Visioni. “Giurato numero 2”, l’ultimo capolavoro di Clint Eastwood

venerdì 2 maggio 2025


Il quarantesimo e ultimo film diretto da Clint Eastwood è un capolavoro di tensione etica ed estetica. L’attore e regista californiano, originario di San Francisco, con Giurato numero 2 (Juror #2) firma un nuovo e ispirato apologo sulla giustizia. Eastwood, che il 31 maggio compie 95 anni, mette in scena un dramma popolato dai sensi di colpa e dai dilemmi morali. Il film, ora visibile in streaming su Amazon Prime Video, presentato in anteprima mondiale all’Afi, il festival dell’American Film Institute il 27 ottobre 2024, è stato distribuito da Warner Bros il 1º novembre nelle sale statunitensi e il 14 novembre in Italia. Scritto magistralmente da Jonathan Abrams e prodotto dalla eastwoodiana Malpaso racconta la storia di Justin Kemp (un misurato Nicholas Hoult), un 36enne che lotta con un passato da alcolista, che viene convocato come giurato in un caso di omicidio a Savannah, in Georgia. L’uomo, sposato con Ally (una sensuale Zoey Deutch), una giovane donna che aspetta una bambina, è chiamato a giudicare la vicenda di Kendall Carter (una tormentata Francesca Eastwood), una ragazza ritrovata morta in un canale, dopo un litigio con il proprio ragazzo, il sordido James Sythe (un credibile Gabriel Basso). Il caso appare chiaro sin dall’inizio. Per i dodici e svogliati giurati, non ci sono dubbi. Sythe è il “colpevole ideale”: irascibile, violento e con un passato da malvivente. Della pubblica accusa si occupa la legale Faith Killebrew (una superlativa Toni Collette), impegnata nella corsa al ruolo di procuratore distrettuale. Uno dei giurati, Harold (un sornione J. K. Simmons), un poliziotto in pensione, è convinto dell’innocenza dell’imputato, ritenendo possibile che l’artefice dell’omicidio sia stato un pirata della strada. Per queste ragioni, si procura l’elenco delle auto che la sera successiva al delitto sono state riparate. Durante l’esposizione dei fatti l’inquietudine sembra incunearsi gradualmente nell’animo di Justin. Il giurato si rende conto di essere direttamente coinvolto nel caso sul quale è chiamato a esprimersi.

Nella sua carriera, il maestro del cinema contemporaneo ha vinto 5 Oscar. Due come miglior produttore, due come miglior regista: nel 1993 per Gli spietati (Unforgiven) e nel 2005 per Million Dollar Baby e uno alla memoria Irving G. Thalberg, nel 1995. Nel suo ultimo film, attraverso un caso esemplare, narra gli aspetti decisivi e le fragilità del sistema giudiziario americano. Il lungometraggio, che omaggia chiaramente lo splendido La parola ai giurati (12 Angry Men) diretto da Sidney Lumet nel 1957, mostra l’evoluzione dei ragionamenti, delle convinzioni dei componenti della giuria popolare. Sulla base del “ragionevole dubbio”, vengono riconsiderati i fatti. Ma, se nella parabola lumetiana Henry Fonda (giurato numero 8) prova a persuadere giustamente gli altri undici membri ad assolvere un ragazzo accusato di parricidio, nel racconto di Eastwood Justin cerca di portare la giuria a un giudizio di non colpevolezza nonostante sia mosso da sentimenti opposti, combattuto com’è tra l’autoassoluzione e la autodenuncia. La formidabile sceneggiatura di Abrams, sviluppando magnificamente ciascun personaggio, riesce a creare una dostoevskijana riflessione insostenibile sulla moralità e la ricerca di redenzione. Dei dodici giurati viene finemente rappresentata la complessità psicologica, senza alcun cedimento caricaturale. Naturalmente, il cineasta-narratore, pur non pronunciando giudizi definitivi, non arretra mai. Rifuggendo il comodo manicheismo, si trova alla costante ricerca della verità. Lo dimostra in maniera emblematica l’evoluzione del racconto cinematografico. Il suo fine non è provare la colpevolezza di un antieroe tormentato ma insinuare nello spettatore un turbamento morale. Per questi motivi, la rappresentazione della menzogna appare come il vero fulcro narrativo e filosofico dell’intera opera.


di Andrea Di Falco