“In viaggio con mio figlio”: vincere l’autismo

mercoledì 23 aprile 2025


Quanti vorrebbero mettersi in viaggio “da soli” con il proprio figlio pre-adolescente? Davvero “tutti” (o quasi) è la risposta giusta? Ma, come cambierebbero le cose se il tuo “Ezzi” fosse un bambino autistico, fobico, rifiutato da tre scuole e perciò destinato a una classe differenziata per ragazzi disadattati, e che oltretutto ha il terrore del contatto fisico, per cui è impossibile abbracciarlo o prenderlo per mano? Come andrebbe poi a finire quell’esperienza se tu, per di più, fossi un padre qualunque, senza una formazione specifica per la sua delicata gestione, in fuga dall’Fbi per sottrazione di minore? Può, in particolare, contro ogni ragionevole dubbio, l’affetto incondizionato di un padre fare da “mediatore”, per aggirarsi senza far danni nella dimensione segreta dell’autismo? Dilemmi, drammi e risposte parziali prova a consegnarli a domicilio, in tutta la loro complessità, il bel film di Tony Goldwyn, In viaggio con mio figlio, in uscita domani nelle sale italiane. La storia racconta le vicissitudini di un padre, Max (Bobby Cannavale), showman in crisi, infelicemente divorziato da Jenna (Rose Byrne), che ha sua volta ha un nuovo compagno avvocato, Bruce (Tony Goldwyn). Malgrado la sua vita scombinata, Max si trova a dover affrontare una battaglia fuori misura con un demone sconosciuto, per offrire una nuova vita affettiva a suo figlio Ezra (un bravissimo William A. Fitzgerald), affetto da autismo, avendo a sua volta alle spalle come padre una storia di disagio familiare.

Abbandonato in giovane età da sua madre, Max è infatti costretto a vivere con un genitore iracondo e manesco, Stan (Robert De Niro), che non riesce a darsi una ragione, né tantomeno una spiegazione del suo fallimento matrimoniale, trovando molto più comodo attribuirne le colpe al figlio rimasto solo con lui. E poiché certe forme di disadattamento affettivo sono contagiose per induzione, anche con le donne della sua vita Max non sfugge alla coazione a ripetere gli schemi di chi, come lui e suo padre, non dimostra il pieno controllo degli impulsi, abituato com’è a vivere i conflitti familiari in base allo spartito della violenza e del maschilismo monocorde, privo della mitigazione materna. Tutto ciò accade quando la famiglia è un terreno incolto di affetti, gremito da erbe parassite, che solo la lama profonda di un aratro, perfettamente affilata da un commento sbagliato e dall’esclusione definitiva dal mondo dei normodotati, può riuscire a rigenerare. Così da un’azione distruttiva, come può essere la ribellione a una decisone giudiziale, Max ed Ezra rivoltano un terreno esistenziale fermo ai suoi fallimenti, rimettendo in discussione dalle fondamenta i rapporti tra madre, padre, figlio e nonno: ovvero, di tutto ciò che resta di una famiglia scombinata, da riaggiustare.

Ma, destino e provvidenza sono anche loro sempre in agguato, come il dolore e la cattiva sorte, mettendo a disposizione dei fuggitivi angeli protettori, neri come Whoopi Goldberg e Sister Margaret (Jacqueline Nwabueze) e bianchi, come due amici di vecchia data di Max, il primo Nick (Rainn Wilson) ladro di padelle, e la seconda Grace (Vera Farmiga) piena di grazia e d’amore. E sarà proprio lei, nonostante tutti gli abbandoni subiti e in cambio di nulla, a dare rifugio al ricercato, aggiungendo il dono più prezioso di una figlia solare, Ruby (Matilda Lawler), coetanea di Ezra, e un cavallo, i soli in grado di rompere l’auto accerchiamento generato dallo spettro autistico, caratterizzato dalle fobie del cucchiaio di metallo e del contatto tra simili. Saranno proprio gli esiti di quella fuga senza senso, dispersi tra i boschi e poi girovaghi lungo le strade asfaltate per arrivare a piedi a Los Angeles, luogo fantasticato di riscatto per tutti i fallimenti di Max, dove l’attende il provino della sua vita, a dare di nuovo corposità ad affetti sopiti, a confessioni sistematicamente trattenute, che si muovono come correnti calde nel fondo di un mare di passioni spente. Perché, poi, sotto molti punti di vista, germi di autismo sono presenti in tutti noi, senza però in generale venire apprezzati dall’esterno, per nostra fortuna, evitandoci così di essere messi all’indice come “diversi”. Ma, in fondo, chi non lo è? Chi si fa qualche giorno di galera per amore è davvero un delinquente? E chi malmena qualcuno in borghese che vuole portargli via il figlio per ragioni di giustizia, va punito o quantomeno amnistiato? Un film che racconta un dramma vero con autentica simpatia e con dialoghi sempre molto brillanti e ironici, senza noia e senza enfasi. Da non perdere.

Voto: 8/10


di Maurizio Bonanni