lunedì 7 aprile 2025
Nel recente contributo L’Ia al vaglio del realismo gnoseologico, Daniele Trabucco e Aldo Rocco Vitale propongono una riflessione critica sul fenomeno dell’intelligenza artificiale, interrogandosi sulla sua natura e sui potenziali rischi che essa comporta per l’umanità. La loro analisi, ancorata saldamente alla tradizione filosofica classica, merita attenzione per la profondità con cui si addentra in questioni non meramente tecniche, ma essenzialmente antropologiche. Al centro della loro argomentazione troviamo la distinzione, fondamentale nel pensiero di San Tommaso d’Aquino, tra intellectus e ratio. Secondo questa concezione, l’intelletto umano possiede due facoltà complementari: l’intellectus, capacità intuitiva che coglie immediatamente i principi primi della realtà; e la ratio, che elabora tali principi attraverso processi logici e deduttivi. Questa distinzione diventa pietra angolare per comprendere la differenza qualitativa, e non semplicemente quantitativa, tra l’intelligenza umana e quella artificiale. L’intelligenza artificiale, sostengono gli autori, opera esclusivamente nell’ambito del calcolo probabilistico. I suoi algoritmi, per quanto sofisticati, non possiedono alcuna forma di intuizione o comprensione autentica dei principi fondamentali della realtà. Non vi è, in essa, nulla di paragonabile all’intellectus tomistico.
L’Ia elabora dati secondo schemi predeterminati, senza alcuna reale comprensione del significato di ciò che processa. Questa è la tesi fondamentale che attraversa il contributo: l’apparente razionalità delle macchine non è vera intelligenza, poiché priva della dimensione intuitiva e della coscienza che caratterizzano il pensiero umano. Il modello statistico-probabilistico su cui si fonda l’Ia contemporanea rappresenta, secondo gli autori, il suo limite intrinseco. Le macchine non comprendono realmente i concetti che manipolano, ma li elaborano esclusivamente sulla base di correlazioni statistiche ricavate da enormi quantità di dati. Gli autori rigettano categoricamente la possibilità dell’Ia forte, ovvero di sistemi dotati di autentica coscienza paragonabile a quella umana, ritenendola una chimera irraggiungibile data la natura puramente computazionale delle macchine. Gli autori hanno il merito indiscutibile di aver posto al centro della discussione sull’intelligenza artificiale la questione più rilevante e radicale: il rapporto tra intelligenza e verità, tra conoscenza e realtà. In un’epoca in cui il dibattito sull’Ia tende a ridursi a considerazioni meramente tecniche o utilitaristiche, il richiamo alla dimensione metafisica dell’intelligenza rappresenta un contributo di notevole valore. Tuttavia, alcune considerazioni critiche si rendono necessarie. In primo luogo, occorre riflettere sul fatto che l’attuale inesistenza di un’Ia forte, dotata di coscienza paragonabile a quella umana, non implica necessariamente la sua impossibilità in linea di principio. La negazione categorica di questa possibilità rischia di trascurare come il progresso tecnologico abbia ripetutamente superato confini ritenuti invalicabili.
Se consideriamo il paradigma scientifico contemporaneo, che si fonda sulla verifica statistica e sperimentale dei fenomeni, non possiamo escludere a priori che futuri sviluppi dell’intelligenza artificiale possano manifestare proprietà emergenti che simulino o riproducano aspetti della coscienza in modi oggi inimmaginabili. La questione filosoficamente più profonda riguarda però la fondazione stessa del rapporto tra intellectus e realtà. Il pensiero tomistico, richiamato dagli autori, rappresenta certamente uno dei più alti tentativi di pensare il rapporto immediato tra pensiero e verità dell’essere. Tuttavia, proprio là dove Tommaso cerca di fondare questo rapporto, emergono i limiti della sua impostazione. La sua visione si basa infatti su un realismo gnoseologico che presuppone, senza adeguatamente problematizzarlo, che hic homo intelligit – che questo uomo concreto, empirico, sia il soggetto dell’intellezione. In questa presupposizione si annida una difficoltà teoretica che Tommaso non riesce a superare: come può l’intelletto particolare, finito, accedere all’universalità dei principi primi? Non è dunque l’intuizione fondamentale – il rapporto immediato tra pensiero e realtà – a essere problematica, ma la sua fondazione all’interno di un realismo che non riesce a giustificare adeguatamente come l’intelletto finito possa cogliere l’infinito, come il particolare possa intuire l’universale.
È questa debolezza fondativa che ha poi esposto il pensiero classico alle critiche della modernità e, in particolare, alla prospettiva idealistica che ha tentato di risolvere il problema spostando il baricentro ontologico dal reale al pensiero. Per sviluppare una critica filosoficamente rigorosa dell’intelligenza artificiale, è pertanto necessario ripensare la fondazione del rapporto tra intellectus e verità dell’essere, superando i limiti del realismo ingenuo senza però abbandonare l’intuizione fondamentale della capacità del pensiero di cogliere immediatamente i principi primi della realtà. Solo così potremo elaborare una comprensione dell’Ia che ne riconosca le potenzialità e i limiti in un orizzonte teoretico adeguato alla complessità della questione. L’intelligenza artificiale ci pone dunque di fronte alla necessità di un rinnovato pensiero dell’intelligenza umana e del suo rapporto con la verità. In questo senso, il contributo di Trabucco e Vitale rappresenta un prezioso invito a non eludere le questioni fondamentali che la tecnologia contemporanea solleva, e a riscoprire la profondità della riflessione filosofica come guida insostituibile in un’epoca di profondi mutamenti.
di Claudio Amicantonio