Il “ritorno” di Trieste all’Italia: il ritratto di Giuseppe Picciola

lunedì 28 ottobre 2024


“Nell’anno in cui si ricordano il centesimo anniversario del Trattato di Roma, che sancì la fine dello Stato libero di Fiume, post-impresa dannunziana, e l’annessione della città all’Italia, e il 70° del ritorno di Trieste italiana (26 ottobre 1954), qui al Senato siamo riusciti a organizzare, grazie soprattutto all’impegno del senatore Roberto Menia (nella foto), senatore di Fratelli d’Italia, vicepresidente della III Commissione Affari esteri e Difesa del Senato, una doverosa commemorazione del patriota istriano Giuseppe Picciola (1859-1912): originale figura di poeta, saggista, docente e irredentista sempre democratico”.

Così lo storico Marino Micich, direttore dell’Archivio museo storico di Fiume al quartiere giuliano-dalmata di Roma, ha inaugurato, presso la Sala caduti di Nassirya, l’incontro intitolato Giuseppe Picciola. Un patriota istriano ritrovato. “Picciola era nato nel 1859 a Parenzo (oggi Poreč), in Istria, da famiglia che aveva avuto, tra le sue file, alcuni combattenti nella Seconda guerra d’Indipendenza”, ha precisato Micich, “e fu esponente di rilievo dell’irredentismo istriano: un irredentismo fiero della sua italianità (che già nel 1870 aveva portato gli istriani a rifiutare di designare due deputati al Parlamento di Vienna), e in stretti rapporti anche con quello dalmata, nel solco di Giuseppe Mazzini, Camillo Benso conte di Cavour e Giuseppe Garibaldi”.

Come molti altri della sua generazione, nati tutti in terre rimaste “irredente” dopo la Terza guerra d’Indipendenza, Giuseppe, negli anni del Liceo, inizia a impegnarsi per la causa dell’italianità, pubblicando vari scritti, collaborando con più riviste, soprattutto culturali, e fondando anche un’associazione patriottica: “La Giovane Trieste”. Nel 1878, a 19 anni, è primo firmatario di un appello a Giosuè Carducci, giunto in visita a Trieste; e s’unisce alla protesta dei giovani, renitenti all’arruolamento nell’esercito austro-ungarico data, specialmente, la prospettiva di partecipare all’occupazione della Bosnia-Erzegovina, liberatasi dal dominio turco ma assegnata all’Austria dal bismarckiano Congresso di Berlino. L’attivismo di Picciola non piace all’imperial-regio Governo: rimasto nel frattempo in Italia, accusato di renitenza alla leva, egli non ha altra scelta che restare al di qua del confine, e riuscirà a tornare a Trieste, grazie a un’amnistia, solo nel 1899.

Esule a Pisa, Picciola alla Normale si laurea in Letteratura italiana, e – ha ricordato Giorgio Baroni (Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano), docente di Letteratura italiana e di Sociologia della Letteratura – qui è stretto collaboratore di Carducci. In quegli anni difficili e confusi (nel 1882 l’Italia, in quel momento un po’ isolata sul piano internazionale, decide di stringere la Triplice Alleanza con la Germania e con l’Impero austro-ungarico, che, però, è il suo più diretto nemico), Picciola approfondisce i suoi studi. E in Dante Alighieri, autore del De Vulgari eloquentia e profeta dell’Unità nazionale (col quale tende anche a identificarsi psicologicamente, data la comune vicenda dell’esilio dalla propria patria), come altri patrioti di allora vede il principale simbolo della nostra unificazione culturale e politica. Intanto, a dicembre del 1882, a Trieste, senza alcuna vera protesta da parte italiana, è impiccato l’irredentista triestino Guglielmo Oberdan: condannato dalla giustizia asburgica avendo confessato le intenzioni di attentare – insieme all’altro irredentista istriano, Donato Ragosa – alla vita dell’imperatore Francesco Giuseppe, in una sua visita a Trieste (Picciola conosce ambedue i patrioti).

Maria Ballarin, consigliere dell’Associazione nazionale dalmata, insegnante e storica, di genitori nati nell’isola di Lussino, curatrice del libro Giuseppe Picciòla, scritti danteschi - Biblioteca della Rivista di letteratura italiana (Fabrizio Serra Editore), ha presentato al pubblico due volumi di Picciola, una silloge di poesie e una raccolta di scritti danteschi, pubblicati ultimamente da Leo Olschki editore. Picciola, in quegli ultimi anni dell’Ottocento, insegna nelle scuole di Pesaro, dove diviene preside del Liceo-ginnasio, poi è preside di quello di Ancona; nel 1909, infine, del Liceo “Galileo Galilei” di Firenze. Scrive su più giornali (tra cui anche L’Opinione, fortemente liberale e anticlericale, che uscirà sino al 1899-1900).

Negli ultimi anni, ha ricordato anche Davide Colombo (Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, diplomatico di carriera), Picciola si dedica pure a raccogliere poesie di autori italiani d’oltreconfine (trentini, friulani, istriani, dalmati); una sua antologia di questi poeti uscirà con successo nel 1912 e avrà grande diffusione durante la Grande guerra, in cui i due figli di Giuseppe cadranno, combattendo sul Carso. Ma a quell’epoca, egli sarà già scomparso (nel 1912, a soli 53 anni, con sepoltura a Umago, non lontano da Parenzo).

“Viviamo in un’epoca di dimenticanza nazionale, e ricordare questo patriota – ha sottolineato Roberto Menia – significa ricomporre e riconsegnare alla storia nazionale una testimonianza dell’amore dell’Istria per l’Italia. E in questa conferenza ho voluto ricordare, con l’occasione, anche coloro che furono gli ultimi due senatori di Fiume, Icilio Bacci e Riccardo Gigante, ambedue trucidati dai titini nel 1945”.


di Fabrizio Federici