martedì 25 febbraio 2025
Chi è di più amante tra lei e lui, entrambi sposati (la prima senza figli e il secondo con ben tre maschietti, tra cui il petit monstre Marco) e psicanalizzati dalla stessa analista, la cui tresca è ovviamente a insaputa di quest’ultima? Amanti, lo spettacolo bello e divertente di Ivan Cotroneo, in scena alla Sala Umberto di Roma fino al 2 marzo, è la risposta, cioè un pari e patta, in realtà quasi dispari. Perché, a perdere nel giro finale delle coppie è la parte debole, cioè Lui, Giulio (un bravissimo Massimiliano Gallo), sconfitto da ben tre donne: sua moglie (Eleonora Russo); l’amante Claudia (Fabrizia Sacchi); la psicanalista Cioffi (Orsetta de Rossi, perfetta nella parte). Insomma, galeotto fu l’ascensore e, come nei drammi picareschi, sensale inanimato fu il fatidico fazzoletto smarrito dalla dama, dimenticato nello studio dell’analista. E che cosa accade quando varcando la stessa porta, l’uno e l’altra si rendono conto che, prima di avere un letto matrimoniale (clandestino) in comune, come poi effettivamente accadrà, hanno un lettino freudiano, stesi sul quale narrare separatamente a qualcuno, a pagamento, le proprie pene esistenziali? Semplice: succede che lettone e lettino avranno per quota parte funzioni taumaturgiche e apotropaiche, in cui le spiegazioni date sul primo saranno complementate da quelle assistite sul secondo. La trama e l’intrigo, però, stanno tutte nelle condizioni che precedono e succedono agli incontri clandestini, sempre coronati da un sesso pienamente soddisfacente, che mette finalmente a tacere le reciproche frustrazioni accumulate negli anni all’interno dei rispettivi talami matrimoniali.
Il primo, al maschile, è contraddistinto da una stucchevole routine, in cui lui si ritrova marito di una moglie isterica (bellissime le scene nelle quali è lei a dare di testa, nel corso della seduta di coppia con l’ineffabile dottoressa Cioffi), e padre di tre pestiferi bambini, di cui appunto Mario, il più scarso di comprendonio e decisamente quello più bruttino del trio, dà molto da penare allo stressantissimo Giulio. Il secondo, coniugato al femminile, è posseduto dal demone riproduttivo che gioca brutti scherzi all’armonia di coppia, anch’essa oggetto di cure nello studio Cioffi, con la psicanalista tutto fare che oltre a vedere assieme le due coppie di coniugi li assiste anche separatamente. Cosa che, per il marito (Diego D’Elia) di Claudia, significa un aumento della spesa corrente dello studio professionale, per l’impressionante consumo di fazzolettini e di lacrime, un vero attentato all’ecosistema. Il che indica l’animo nobile del marito tradito, ma anche la sua personalità labile di terribile piagnone, per il quale l’analista è il prolungamento in tarda età della funzione mamma. Bellissime sono le scene ripetute del confronto tra la dottoressa Cioffi e Giulio, il quale nelle sue tirate semi folli, a volte in pieno dialetto napoletano, dà sfogo alla sua frustrazione di padre, marito e amante: tre ruoli che come si vedrà gli stanno strettissimi. Nel suo caso, solo la conclusione infelice del suo legame con Claudia gli offrirà quella libertà non più vigilata di cui ha sempre sentito bisogno.
Lo scenario è diviso in due a mo’ di open office, in cui la metà a sinistra è occupata da una camera da letto d’albergo (con un quadro che sarà il principale intrattenimento ironico tra lei simbolista e lui praticone terra-terra), mentre quella a destra configura lo studio della psicanalista. Un connubio scenico perfetto, che offre mille spunti per una perfetta intersezione alla Cotroneo dei retroscena tra le due vicende matrimoniali e l’intreccio situazionale degli amanti. Ma il dramma vero starà come sempre dalla parte in cui si situa il centro degli affetti e delle emozioni, ovvero nella mente e nel cuore di Claudia, che si ritroverà nella più spiacevole delle condizioni. Ossia, a dover scegliere tra marito e amante, una volta che il demone riproduttivo avrà appeso il suo cappello di gameti nel posto giusto, per dare origine a una nuova vita, senza stare a dare tanta importanza alla paternità biologica, che nessuno dei protagonisti intende accertare. La scelta è però obbligata: si resta nella casa matrimoniale perché oltre all’amore, che di sicuro non ha abbandonato il suo posto, c’è il grande coronamento di un sogno e di un’aspettativa di felicità comune. Insomma, sulla bilancia dell’infedeltà peserà di più stavolta il debito di onestà verso se stessi e il compagno della propria vita. L’altro, la gomena abbandonata al mare, lo si amerà ugualmente senza più poterlo dire e, soprattutto, “fare”. Ma una soluzione, dolceamara, emergerà all’ultima scena finale, ciliegina sulla torta degli incontri casuali. Spettacolo imperdibile: mentre i protagonisti sul palcoscenico fingono di piangere, in platea si ride sempre.
di Maurizio Bonanni