martedì 22 ottobre 2024
L’ex frontman dei pionieri dell’heavy metal britannico si è spento all’età di 66 anni nella sua casa a Salisbury. Gli Iron Maiden sono diventati negli anni, grazie ad album come The Number of the Beast, Piece of Mind e Powerslave la band “vetrina” della così detta new wave of british heavy metal, un genere creato dai media su misura per il gruppo britannico, di cui fanno parte anche i Def Leppard, i Blitzkrieg e i Motörhead. Per citarne alcuni. Ma le fondamenta per il successo dei Maiden sono state poste dall’iconica voce calda e “blues” di Paul Andrews, che nonostante lo stage name Di’Anno, era di discendenza brasiliana. Un giovane macellaio (letteralmente) di bella presenza, con poca fiducia nelle forze dell’ordine e un gusto per l’oscuro era proprio ciò di cui gli Iron Maiden – tutti bravi ragazzi – avevano bisogno per essere “lanciati” nella scena underground londinese.
La band dell’Essex, con l’album di esordio, ha combinato le influenze punk della loro città – ma soprattutto dei loro idoli del momento, gli americani Misfits che avevano fatto uscire qualche singolo e un paio di Ep – l’hard rock degli anni Settanta e un po’ di rock progressivo quanto basta, tirando fuori un mix originale e potente, che ha segnato per sempre l’heavy metal e la cultura pop. Successivamente, le registrazioni del secondo disco, Killers, hanno messo in mostra i problemi comportamentali di Paul, che sin da subito ha iniziato a lottare con la dipendenza da alcol e sostanze. Quindi, con l’aumentare della fama e le richieste di un tour mondiale da parte dell’etichetta EMI, Steve Harris – il bassista e vera “mente” dei Maiden – e i suoi hanno deciso di sostituire a malincuore Di’Anno con Bruce Dickinson dei Samsons, che è tutt’ora il frontman del gruppo.
Da quel momento in poi, Paul ha formato diversi gruppi che non hanno mai “sfondato” nel panorama musicale, ha vissuto per un po’ in Brasile ed ha continuato a cantare i primi successi dei Maiden in giro per il mondo, senza troppe pretese, con il classico stile underground degli inizi. Nell’ultimo periodo però, le rogne erano aumentate, e “nonostante sia stato turbato da gravi problemi di salute che lo hanno limitato a esibirsi su una sedia a rotelle, Paul ha continuato a intrattenere i suoi fan in tutto il mondo, accumulando ben oltre 100 spettacoli dal 2023”, ha scritto la Conquest Music sui suoi profili social. “Il contributo di Paul agli Iron Maiden è stato immenso e ci ha aiutato a metterci sulla strada che stiamo percorrendo come band da quasi cinque decenni”, hanno aggiunto gli Iron Maiden in un commovente messaggio di addio. “La sua presenza pionieristica come frontman e cantante, sia sul palco che nei nostri primi due album, sarà ricordata con affetto non solo da noi, ma dai fan di tutto il mondo”.
L’Inghilterra degli anni Ottanta si stava preparando alla permanenza a Downing street di uno dei primi ministri più divisivi della sua storia recente, con la recessione economica, lo spopolamento delle città minerarie e i venti apocalittici della Guerra Fredda che hanno preparato il terreno per lo shock musicale e visivo che gli Iron Maiden hanno portato sul palco e sulle copertine dei loro dischi, con varie mostruosità che illustravano la sensazione di anarchia e imponderabilità del futuro del Paese. Ciò che i Misfits hanno fatto negli Stati Uniti, è stato preso e traslato in termini più “politici” nell’Inghilterra delle bombette e dei completi eleganti, da giovani scapestrati che – come ogni generazione che abbraccia una contro-cultura – volevano costruirsi il loro posto nel mondo, stando alle loro regole. Inevitabilmente, con l’approdo nei canali mainstream, gli Iron Maiden hanno parzialmente abbassato il vessillo della ribellione, puntando alla sperimentazione musicale e alla crescita come individui. Ma senza Paul Di’Anno, la sua rabbia, le sue grida e la sua stage presence, le cose sarebbero andate diversamente.
di Edoardo Falzon