“Itaca”, il ritorno di Ulisse

mercoledì 29 gennaio 2025


Che cosa accade a Nessuno al momento in cui il mare lo riporta a casa? Ebbene, se quest’ultimo non è un pesce o un delfino, allora di sicuro si tratta di Odisseus, o Ulisse in volgare, e l’isola sulla cui spiaggia giace nudo e supino è il suo regno: quell’Itaca lasciata qualche decennio prima per conquistare Troia, grazie proprio al suo decantato inganno. Ma il film di Uberto Pasolini, dal titolo Itaca – Il ritorno (nelle sale italiane da domani), non coltiva affatto il linguaggio mitico del guerriero-eroe, privilegiando l’analisi del volto in ombra dell’umano divinizzato, in cui il germe della sconfitta non è nella spada, ma nella sterilità della guerra e nella frustrazione del capo guerriero, stanco di uccidere e di veder morire tutti i suoi compagni. Anche perché della loro sorte sfortunata sarà proprio lui, il condottiero, a dover rispondere alle loro mogli, figli, fratelli e padri, oltre che ai propri. Quanti errori avrà commesso Ulisse esponendo i suoi uomini a rischi non attentamente valutati, o a imprese inutili e mortali? Come narrare il tutto ai sopravvissuti rimasti a casa, al vecchio padre, l’ex re di Itaca, o alla propria moglie, regina quasi vedova? Quella Penelope (Juliette Binoche) a lui fedele fino alla totale irrazionalità, che deve per di più tenere a bada un figlio odiato dai suoi spasimanti, e che a sua volta odia un padre che non c’è per non aver dato più notizie di sé. Ma Telemaco (Charlie Plummer), figlio di Ulisse (Ralph Fiennes) è innanzitutto un giovane uomo che vuole vivere, ben sapendo che sfidare gli spasimanti di sua madre, i Proci, vorrebbe dire morire per nulla, in quanto al contrario di suo padre non ha né la forza, né l’esperienza del soldato per liberarsi di tutti loro, e restituire pace e prosperità al suo regno.

Così, il ritorno di Ulisse è quello di un uomo d’armi sfinito che, prima di riprendere un minimo di forze, deve essere soccorso e curato a lungo da un buon pastore di maiali e da suo figlio, perché a Itaca sono rimasti ben pochi uomini validi, in grado di combattere per la libertà e di difendere la propria terra dai signorotti invasori. Così, Itaca è l’isola dei sogni, ma anche quella che non c’è, dove si svolge un conflitto aspro e intenso tra un figlio, che nulla conosce del mondo, e i suoi due genitori. Quel Telemaco, cioè, deciso a svendere le virtù di sua madre la Regina ad Antinous, il meno peggiore dei suoi pretendenti, che sembra poter tenere a bada la focosità dei suoi pari, mostrando per di più un autentico sentimento verso Penelope. Telemaco è, quindi, per vigliaccheria o incoscienza giovanile e, di certo, per mancanza totale di maiestatis, disposto ad accettare tutto, anche la vergogna di un matrimonio imposto e l’usurpazione del regno da parte di un patrigno, purché abbiano fine le angherie alle quali è sottoposto dai suoi ospiti aguzzini. Costoro che, impuniti, saccheggiano i pochi averi dei contadini dell’isola per imbandire i loro banchetti di pigri feudatari, e soddisfare la loro lussuria stuprando figlie senza padri e mogli senza più mariti. Telemaco è un nulla, un figlio che non si riconosce più nell’attesa del padre e vuole partire lontano dalle sue responsabilità di principe di un regno fallito, come un tempo fece Ulisse senza fare più ritorno a casa.

Così Odisseus, senza mai rivelarsi, riprende gradualmente prima la parola, alla luce delle fiamme dei bracieri, per ricordare e testimoniare, come soldato greco, di quel benedetto Cavallo (di Troia), delle sue misure, o del bellissimo volto di Elena e poi, del sangue, della strage di innocenti, affinché di Troia non restasse più nulla della sua semenza. E tutto ciò Ulisse lo narra a mezza voce, senza mai svelare ad alcuno la sua identità, perché il guerriero incanutito, risparmiato da dei, maghe e sirene, sa bene quanto disonore comporti il sangue inutilmente versato. Poi, però, il ciclo della vendetta non può fermarsi proprio sulla soglia della propria casa e del suo regno violato, quando il vento e la paura dei suoi isolani riportano le angherie e i soprusi vigliacchi dei Proci, nobili delinquenti annoiati, che amano spaventare a morte la povera gente, mantenendo nel caos, nella miseria e nell’ingovernabilità la piccola comunità dell’isola. Solo allora, il vecchio maschio alfa è costretto a risvegliarsi, incontrando con un sotterfugio sua moglie Penelope, dopo aver sfidato con il suo travestimento da mendicante il convivio dei Proci. In quella grande sala del trono, Ulisse è sottoposto a umiliazioni che in gioventù avrebbe fatto pagare con la vita ai suoi autori, ma che ora bisogna saper tollerare con l’astuzia del serpente, per prendere in silenzio le coordinate su dove e come colpire.

Nutrice Euriclea (una brava Ángela Molina) e Penelope, che intuiscono immediatamente l’identità dello sconosciuto, faranno sì che sia l’arco di Ulisse a decidere le sorti del regno, con la strage omerica che tutti ricordiamo, ma che secondo Pasolini non era esattamente ciò che la regina avrebbe voluto. Dato che i Proci, resisi conto di chi avevano di fronte, offrivano la resa in cambio di aver salva la vita, mentre un Antinous rimasto per ultimo, calmo e immobile nella sua seduta, restava in attesa del pollice verso. E sarà proprio Telemaco, con un gesto vigliacco, a tagliargli la gola: quella di un uomo disarmato e inutilmente innamorato. Meglio anche per lui, principino dal cuore bianco, alzare le vele e fuggire lontano.

Voto: 7,5


di Maurizio Bonanni