venerdì 27 giugno 2025
In passato esisteva l’obbligo di apprendere memorialmente delle poesie, talvolta anche dei testi in prosa. Una richiesta chiusa da tempo. Data la penuria culturale estetica interiore che viviamo. Sarà enorme con l’uso di strumenti esterni alla nostra mente che però risolvono la nostra mente e la sostituiscono. È necessario interiorizzare e memorizzare. Chi memorizza si rende autonomo, ha tutto in sé. Omnia mea mecum porto. Non soltanto non legge o ascolta ma ascolta quanto ormai sa. Lo manifesta quando sente e vuole. Conquista somma. Ho l’Universo in me. Andare a teatro? E perché? Ascolto in privato Maria Callas (Norma) ed Ebe Stignani (Adalgisa). Il loro duetto dell’amore femminile, confidente e tragico, mai espresso, dichiarato e non dichiarato, per lo stesso uomo, Pollione, accennato e nascosto, infine tremendamente conosciuto. Norma e Adalgisa amavano lo stesso uomo! A udirlo in disco non è il medesimo!
Deve stare e uscire da te! Tu diventi la Callas, diventi Ebe Stignani, diventi il maestro Tullio Serafin, diventi Nicola Rossi-Lemeni, perfino il Coro druidico e quando infine Callas-Norma affida al padre, Oroveso (Rossi-Lemeni) i suoi figli irregolari accettando la morte (era una vergine sacerdotessa non doveva unirsi). Ma no, queste scene sono di teatro interno. Cammini, siedi e dentro fai la “tua” rappresentazione! La memorizzazione suscita varie diramazioni. Gli stati d’animo, ecco. Viene alla mente la musica, vengono alla mente i versi del tuo stato d’animo. Un fenomeno spontaneo. Poniamo: ritieni di aver sbagliato, che forse potevi, dovevi consistere come non hai vissuto, e ti raggiunge lo sconsolato Giacomo Leopardi: “A me, se di vecchiezza/ La detestata soglia/Evitar non impetro,/Quando muti questi occhi all’altrui cor,/E lor fia voto il mondo, e il dì futuro/Del dì presente più noioso e tetro,/che parrà di tal voglia?/Che di questi anni miei? che di me stesso?/ Ahi pentirommi, e spesso. Ma sconsolato, volgerommi indietro”.
Volgersi indietro, ormai tardi, non poter mutare gli errori riconosciuti come errori! Il passero solitario, Giacomo Leopardi, ormai dannato, solo nella vita, solo nel finire la vita, vecchio, insuscitante amore. Ti stringi in interiore Leopardi, e cammini assorto. Oppure, sei in piena vitalità, c’è l’abisso, e lo scavalco, e mentre corro mi vibra la Sonata appassionata. capo di tutti gli uomini infelici che vogliono la gioia, Ludwig van Beethoven, un Movimento della Sonata, tempestoso, come gli capitava dopo la più desolata infelicità. La persona amata, non perdere un istante, corri, tasti precipitanti, uno addossato all’altro, grappoli sonori, ed in te scoppiano, addirittura, se memorizzi diventi interprete, manifesti con il tuo stato d’animo. Se memorializzi diventi interprete! Esistono maestri eccellenti, pianisti, violinisti, d’accordo, cantanti, ma io in me eseguo a modo mio. E scopro l’inaspettato. uno stesso brano potrebbe venire espresso diversamente e tuttavia sempre efficacemente. I benedictus della Missa Solemnis di Beethoven lo potrei cantare con forte solennità quasi gridata: si tratta del figlio di Dio (in nomine domini) o con gratitudine ingentilita.
Mi eseguo opere, sinfonie quartetti, trii, strumenti, senza saper leggere gli spartiti. Memorialmente. Restare umani. Sentire cosciente, esprimere. tanto più procede il mondo tecnico paraumano, massimamente riumanizzarsi. Che un robot esegua l’amatissima Sinfonia numero 8 di Franz Schubert, non mi interessa. Io me la eseguo da me per me. Il sentire è la vita! Ed un po’ di follia non guasta. Tanti anni sono andati dove sono andati. A Roma da pochi mesi, Via Sicilia, angolo Via Veneto. Notte, solo, improvvisamente comincio a cantare, bella l’esistenza, cantare, la manifestazione più spontanea dell’uomo, libero, sano, canto come se esistessi io solo. Anzi, non mi consideravo nella strada, io cantavo, nulla di altro. Di colpo, circondato, fermato, trattenuto, polizia, carabinieri, non ricordo, di notte, uno che canta a forte emissione, è un pazzo, un irregolare, un disturbatore della notte? Io, sorpresissimo, i tutori mi osservano, restano qualche istante a fissarmi, si guardano tra di loro, si distanziano, mi dicono che di notte non si può cantare. Va bene, ho detto. Ma dentro di me ho continuato a cantare!
di Antonio Saccà