“Guerra e pace”: sangue e nobiltà

martedì 11 febbraio 2025


Guerra e pace, ovvero quando la storia del mondo, agli albori del grande secolo XIX, passa per i salotti mondani del notabilato russo, in cui regni e imperi si scambiavano sangue, geni e soprattutto cannonate. Al Teatro Argentina di Roma va in scena, fino al 23 febbraio, una riduzione del famoso, monumentale romanzo tolstoiano, per la regia di Luca De Fusco, in cui al centro dello scenario vi è un’ampia scala, con numerosi gradini sui quali si svolge in pratica l’intera rappresentazione. Un’antisimmetria, quest’ultima, rispetto al teatro greco, laddove cioè le masse, in base alle relative moltitudini, non sono più spettatori passivi ma protagonisti in guerra così come nella nascente rivoluzione borghese e, poi, infine, proletaria. I nobili, invece, quelli che dovrebbero essere i loro leader, esausti e decaduti, giocano alla guerra per sfuggire alla noia dei loro palazzi, che si animano senza sosta di feste, cibi e intrighi amorosi e stucchevoli. Talvolta un po’ bastardi questi ultimi, e quasi sempre morbosi, intrisi di una frenesia del vivere terribilmente egotica, dove i grandi cambiamenti sociali in corso arrivano come in un gioco di carambola, veicolati da qualche lutto, attutiti dalle parole sommesse di polverose biblioteche, in cui la politica è detta tra le righe, perché a parlar chiaro si rischia la polizia segreta e l’ostracismo dal notabilato.

All’interno delle grandi famiglie protagoniste del romanzo, la funzione patriarcale si scolora nelle sue luci tetre, a volte condannando le figlie al zitellaggio, in altre incrociando con opportunismo i destini e, soprattutto le fortune, dei propri figli e di quelli dei loro pari, in base all’arte dei vasi comunicanti. Ovvero: chi si rovina e dilapida patrimoni per gioco, donne e piaceri vari, dopo è costretto dal suo spirito nullafacente e parassitario a sposare un partito che ne abbia di suo, spesso, se donna, bruttina ma ricca, e con molte terre da poter vendere. Al centro di tutti gli intrighi, vi è il salotto buono di Anna Pàvlovna Scherer, detta Annette (una brava Pamela Villoresi), in cui si fanno e disfanno i destini dei suoi anziani e giovani frequentatori, mentre si dipanano dall’arcolaio delle celie le tresche d’amore tra figlie e figli. Ma sono proprio le scale l’impervio palcoscenico gradonato su cui scendono, salgono e spesso scivolano come pesi morti i destini dei protagonisti d’amore e di guerra. Sul pianerottolo superiore, lungo e stretto, si agitano come tante falene le giovani donne delle tre famiglie nobili, mentre un padre severo, il principe Nikolaj Bolkonskij, detta legge ai due suoi figli, Andrej e Màr’ja Nikolàevna Bolkònskaja.

Al primo rinvierà le seconde nozze di un anno con Nataša Rostòva, che non riuscirà a sposarlo, in quanto il promesso sposo ritornerà morente dalla guerra. A Màr’ja, invece, rovinerà la vita costringendola a una vita monacale e al nubilato, per rimanere accanto a lui fino ai suoi ultimi istanti di vita, ma che, alla fine, riceverà il suo battesimo di donna con l’agognata ricompensa del piacere dell’amore, sposandosi con il principe Nikolaj Bolkonskij. Così come per Pierre, maltrattato dalla vita, tradito nei suoi ideali e nelle sue nobili amicizie, arriverà il premio di consolazione di potersi risposare, dopo il suicidio della moglie Hélène, con la dolce Nataša, la cui virtù compromessa le faceva temere una vita di solitudine e di emarginazione. Abbondano in questa storia monumentale le figure tragiche, cui fanno da contrappeso quelle patetiche o, al contrario, malevole. Con sorelle bellissime ma dall’animo perduto che impiegano alla bisogna un fratello bello, affascinante e parimenti scellerato per corrompere la virtù di una promessa sposa, come accade nel caso di Hélène, moglie del protagonista Pierre Bezuchov (nel racconto un sorta di doppio di Lev Tolstoj), figlio illegittimo ed erede dell’intera fortuna di un conte benestante. Lei perversa, che spinge il fratello Anatole, altrettanto dissoluto, a corteggiare la bella Nataša Rostova, promessa sposa di Andrej Bolkonskij, rimasto vedovo dell’affascinate Lise.

Ma su tutti, spicca Pierre, che matura la sua intera esperienza politica passando dall’adorazione del condottiero Napoleone, all’assoluto odio per il tiranno, che lo porterà persino a tentarne l’assassinio nascondendosi nella Mosca occupata dalle truppe napoleoniche. Dall’altra, le battaglie epiche di Austerlitz e di Borodino vengono rievocate dalla testimonianza dei protagonisti, come Pierre che decide di assistere alla seconda a distanza ravvicinata, sistemandosi dietro agli addetti di una batteria di artiglieria russa, per poi riportarne i segni per tutta la sua vita prendendo atto di quanto la guerra sia orribile e luttuosa. L’altro contraltare, presidiato da coloro che la guerra la fanno in concreto, è saldamente occupato dall’ufficiale Andrej aiutante di campo del comandante supremo Michail Illarionovič Kutuzov, vincitore di Napoleone, che non ama la guerra ma è costretto a farla e a vincerla con la prudenza e l’astuzia della volpe, condannando la grande armée napoleonica alla disfatta e a morire di fame e di freddo nel gelo della neve russa, grazie all’invincibile generale inverno.


di Maurizio Bonanni