venerdì 31 gennaio 2025
Daniela Rabia, con Maschicidio. Una promessa bugiarda di felicità (Pellegrini editore, 2025), offre un racconto in cui la narrativa sfida le convenzioni, mescolando introspezione e tensione sociale. Il titolo volutamente provocatorio e ironico non cela un inno alla violenza, ma piuttosto una riflessione sul potere delle illusioni e sulla capacità dell’individuo di autodeterminarsi, anche quando il percorso è segnato da errori e ossessioni.
La protagonista, Martha, è una donna libera, indipendente, immersa nel proprio lavoro di ricercatrice universitaria. Il suo mondo, costruito su disciplina e rigore, viene scosso dall’incontro con Giorgio, avvocato sposato e padre di famiglia. Quella che inizia come una fascinazione improvvisa si trasforma in un’ossessione che la porta a perdere progressivamente il controllo sulla propria vita. L’amore non corrisposto si fa gabbia, ma non per volontà altrui: è Martha stessa a chiudersi in un’illusione, confondendo desiderio e realtà.
La Rabia costruisce un personaggio femminile di rara profondità, capace di incarnare la complessità dell’animo umano. Martha non è vittima di un sistema o di una dinamica sociale imposta: è artefice delle proprie scelte, sia quelle che la portano a sbagliare sia quelle che la conducono al riscatto. La sua caduta non è frutto di una prevaricazione esterna, ma dell’incapacità di accettare i limiti della realtà, di riconoscere che l’autentica libertà non risiede nel possesso dell’altro, ma nella padronanza di sé.
Significativo in questo senso è il momento in cui la medesima protagonista, nel pieno della sua ossessione per Giorgio, riflette: “Non mi è mai successa una cosa simile. Possibile che esista il colpo di fulmine?”. Qui l’autrice mostra come la stessa sia travolta da un’idea romantica che si insinua nella sua esistenza razionale. Ma la realtà si incaricherà di smentire questa illusione, portandola verso una spirale autodistruttiva.
La forza del romanzo risiede nella capacità della scrittrice catanzarese di non scadere mai nel moralismo o nella retorica. Il lettore non è chiamato a parteggiare per alcun personaggio, né a trarre conclusioni semplicistiche su colpe e responsabilità. La storia si dipana in un intreccio psicologico intenso, che pone interrogativi profondi sulla natura dell’amore, sulle aspettative e sulla fragilità dell’essere umano di fronte alle proprie illusioni.
Emblematico è il passaggio in cui la citata Martha prende coscienza della trappola in cui è caduta: “E la rabbia, verso la propria stessa volontà che ha realizzato dal nulla la storia d’amore e verso Giorgio, che si crogiola nella mediocrità del suo sentimento negando a se stesso e lei una vita di pienezza, esplode distruttiva”. L’amore idealizzato diventa una prigione mentale e il desiderio di una vita autentica si scontra con la paura di affrontare la solitudine.
Il linguaggio narrativo è fluido, ricco di immagini e suggestioni, con un uso sapiente dell’ironia che smorza i toni più drammatici e dona ritmo alla narrazione. Non manca una critica implicita a una società che troppo spesso si rifugia in schemi rigidi, in cui la felicità è promessa ma mai garantita, dove la libertà individuale viene sacrificata in nome di costrutti predefiniti.
Nel percorso di Martha si legge il conflitto eterno tra autodeterminazione e autoinganno, tra il desiderio di possedere e la necessità di lasciar andare. Maschicidio non è un manifesto, ma una riflessione aperta, che invita a guardare oltre le apparenze e a interrogarsi su ciò che davvero ci rende liberi. Il messaggio di fondo si cristallizza nelle parole della già indicata protagonista: “Abbiamo vissuto una vita sbagliata o era l’unica possibile? Gli errori si capiscono sempre dopo. Ancora dopo si capisce che non erano errori, ma necessità”.
Una consapevolezza che chiude il romanzo con una nota di redenzione e di rinnovata speranza.
di Valentina Diaconale