mercoledì 12 febbraio 2025
Dieci autori per 29 canzoni – infatti quasi tutte uguali – e un livello generale rasoterra. Ma per la prima serata del Festival, Carlo Conti cala l’asso del Papa in video e il fantasma di Amadeus ce lo siamo levati di mezzo. Ecco le pagelle alle esibizioni.
Gaia (Chiamo io chiami tu): Bellissima lei, corpo di ballo in tinta, e il ritornello-tormentone che la pagnotta fino a settembre te la sei assicurata. Però…Voto: 6.
Francesco Gabbani (Viva la vita): dici “Dai, c’è Gabbani, la canzone l’ha scritta con Pacifico, qualcosa di carino e originale arriva”. Invece il brano parte Ramazzotti e muore Califfo. Nel senso della noia, non ho detto gioia. Voto: 4.
Rkomi (Il ritmo delle cose): Rkomi inaugura la sfilata dei petti nudi sotto la giacca aperta e Jerry Scotti lo avverte che “è un attimo lo squaraus”. Invece purtroppo rimane in piedi e canta, per così dire. Voto: 3.
Noemi (Se t’innamori muori): anche per il brano di Noemi, visti gli autori (Mahmood, Blanco e Michelangelo) uno si aspettava qualcosa non dico di buono, ma almeno fresco. Invece piattume totale. Ma almeno lei canta. Voto: 6.
Irama (Lentamente): nonostante l’outfit alla Capitan Harlock e le consuete (s)forzature vocali, rimane che la canzone è quasi uguale a quella dell’anno scorso. Giusto un po’ peggio. E questo è uno dei favoriti, eh. Voto: 5.
Coma Cose (Cuoricini): anche qui un caso di auto-plagio: cuo-ri-ci-ni/po-sti-vuo-ti. Ha funzionato la seconda, è altamente probabile che la prima passi l’estate. Comunque l’esibizione è ironica e il look di lei da sposa cadavere divertente. Lui conta come Mauro Repetto negli 883. Voto: 6.
Simone Cristicchi (Quando sarai piccola): Cristicchi decide di raccontare gli aspetti edulcorati dei danni neurologici della madre, daje a ride. Anche per lui aspettative deluse, se non vogliamo parlare di paraculata. Voto: 5.
Marcella Bella (Pelle diamante): evidentemente la canzone autocelebrativa della cantante settantenne ben tenuta è ormai un genere musicale. Ma il risultato è ben diverso rispetto a Loredana Bertè e a Fiorella Mannoia dell’anno scorso, per dire. Voto: 4.
Achille Lauro (Incoscienti giovani): brano scritto col figlio di Biagio Antonacci, per cui il podio dovrebbe starci. L’amore è sempre disperato e sempre ambientato a Roma, ma già comincia a spostarsi in centro. Comunque uno dei pezzi migliori, nel livello generale. Voto: 7.
Giorgia (La cura per me): sale sul palco dopo il duetto Noah/Mira Awad e il video del Papa. Come aura di santità non sfigurerebbe nemmeno, ma poi senti il testo e ti viene il dubbio che sia una prova di Guinness dei primati, quello del maggior numero di luoghi comuni in una canzone sola. È tutto un “su e giù come un ascensore”, la bugia e la verità, tutto passa. Il talento di Giorgia è infinito, gli autori infimi. Voto: 6.
Willie Peyote (Grazie ma no grazie): l’unico tentativo di critica sociale, che nelle scorse edizioni la faceva da padrone e in questa sembra inghiottito dal clima di normalizzazione in Rai: grazie Willie. Voto: 7,5.
Rose Villain (Fuorilegge): questi pezzi urban di Rose Villain mi sembrano tutti uguali: struttura, temi (cioè uno solo). Poi lei è convintissima di cantare bene, quindi strafà. Boh. Voto: 5.
Olly (Balorda nostalgia): fisico possente e canottiera nera, uno si aspetta qualcosa di rockeggiante. Invece brano e interpretazione fanno sembrare Massimo Ranieri avanguardia. Vabbè, forse ho esagerato. Voto: 3.
Elodie (Dimenticarsi alle 7): bella anche vestita di domopak e nemmeno coatta come al solito. Brano leggermente rètro, ma nel complesso uno dei meno peggio. Voto: 7.
Shablo feat Guè, Joshua, Tormento (La mia parola): una specie di gospel rap che nel piattume generale ti fa rialzare una palpebra delle due in caduta libera già alle 23. Il voto risente del livello medio: 8.
Massimo Ranieri (Tra le mani un cuore): la quota “becera tradizione sanremese” dell’edizione 2025 è tutta sua. Anche troppo. Ma a Ranieri l’insufficienza non gliela puoi dare, su. Voto: 6.
Tony Effe (Damme ’na mano): comincio a sospettare che sia piaciuto solo a me, ma mi è piaciuto tanto. L’atmosfera è rugantinesca, il ritmo quello delle canzoni sul Tevere che scorre. Cita Lando Fiorini e il Califfo, parla della madre. Lui non sarà Luciano Pavarotti, però è pure bello. Operazione ripulitura di immagine riuscita. Voto: 8,5.
Serena Brancale (Anema e core): la Brancale copre, invece, la quota “vedi Napoli e poi muori”, perché Geolier ha fatto i soldi e quest’anno ha altro da fare. Però niente di che, eh. Voto: 5.
Brunori Sas (L’albero delle noci): dunque, succede che ieri sera le canzoni belle sono passate tutte da mezzanotte in poi. Il tema è quello trito dell’amore per la figlia, ma questo è cantautorato vero e la canzone proprio bella bella. Io la mando alla mia adolescente in fase di emancipazione, così capisce quanto si pentirà di trattarci come zavorre e si anticipa i sensi di colpa, il che è sempre utile in famiglia. Se non vince, il premio della critica non glielo leva nessuno, a Brunori. Voto: 9,5.
Modà (Non ti dimentico): i Modà fanno i Modà. Senza scampo. Loro non dimenticano, ma questa canzone non mangia la colomba, sicuro. Voto: 2.
Clara (Febbre): uguale all’anno scorso, quindi al suo pubblico piacerà. A me no. Voto: 4.
Lucio Corsi (Volevo essere un duro): vestito e truccato da freak, il giovane cantautore toscano ha il coraggio di cantare la propria debolezza in un mondo che obbliga ad essere performanti. Il Festival quest’anno lo salvano quei pochi che hanno qualcosa da dire. Grazie. Voto: 9.
Fedez (Battito): sguardo e abbigliamento a lutto, parte con una serie di invettive che ti obbligano a pensare che ce l’abbia con l’ex moglie. Invece poi si capisce che parla di depressione, che già ce l’aveva raccontata nei dettagli sui social. Comunque, c’è molto di peggio. Voto: 6.
Bresh (La tana del granchio): il cantautore ligure ci tiene a rivendicare l’influenza di Fabrizio di André. Ora, senza esagerare, il suo è uno dei pochi pezzi gradevoli della serata. Ascoltabili, va’. Voto: 6,5.
Sarah Toscano (Amarcord): amarcord nel senso che questa canzone ne ricorda una mezza dozzina dell’ultimo quinquennio. Tutte brutte, peraltro. La quota Maria De Filippi non ha mai dato tanto al Festival, in effetti. Voto: 3.
Joan Thiele (Eco): ballata rètro piacevole. Almeno meglio di tanti altri. Voto: 7.
Rocco Hunt (Mille vote ancora): rivisitazione in chiave rap della saga dell’emigrato napoletano, che sente la nostalgia dei vicoli, della madre e financo della tazzulella 'e cafè. Argomento oggettivamente poco originale, ma, ripeto, va valutato il livello generale. Voto. 6,5.
Francesca Michelin (Fango in paradiso): sarà l’ora tarda in cui è passata, ma questa ballatina micheliniana pare piuttosto banale e dimenticabile. Che invece da lei ti aspettavi qualcosa in più. Voto: 5.
The Kolors (Tu con chi fai l’amore): l’attacco è una citazione dei Supertramp, il che è già apprezzabile. Il resto è il solito pezzo disco che ormai è la cifra dei The Kolors e farà ballare anche la prossima estate. Dignitoso, nel suo genere. Voto: 6,5.
di Maria Chiara Aniballi