L’operetta o della felicità

martedì 24 settembre 2024


Vi sono autori che scompaiono per millenni nell’oscurità e poi abbagliano; altri che durano e poi svaniscono; altri sommersi che valgono moltissimo. Lo stesso vale per le correnti artistiche. Le maniere nelle quali esprimiamo l’arte. Penso all’operetta. Decenni e decenni passati, vi erano degli amici di mia madre e del mio patrigno, i signori Muscolino, i quali avevano il balcone sopra un teatro all’aperto, estivo, nel quale venivano rappresentate soprattutto le operette. Da piccolo divenni appassionatissimo: voci, suoni, costumi, le attrici-cantanti, mi entravano negli occhi, nella mente, nella circolazione vitale, immedesimazione, fuori di me e in me, e si faceva notte, io sveglio, vibrativo, quant’era viva la vita, e gioiosa, e appassionante, davvero il sentirsi, il sentire la vita come dovrebbe essere e non è che raramente, come sentirsi vivere sfrenatamente, fuori di sé in sé, una stretta tra l’Io ed il non Io. Io ero i cantanti, le musiche, i costumi, nessuna estraneità, l’unione dell’Io nell’essere, il miracolo dell’arte, l’altro in te, tu nell’altro. La vedova allegra, sicuro, Niccolò Paganini, anche, La contessa Maritza, L’acqua cheta, Il paese dei campanelli, Il conte di Lussemburgo, ma sono ‘na ticchia, come si dice in Sicilia, un’inezia.

La fanciullezza, la bambinità hanno di meraviglioso l’immedesimazione. Quando perdi l’immedesimazione e ti rendi altro dalla realtà esterna, anzi ne interroghi la presenza, sarai un intellettuale, ma è finita. Ma se dura almeno a tratti l’immedesimazione senza interrogativi la felicità resta. E l’operetta, più della stessa opera, sembrava era nata per la felicità, non per la gioia, che è tragica, ma la felicità, che è una piega di labbra nel sorriso e un luccichio di sguardo. Che “arie”, che narrazioni, recitativo, parlato e canto (gli spagnoli con le zarzuele hanno risultanze supreme, sciaguratamente poco note, anche i cinesi). Di solito, vi sono personaggi seri, ma non troppo, e personaggi da riderne, con misura, come nell’opera lirica, Wolfgang Amadeus Mozart (Don Giovanni-Leporello) o nel Teatro in prosa Tirso da Molina, Don Giovanni-Catearinone), Molière, sempre in Don Giovanni.

Per ragioni di età non ho ascoltato la Diva dell’operetta (ma anche dell’opera), Romana Righetti. La naturalezza piena, sciolta, centrata della sua voce, è una rarità millenaristica. Quelle voci contenutive, autosufficienti, che si fanno ascoltare proprio come voci, al di là di quel che dicono o cantano (pare che Giuseppe Mazzini avesse queste emissioni, lo si ascoltava come voce in sé; lo stesso il baritono Dmitrij Chvorostovskij, russo). Ebbene, Romana Righetti in certe “arie” non consentiva di pensare che si potesse cantare diversamente, impossibile meglio. A parte Dmitrij, solo la Battle nel Requiem di Johannes Brahms e Maria Callas in Norma (Casta Diva) e in una aria della Tosca (Vissi d’arte) ma anche nella Medea la pareggiano. Evidentemente iperbolizzo. Smisurato sarebbe il confronto. Ma perché mai l’operetta è quasi scomparsa, o forse io non ne sono informato? Perché esigeva buon gusto e amore per la felicità del canto, la melodia. I giovani ignorano la melodia! E non soltanto i giovani. Quel canto o sonorità continuativi che svolgono come le onde o il vento suoni, curve modificate nel percorso e fanno godere ora questo ora quel “motivo”, mutamento un serpente che cerca carezze.

Ma occorrono orecchio, buon gusto, soprattutto, ascolto di canto e musica non luci, gambe nude e squassamenti corporei. Con l’operetta si eclissa l’epoca della felicità, del piacere di vivere, del buon gusto. Non è rimpianto del passato, è rimpianto della bellezza. Quando ascolto la Righetti cantare “arie” mi sembrano millenni dal presente. Possibile che si sia perduto il piacere della melodia? Vano dichiarare che l’opera lirica ha vasti uditori. Falsissimo. Molti cantanti celebrati valgono solo perché immessi nella comunicazione di massa. Non c’è il più screanzato giudizio che possa confrontare l’oggi al passato. Vale anche per i direttori. Purtroppo il passato è ignorato, o non si coglie la disparità. Sia che sia, ciascuno sceglie la propria maniera di vivere. Romana Righetti, certe esibizioni della Callas, la Battle, Dmitrij non mi scappano. È incredibile come potremmo essere felici se riconoscessimo nella bellezza (arte) il nostro fine. E l’operetta vi contribuirebbe.


di Antonio Saccà