sabato 16 novembre 2024
Conobbi Franco Ferrarotti indirettamente quando, ragazzo a Messina, biblioteca dell’Università, lessi un suo libro sul sindacalismo negli Stati Uniti, se ben ricordo. Mondo sconosciuto e accrescitivo. Ferrarotti attingeva, avverrà sempre così, aperto specialmente alla sociologia statunitense. Era un europeo americanizzante, del tutto legato a quel Paese. Quando mi stabilii a Roma, mi laureai però a Firenze, Giurisprudenza con seconda specializzazione in Storia, Filosofia, Pedagogia e Psicologia, allora possibile, oggi non saprei, e pubblicai sulla rivista Nuovi Argomenti, diretta da Alberto Moravia, il Saggio sulla letteratura italiana attuale che amalgamava sociologia della letteratura, critica letteraria, e che ebbe eco mondiale, sia perché la rivista diretta da uno scrittore internazionale, appunto Alberto Moravia, sia perché era la prima valutazione di insieme del Novecento in narrativa, fino agli anni Sessanta, tra coloro che mi richiesero possibile collaborazione ebbe la presenza di Franco Ferrarotti. Per delle storture giovanili preferii insegnare alla Scuola di perfezionamento in Sociologia e ricerca sociale, legata alla Facoltà di Statistica. Il preside di Statistica, Vittorio Castellano, amava la letteratura, lesse il mio saggio, e mi invitò a insegnare nella Scuola di perfezionamento.
Un errore. Io, in ambiente statistico, ero il Sole di notte o la Luna a mezzogiorno. Ferrarotti ne fu sorpreso, oltretutto vi era conflitto sia di potere cattedratico sia di concezione. I sociologi, Ferrarotti in capo, non intendevano rendere la statistica fondamento della scientificità della sociologia, pretesa dagli statistici. Al dunque, con Ferrarotti non ci furono contatti. Ma quando eliminarono le scuole di perfezionamento o quella del mio insegnamento, passai a Sociologia, a Via Salaria, collaborando con Alberto Izzo, ordinario di Storia della Sociologia e autore di un testo documentato e leggibile. E di orientamento “progressista”. Io collaboravo, allora, con Paese Sera, l’Unità, Mondo Nuovo, Critica marxista, e non rammento la materia che originò un piccolo sconquasso. Su l’Unità recensii a mano con il dito verso un testo di Ferrarotti. Il quale si scatenò. Erano tempi nei quali una considerazione scritta da un quotidiano come l’Unità o Paese Sera decideva perfino la carriera.
Io svolgevo una ricerca per il Cnr sulla letteratura e mi affiancava Gianfranco Corsini, redattore culturale di Paese Sera. Corsini, legato a Ferrarotti, si dimise dalla collaborazione con me. Insomma, un garbuglio. Io continuai a collaborare con Izzo, ma in quel periodo ebbi la sorte di essere mal recensito su l’Unità, io che collaboravo con l’Unità, per un mio libro, Il marxismo tra il sesso e la morte, nel quale valutavo in pieno l’individuo, la singolarità. Del resto, si accompagnava a un altro mio libro, L’assoluto privato, nel quale, lo palesa il titolo, l’individuo, il “privato” equivaleva alla insopprimibile individualità dell’uomo. L’uomo non intreccio di relazioni ma un Io, e la morte non era una connotazione della specie, ma la fine dell’individuo, tutto ciò “contro” Karl Marx. Su l’Unità scrissero che io non stavo in linea con il marxismo. Non ebbi che trarre le derivazioni, e non fui più “di sinistra”. Izzo era di sinistra, e qualche problema ne provenne. Incredibilmente invece ebbi modo di riavvicinare Franco Ferrarotti, addirittura scrivendo per la sua rivista, La critica sociologica, un testo a cui tengo ancora. Se il proletariato non manifesta una nuova civiltà coloro che hanno avuto o hanno fede nel proletariato non sono progressisti ma illusi da svalutare. Ed è errato dannare i pessimisti sul proletariato. Da allora ebbi rapporti continui e amichevoli con Franco Ferrarotti e suoi collaboratori, Maria Immacolata Macioti, Roberto Cipriani, tra i molti.
A Ferarotti gradiva parlare, discorrere, valutare. Era un argomentatore, interessato al non conosciuto, alle prospettive, dal passato verso il futuro, alle novità metodologiche. Introdusse in Italia la metodologia delle “storie di vita”, come dal singolo si perveniva alla società, il valore del singolo. Il che costituiva blasfemia per la sociologia tradizionale che valutava soltanto categorie, insiemi, collettivi. Dopo un periodo di rilevanza questa metodologia si attenuò, ma è tutt’altro che da rinnegare. Ferrarotti la sostenne con i suoi collaboratori. Io nella mia Storia della Sociologia, edita da Newton e Compton, arrivo a parlare di Sociologia dell’individuo. Con Ferrarotti ebbi assidue conversazioni, e furono pubblicate mi pare anche sul Tempo. Era interessato a cogliere gli svolgimenti sociali, oltre che il passato. Il suo Trattato, ampio, dettagliato, con autori letti non presi da letture altrui, non mi pare proseguito fino al Novecento, è l’opera sua migliore, come storia della sociologia. Meno rilevante il Manuale.
Ma è nella miriade di testi che esponeva la sua personalità. In specie, quando oltre la concezioni diceva delle persone, specialmente di Adriano Olivetti, con il quale Ferrarotti aveva iniziato impegno e finalità. Era uomo inventivo, laborioso, critico ma edificatore. Ferrarotti si accendeva, apprezzava tale uomo. Di certo, una mentalità all’americana ma restava un europeo con millenni di cultura addossati, e temeva un efficientismo inaridito, puramente utilitaristico e la pervasione della comunicazione vacua, rumore, un so di comunicazione senza “dentro” lo turbava. In ogni suo scritto era rappresentata la persona, e anche se talvolta con note critiche tuttavia in rilievo la persona. Un’identità, un contenuto umano individuato, da ritratto, narrativo. Di recente, aveva scritto un libro con il mio stesso editore, Armando, “ritratti” di sociologi, scrittori, ed anche della madre. Sempre la presenza della persona non annegata negli insiemi o nella concezione. Strano per un sociologo? Niente affatto. La società vive di individui. La persona è “insuperabile”. La persona contiene la società, non la società la persona.
Non dimentico e l’ho scritto un episodio curioso vissuto insieme. Stavamo a Piazza Colonna. Scorgo un individuo piccolo che mi saluta e si accosta. Ho un dubbio che non chiarisco, è Leonardo Sciascia o Gaetano Arfè? Nell’incertezza mi tengo nel vago, e non presento Ferrarotti che sta per sé. Era Leonardo Sciascia che mi chiedeva di spedirgli il mio libro appena uscito: Marx contro Marx. Ferrarotti, colmo, attivo, fecondo, indagatore, esplorativo, con un occhio al passato, un occhio al futuro nella composizione vorticosa del reale, cercò per tutta la lunga vita di riaffermare l’incancellabilità dell’umano personale nell’uomo. La società attraverso gli individui, la società negli individui, l’individuo che contiene la società. L’onnipresenza insopprimibile dell’individuo. Comunità, collettività, insiemi ma soprattutto io sono io. La società vale, se nutre, forgia individui. Sicché personalmente non è perdere un amico, Franco Ferrarotti, è perdere un qualcosa in me stesso.
di Antonio Saccà