mercoledì 9 ottobre 2024
Chi è il superlatitante “Matteo”, il capo dei capi della Mafia? Un fiato che passa da bocca a orecchio; un fantasma, che si materializza a seconda della convenienza e poi si dissolve, per rientrare in uno spazio catacombale, in cui si comunica con il resto del mondo attraverso “pizzini” nascosti nel pescato del giorno. Questa è la storia di Iddu – L’ultimo padrino, film quasi-biopic sugli ultimi anni di latitanza di Matteo Messina Denaro, in uscita nelle sale italiane dal 10 ottobre. La regia è di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, con interpreti principali Toni Servillo (il professor Catello), Elio Germano (Messina Denaro) e Barbara Bobulova (Lucia Russo, la vivandiera postina). Ora, la chiave dello storytelling consiste nella rivisitazione extragiudiziaria della congettura che sta alla base della “Trattativa Stato-Mafia”, in cui la circolarità del sistema politico-affaristico-mafioso fa sì che siano i vari personaggi delle istituzioni, della politica e della mafia a rivestire ora i panni dell’uno, ora dell’altro. Il germe malato da cui tutto ciò emana e promana è la “famiglia” mafiosa, con le sue regole ferree, in cui è il capofamiglia, padrone indiscusso in casa e nell’onorata società, a scegliere il suo successore tra i suoi tre figli, due maschi e una femmina, quest’ultima assai più virile dei suoi fratelli. Solo il minore supererà la prova di coraggio di uccidere a sangue freddo un agnellino senza colpa e, pertanto, sarà lui a ereditare il “Pupo”, una preziosissima statua antica di valore inestimabile, che funzionerà come passaggio dello scettro di comando da padre in figlio.
Il maggiore dei fratelli, invece, succubo e ancillare servo fedele prima del padre e poi della sorella, avrà appena un ruolo decorativo di minus habens della famiglia di Matteo. La squadra speciale catturandi (un mix di servizi segreti e forze dell’ordine) per la ricerca del superlatitante riesce ad avvicinare, convincendolo a collaborare, il vecchio professore Catello, condannato per le sue collusioni mafiose, essendo nientemeno che il padrino del cresimando Matteo, un privilegio che nella Mafia ha un posto secondario soltanto ai legami di sangue. Uscito di prigione dopo aver scontato una pena di sei anni, Catello è un uomo rovinato, senza più amici, lavoro e famiglia, e persino sua moglie desidera la sua morte, vista la grande disgrazia che le sue imprese e i suoi rapporti hanno procurato alla famiglia. Così, grazie all’intuizione di una ispettrice di polizia, passando attraverso i buoni uffici della sorella di Matteo, Catello avvia una corrispondenza privata e intima con il boss, riuscendo ad attirare il suo interesse. L’anziano professore non desidera in cambio che l’autorizzazione di “lui” (che controlla l’amministrazione locale, attraverso i suoi sodali e i politici che gli sono vicini) per il rilascio di una licenza edilizia in sanatoria al suo albergo abusivo in costruzione, che da anni giace incompleto in un terreno demaniale, un mini-ecomostro abbandonato agli eventi atmosferici nella sua nuda struttura di cemento.
Alla sua patetica figura di uomo non violento e codardo, si contrappongono le vicende mafiose di Matteo, i suoi delitti, lo smercio all’ingrosso della droga, i suoi vizi privati con le tante donne che lo hanno frequentato e uno strano rapporto di odio-amore con la sua vivandiera-postina, la bella Lucia Russo, alla quale aveva ucciso il marito su ordine di suo padre, il Pupo primario. Ma, per poter attirare il lupo sanguinario fuori della sua tana occorre una vera esca, rinvenibile nel suo lontano passato: un figlio che non ha mai voluto vedere e riconoscere, ma tanto amato dalla sua terribile sorella. L’idea è dell’ispettrice Rita, lei che diventa la vera confidente quasi-amica di Catello, doppiamente ricattato dall’organizzazione alla quale l’investigatrice appartiene e che, a sua volta, la tiene in pugno per vicende legate al passato. Malgrado la trappola affettiva sembra funzionare, Rita non riuscirà a realizzare il suo sogno per la cattura del secolo. Al preside fallito si contrappone sorprendentemente la figura di un Matteo che conosce a memoria interi passi dell’Ecclesiaste, costruendo una sorta di “Doppio” del mostro sanguinario che tutti ben conosciamo. In fondo, per chi trascorre periodi così lunghi di immersione nel mondo dei fantasmi viventi, si inizia presto a riempiere così tanti spazi vuoti con una sfida intellettuale a se stessi che, se possibile, dà ulteriore forza alla sua convinzione di dover comandare un gruppo di miscredenti analfabeti, proni a suoi ordini. Ma, stavolta, l’agnello non verrà sacrificato: con l’ultimo boss dei boss si placa l’ira del Pupo e lui stesso, Matteo, il grande protagonista del Male, non avrà eredi da nominare al vertice di Cosa nostra.
di Maurizio Bonanni