Visioni. “The White Lotus 3”, una ripetitiva satira sociale

venerdì 11 aprile 2025


The White Lotus è un progetto affascinante, ma stanco, arrivato alla terza stagione. La serie tivù antologica scritta e diretta da Mike White, dopo le Hawaii, Taormina (e la Sicilia), approda in Thailandia, per raccontare le vicende paradossali degli ospiti di un lussuoso resort. Girata fra Koh Samui, Phuket e Bangkok, la serie mette in scena dei personaggi attraversati da dubbi amletici e angosce primordiali. L’obiettivo dichiarato è ritrarre, in forma di satira sociale, le contraddizioni, le speranze, le agnizioni e, soprattutto i delitti, dei ricchi vacanzieri statunitensi. Il terzo capitolo della serie televisiva (composto da otto lunghi episodi) è stato trasmesso sul canale statunitense Hbo, dal 16 febbraio al 6 aprile di quest’anno. In Italia, la stagione è andata in onda in prima visione su Sky Atlantic e Now, dal 17 febbraio al 7 aprile. Probabilmente The White Lotus, di cui è stata confermata una quarta stagione, si sarebbe dovuta fermare all’originale primo capitolo, andato in onda nel 2021. Bisogna ammettere che, rispetto alla sfortunata narrazione siciliana, carica di abusati luoghi comuni, stereotipi datati e persino oltraggiosi, la nuova stagione si segnala per un rinnovato, seppur elementare, bisogno di redenzione collettiva dei personaggi rappresentati. La struttura della serie tivù è ormai consolidata. La storia si apre sempre con un’anticipazione che racconta un crimine che sta per compiersi o si è appena consumato. Dopodiché, le lancette temporali si spostano all’indietro, alla settimana precedente, evitando di svelare i volti delle possibili vittime e degli improbabili colpevoli.

I sette giorni, peraltro, coincidono perfettamente con la durata del soggiorno dei facoltosi ospiti. Ma il brusco ritorno all’indietro, che dovrebbe essere utile per approfondire i numerosi personaggi, le cui storie raramente si sovrappongono o si intersecano, in realtà si traduce in un mero espediente narrativo necessario ad avvincere lo spettatore. Un dato risulta evidente. La serie ideata da White, pur incontrando un appassionato successo di critica e di pubblico, denuncia l’inevitabile corto respiro di una formula solida a tal punto da apparire scontata. Il luogo prescelto in cui ambientare il nuovo racconto è la Thailandia, sinonimo per eccellenza di spiritualità. Per questi motivi, la premessa drammatica della stagione riguarda il confronto, dialettico, con l’interiorità di ciascun personaggio, sia esso turista o dipendente del resort. La stagione segue la crisi finanziaria della famiglia Ratliff. Il nucleo familiare, che ricorda il gruppo dei Mossbacher del primo capitolo, è costituito da Timothy (uno sperduto Jason Isaacs), uomo d’affari in bancarotta emotiva, in vacanza con la moglie Victoria (una lunatica Parker Posey), una casalinga disperata e ossessionata dalla ricchezza. Al loro fianco figurano i tre figli: il maggiore, Saxon (un borioso Patrick Schwarzenegger), che lavora nella finanza insieme al padre; Piper (un’eterea Sarah Catherine Hook), che sta ultimando la tesi di laurea proprio grazie al viaggio thailandese; e Lochlan (uno spaesato Sam Nivola), tenero, timido e totalmente in balia dei fratelli maggiori. Poi ecco il gruppo delle amiche-nemiche dai tempi della scuola, tre cinquantenni insoddisfatte in vacanza: Jaclyn (un’avvilita Michelle Monaghan), attrice di successo; Kate (un’arrendevole Leslie Bibb), moglie e madre newyorkese che ora vive in Texas con il marito; e Laurie (una superba Carrie Coon), una legale, sfiduciata dal lavoro e dalla vita. Infine, viene narrata la dinamica sentimentale di una bizzarra coppia formata da Rick Hatchett (un magnetico Walton Goggins), un ultracinquantenne rancoroso, giunto in Thailandia per motivi oscuri; e dalla compagna trentenne Chelsea (una strepitosa Aimee Lou Wood), una giovane donna amorevole e infantile.

A completare il quadro dei personaggi principali entrano in scena i componenti dello staff: Mook (un’evanescente Lalisa Manobal), che si occupa della salute degli ospiti e l’addetto alla sicurezza Gaitok (un enigmatico Tayme Thapthimthong). Sritala (una fugace Lek Patravadi), ex attrice e cantante thailandese, è una dei proprietari del resort. Sono inevitabili gli anelli di congiunzione che legano la terza alle stagioni precedenti. Questa funzione narrativa viene svolta da Belinda (una spumeggiante Natasha Rothwell), la responsabile del benessere degli ospiti del resort alle Hawaii, in trasferta per cercare di aggiornare le proprie competenze professionali. Nel nuovo contesto incontra il volto inquietante del ricchissimo pensionato Greg (un mefistofelico Jon Gries), misterioso vedovo di Tanya (la memorabile Jennifer Coolidge), morta nella seconda stagione in circostanze tragicomiche. Greg ora vive con la bellissima Chloe (una sensuale Charlotte LeBon), un’ex modella ritiratasi dalle passerelle. Un fatto è certo. L’esito conclusivo di The White Lotus 3, nonostante l’ammirevole sforzo produttivo e l’indubbio talento espressivo dell’autore e degli ottimi interpreti, risulta essere ampiamente al di sotto delle aspettative. Il racconto grottesco sull’ipocrisia occidentale che rappresenta una comunità avida e indifferente ai dilemmi esistenziali ha il merito di mettere alla berlina una società proterva e spietata. Ma l’acume critico della scrittura di Mike White non riesce a colpire nel segno in maniera convincente. Il racconto, che manca del tutto di suspense, più che alla commedia umana sembra, involontariamente, richiamarsi alla commedia dell’arte. La costruzione dei personaggi non è mai figlia di un accurato approfondimento. Al contrario, i volti e i corpi delle attrici e degli attori, mettono in scena delle autentiche maschere, dei personaggi-tipo già visti nelle stagioni precedenti.


di Andrea Di Falco