venerdì 18 aprile 2025
M. il figlio del secolo è il racconto di una tragedia spettacolare dal ritmo sincopato. Tratta dal romanzo omonimo di Antonio Scurati, Premio Strega 2019, la miniserie televisiva omonima narra, senza censure, l’avvento del fascismo, l’ascesa al potere di Benito Mussolini e l’avvio della dittatura. Attraverso un tono feroce e grottesco viene raccontata la biografia di un uomo che è stato capace di rinascere ripetutamente dalle proprie ceneri. Disponibile in esclusiva su Sky e Now, scritta magnificamente da Stefano Bises e Davide Serino, la miniserie tivù dell’anno è firmata da un visionario Joe Wright e interpretata da un camaleontico Luca Marinelli. Presentato in anteprima assoluta nel corso dell’81ª Mostra del cinema di Venezia, il racconto ipnotico di Joe Wright è un apologo futurista contro le dittature. Un’opera imponente e barocca sotto il profilo produttivo, narrativo e visivo che rievoca la tragedia di un uomo e di una nazione.
Quando Mussolini, in una saletta del Circolo dell’Alleanza industriale e commerciale di Milano, fonda il nucleo del futuro Partito fascista è stato espulso da ben 5 anni dal Partito socialista in quanto interventista. Benito Amilcare Andrea Mussolini, figlio del fabbro socialista di Predappio Alessandro Mussolini, detto Sandrein, è un riconosciuto istrione che da maestro diventa giornalista, politico e infine capo del Governo e dittatore. Eppure, in un rapporto di Pubblica sicurezza è descritto come “intelligente, di forte costituzione, benché sifilitico, sensuale, emotivo, audace, facile alle pronte simpatie e antipatie, ambiziosissimo, al fondo sentimentale”. La strepitosa miniserie ripercorre la storia dalla fondazione dei Fasci italiani di combattimento nel 1919 fino al famigerato discorso di Mussolini in Parlamento nel 1925, dopo l’omicidio del deputato socialista Giacomo Matteotti.
Il Mussolini messo in scena con accuratezza storica dal cineasta britannico è un uomo dalla visione manichea, che vive la disfatta come un affronto e il successo come una conferma che sconfina nel delirio di onnipotenza. L’idea di regia di Wright è frutto di una dialettica costante fra teatro, pittura, cinema e musica. Si colgono chiaramente i riferimenti al cinema sovietico di Vsevolod Pudovkin e Sergej Ėjzenštejn e a quello espressionista di Fritz Lang. Il regista, come ha già fatto per i suoi film, da Orgoglio e pregiudizio (Pride & Prejudice) a Espiazione (Atonement), da Anna Karenina a L’ora più buia (Darkest Hour) fino a Cyrano, anche nel ritratto mussoliniano crea una miscellanea di generi tra autorialità e un disperato gusto pop. La colonna sonora di Tom Rowlands dei Chemical Brothers, per creare il “suono della violenza”, fonde la musica elettronica perturbante, con l’orchestrazione classica e i riferimenti futuristi. E, per realizzare un’estetica insinuante, il montaggio serrato di Valerio Bonelli assume spesso toni addirittura surrealistici. La produzione sfoggia le mirabili scenografie di Mauro Vanzati degli anni Venti ricostruite a Cinecittà, una ricercata finezza dei costumi di Massimo Cantini Parrini e un cromatismo plumbeo e al contempo singolarmente vivido della fotografia di Seamus McGarvey.
Dal canto suo, Wright, pur restando fedele al testo originario, lo ha volutamente decostruito. Anche grazie alla felice intuizione degli sceneggiatori Stefano Bises e Davide Serino, viene rifiutata la via filologica del libro per compiere una svolta radicale: Benito Mussolini (un magnetico Luca Marinelli) guarda fisso in macchina il suo pubblico. Il suo slittamento teatrale di petroliniana memoria si traduce in un camera-look di prorompente impatto visivo attraverso il quale cerca l’empatia e la complicità dello spettatore. Una scelta rischiosa che si rivela vincente. Ed è proprio nella rottura della quarta parete che Luca Marinelli, nei panni di Mussolini, invita gli spettatori a seguirlo. “Anche voi mi amerete – sottolinea beffardamente – anche voi diventerete fascisti”. Il Mussolini cui dà il volto un febbrile Luca Marinelli è un personaggio complesso, pieno di sfumature, in bilico tra italica retorica e dialetto romagnolo. In costante fuga: dalla moglie Rachele, dagli ex compagni socialisti, dalla disperata Milano di inizio Novecento per approdare alla corrotta e agognata Roma. Un uomo politico che, con l’unica eccezione dei socialisti guidati da Giacomo Matteotti, si è nutrito dell’ignavia generale rappresentata dal re alla Chiesa cattolica, dai liberali ai popolari che hanno rinnegato don Luigi Sturzo.
Oltre al Mussolini marinelliano, tutto il cast di interpreti propone uno microcosmo credibile del contesto rappresentato: Barbara Chichiarelli, nei panni de Margherita Sarfatti, offre una prova di grande mimetismo shakespeariano; Benedetta Cimatti delinea efficacemente una Rachele Mussolini dolente e terragna; Francesco Russo, che interpreta con introspezione Cesare Rossi, è il nevrotico sodale e anima nera del dittatore; il solenne e impareggiabile Paolo Pierobon dà il volto al mentore-nemico Gabriele D’Annunzio; il rigoroso Gaetano Bruno incarna l’intrepido Giacomo Matteotti che denuncia i brogli e le violenze dei fascisti durante le elezioni; Lorenzo Zurzolo è un esaltato e violento Italo Balbo; Vincenzo Nemolato rappresenta un Vittorio Emanuele III mellifluo e ondivago. Se i primi quattro episodi della miniserie sottolineano gli aspetti più tragicomici del duce, gli ultimi quattro delineano un personaggio ormai ammantato di inquietante tetraggine, il cui unico obiettivo è la conquista del potere, con qualsiasi mezzo.
di Andrea Di Falco