L’ultima guerra del fascismo

martedì 1 ottobre 2024


Paolo Mieli, recensendo sul Corriere sella Sera il libro di cui è autore Amedeo Osti Guerrazzi, intitolato L’ultima guerra del fascismo (Carocci editore), ha notato che si tratta di una pubblicazione scientifica utile per riflettere intorno al dibattito eterno, nel nostro Paese, tra fascismo e antifascismo. I corpi martoriati di Benito Mussolini e Claretta Petacci, appesi al traliccio in Piazzale Loreto a Milano nel 1945, rappresentano simbolicamente la fine della guerra civile, che ha diviso gli italiani in quegli anni drammatici e molto dolorosi. Per Guerazzi, sovente, in modo inopportuno, si ripropone la contrapposizione tra fascismo e antifascismo nel dibattito pubblico italiano, poiché è mancata una riflessione complessiva sul fenomeno del fascismo, troppo spesso demonizzato e considerato estraneo alla storia nazionale. Secondo lo studioso, il fascismo deve essere considerato come una delle manifestazioni profonde dei limiti e delle arretratezze della società italiana.

Nel 1943 i possedimenti coloniali italiani in Africa vennero perduti, quando l’armata italo tedesca comandata dal Maresciallo Giovanni Messe si arrese alla truppa del generale britannico Bernard Law Montgomery. In seguito l’isola di Pantelleria, che era stata fortificata nel 1936, si arrese dopo un mese di bombardamenti, senza riuscire a infliggere pesanti perdite agli anglo-americani. La crisi del Partito nazionale fascista, che culminò con la approvazione dell’ordine del giorno di Dino Grandi nel Gran consiglio e la conseguente defenestrazione di Benito Mussolini dal potere, sostituito come capo del Governo dal Maresciallo Pietro Badoglio, procedeva, in quei momenti drammatici, di pari passo con la crisi militare. Dino Grandi voleva che al re d’Italia, Vittorio Emanuele III, fossero attribuiti i poteri previsti dallo Statuto albertino, per salvare il regime fascista da una catastrofe che sembrava ineluttabile.

Belle e di grande valore storico e letterario sono le pagine del libro in cui viene spiegato il ruolo che il Maresciallo Badoglio fu chiamato ad assolvere. Il Maresciallo Badoglio dovette giocare su tre tavoli. Rispetto alla politica interna, doveva gestire la transizione dal fascismo a un nuovo regime politico, scongiurando il rischio che vi fosse un trionfo politico dei comunisti. Rispetto agli alleati, doveva negoziare un armistizio, per condurre l’Italia fuori dalla guerra senza che vi fossero oneri eccessivi per il Paese, e mantenendo segreta la trattativa con i tedeschi. Inoltre, doveva fare accettare ai tedeschi l’uscita della Italia dalla guerra, scongiurando il timore della prevista vendetta da parte dei tedeschi. Dopo il crollo del regime, i nuovi vertici governativi erano convinti di ottenere facilmente l’armistizio da parte degli alleati, visto che la guerra non era diretta contro il popolo italiano, ma verso il regime fascista. Su ordine di Adolf Hitler i nazisti si erano messi alla ricerca del luogo in cui Benito Mussolini era tenuto prigioniero. Dopo che scoprirono la prigione del Duce, una unità speciale delle SS, agli ordini del colonnello Otto Skorzeny, liberò Mussolini. Dopo l’8 settembre, il tradimento degli italiani aveva, secondo alcuni studiosi, instillato pulsioni di odio e vendetta, e disprezzo nell’animo dei tedeschi e dei nazisti verso gli italiani.

La ferocia dimostrata dai nazisti, durante l’occupazione di una parte del territorio nazionale, con gli eccidi brutali e feroci come quelli di Sant’Anna di Stazzema e Marzabotto perpetrati verso i civili indifesi, si spiega con la circostanza che i militari tedeschi erano convinti di combattere una guerra totale per la difesa della civiltà occidentale contro il pericolo rappresentato dal bolscevismo, l’imperialismo britannico e il capitalismo senz’anima esistente in America. Fu l’ambasciatore tedesco Rudolf Rahn, esperto dei rapporti con i Governi collaborazionisti, a convincere Hitler che, per esercitare il potere nei territori occupati senza ricorrere alla forza, era necessario lasciare in vita i Governi locali. La fuga a Pescara del re, dopo l’armistizio e l’invasione tedesca del territorio nazionale, provocò smarrimento e confusione in Italia.

Il Governo del Sud Italia, con sede a Brindisi, impose ai tedeschi la nascita nel Nord Italia della Repubblica sociale italiana, con il ritorno in scena di Benito Mussolini posto a capo di essa. A proposito della struttura del potere dei nazisti, Guerrazzi utilizza la espressione felice della policrazia, che prevedeva la divisione dei compiti tra la Wehrmacht, impegnata al fronte contro gli alleati, lungo la linea gotica che separava l’Italia divisa, e le SS che dovevano reprimere e contrastare i gap, e la bande dei partigiani sull’Appennino tosco-emiliano e nelle città. Nel settembre del 1943 Erwin Rommel emanò alcuni ordini che prevedevano lo sfruttamento economico dell’Italia attraverso la collaborazione con il Governo di Salò. Quali furono i limiti della Resistenza in Italia? Per Guerrazzi, la Resistenza in Italia ebbe due limiti innegabili. Il primo fu la mancata partecipazione politica alle azioni volte a ottenere la defenestrazione di Benito Mussolini, che cadde in seguito alle congiure parallele dei militari e politici fascisti.

Il secondo limite si deve alla circostanza che l’antifascismo non ebbe un ruolo di rilievo nelle concitate giornate seguite all’armistizio e prima che avesse inizio la guerra civile in Italia. Molteplici e multiformi furono le forme di opposizione al fascismo e all’occupazione tedesca. Vi fu una resistenza armata, e una disarmata, una resistenza presente nelle città e una nelle campagne, una derivante dalle lotte operaie e un’altra di natura intellettuale. La Repubblica sociale era nata per fare piazza pulita di tutti i traditori, non solo di quelli legati alle cricche monarchiche e badogliane. Bisognava, secondo Mussolini, cancellare l’onta rappresentata dal tradimento dell’alleato tedesco. Ideologicamente con la Repubblica sociale si voleva creare un nuovo modello economico, la famosa Terza via, che fosse alternativa al capitalismo e al collettivismo comunista, in modo da superare il conflitto tra capitale e lavoro, idea derivante dal repubblicanesimo mazziniano e dal corporativismo cattolico. Le pagine sulla guerra civile, la persecuzione degli ebrei in Italia, le stragi nazifasciste e la capitolazione della Repubblica sociale, con l’uccisione di Benito Mussolini e Claretta Petacci, sono nel libro straordinarie. Un saggio di storia di notevole valore culturale e intellettuale.

(*) L’ultima guerra del fascismo. Storia della Repubblica sociale italiana di Amedeo Osti Guerrazzi, Carocci editore 2024, 276 pagine, 22 euro


di Giuseppe Talarico