere stesse: “alla francese”.

A titolo di esempio, non si possono dimenticare le iconiche Quattro Stagioni, tratte da Il Cimento dell’Armonia e dell’Inventione (1725), che racchiudono tutti gli elementi più caratteristici dello stile vivaldiano. Il titolo della collezione è una sorta di ossimoro in cui si mettono in competizione la razionalità dell’armonia con la fantasia e l’estro, ovvero l’invenzione. In ogni caso, l’aspetto più importante dei quattro concerti delle stagioni è il carattere programmatico. Con “musica a programma” si intende la descrizione di una storia in musica: ciascun concerto, infatti, è la trasposizione musicale di un sonetto. Questo aspetto narrativo si può già notare in varie altre opere come Il Riposo o La Caccia, sebbene i titoli facciano solo riferimento ai caratteri espressivi dei concerti. Con Le Quattro Stagioni, invece, abbiamo una vera e propria storia o, comunque, il quadro di una situazione narrata e spiegata nei suddetti sonetti.

Il successo della collezione non tardò in Europa, specialmente in Francia, dove il periodico Mercure De France riportò come i concerti fossero frequentemente eseguiti in occasione dei Concerts Spirituels e, in una di queste occasioni, il re ordinò espressamente di eseguire La Primavera, apprezzata moltissimo dal sovrano, fuori dal programma. Si dovette perciò arrangiare un’esecuzione improvvisata. La Primavera, che è forse la più iconica e celebre fatica di Vivaldi, fu adattata per varie altre composizioni, in particolare il mottetto Laudate Dominum de Coelis di Michel Corrette del 1765, e una trascrizione per flauto solo del filosofo Jean-Jacques Rousseau del 1775.

Avendo cercato di ricostruire il quadro di un grande compositore e della sua epoca, è bello concludere con ciò che scrisse Gian Francesco Malipiero nel saggio Il Filo di Arianna, del 1966: “Trattenere il respiro, ascoltare religiosamente si deve, e infine ringraziare le dame pietose che l’hanno aiutato, non vogliamo sapere come, a creare tanti capolavori. Il prete rosso è rosso perché brucia ed è prete perché è un mistico, ma egli è anzitutto umano e non ha bisogno di collaboratori, bensì di servitori. Il prete rosso lo immaginiamo... con l’orecchio contro il violino per meglio ascoltarsi, per la gioia di vibrare col suo istrumento, incurante di ciò che la musica fu prima di lui e sarà dopo la sua scomparsa”.


di Rodolfo Filesi